Michele Bonforte
La disperazione è quella che potrebbe portare milioni di cittadini, spesso lavoratori, precari e/o disoccupati, al disincanto, alla fuga dalla politica, a farsi coinvolgere in avventuristiche iniziative di stampo populista.
La speranza è quella di costruire uno spazio politico a sinistra che sia in grado, per idee e dimensioni, di condizionare il quadro politico, di condizionare cioè ciò che concretamente si fa.
Per realizzare tale speranza occorre rimuovere le scorie che hanno frantumato la sinistra in questi anni, superando due errori capitali che sono alla base della sua attuale inconcludenza: il minoritarismo ed il verticismo.
Il minoritarismo è quella attitudine di proporsi come piccola area antagonista e settaria che dice cosa non va, che può anche suggerire cosa andrebbe fatto, ma che è incapace, qui ed ora, di dire come e con chi si potrà governare il paese per realizzare queste proposte. Se questa attitudine era ammissibile 10 anni fa, oggi essa è fuori dal comun sentire anche del più arrabbiato oppositore dello stato di cose esistenti.
Tutte le sinistre nate in europa, e fuoriuscite dal paradigma del 900, si pongono l’obiettivo di governare, sfidando la sinistra moderata al coraggio di una coalizione. Lo fa la Linke in Germania, lo fa Syriza in Grecia, la fa Podemos in Spagna. La sinistra moderata spesso preferisce l’alleanza con la destra in esperienze di grande coalizioni, che quasi sempre rafforzano la destra e svuotano la sinistra moderata. In Grecia tale tendenza al suicidio ha portato il Pasok ai minimi termini, e ciò oggi permette a Syriza di candidarsi al governo come la forza principale.
In Italia la situazione appare diversa, ma lo è per come si è arrivati alla grande coalizione: Bersani ha perso elezioni già vinte, per l’ossessione di voler coinvolgere le forze di centro, per la paura di fare cose di sinistra sotto l’occhio della troika europea. Renzi ha solo tirato le dovute conclusioni: se non voglio/posso governare con un programma di sinistra perché avrei l’Europa contro, tanto vale allora imbarcare la destra, e slittare il PD su posizioni centriste. La grande coalizione in Italia è a geometria variabile (con Berlusconi con un piede dentro e uno fuori), e soprattutto sta incubando la trasformazione del PD da partito di sinistra moderata a partito di centro di stampo europeo.
Questa sembra la specificità italiana con cui fare i conti nei prossimi anni, se beninteso una sinistra ci sarà.
Il verticismo è quella attitudine a proporre e creare meccanismi decisionali elitari, esclusivi dei più.
Lo strumento partito per come l’abbiamo conosciuto, sembra incapace di reggere nei propri confini organizzativi la domanda di partecipazione e di decisione che sale dal popolo di sinistra, che è presente nella nuova dimensione della vita quotidiana di tutti noi, innervata di connessioni e condivisioni sui social network. Partecipazione e decisione che derivano dal cambiamento che in questi ultimi decenni ha diffuso fra le classi subalterne conoscenze, competenze e capacità intellettuali. Uno strumento, il partito, nato quando i pochi che avevano competenze intellettuali si proponevano come dirigenti dei più che erano prevalentemente legati al lavoro quotidiano, spesso pesante e che difficilmente lasciava spazio per altre attività.
La realtà è fortemente cambiata nel corso del ‘900 ma lo strumento partito è rimasto pressoché immutato.
Ma fra i meccanismi verticisti, alla fine il partito è il meno peggio, perché almeno ha propri rozzi meccanismi di verifica interna. Peggio sono quei tentativi che, in critica ai partiti, recuperano metodi dell’800, in cui circoli intelletuali, cerchi magici di relazioni private, si pongono sopra il campo disastrato della sinistra, dettando dall’alto delle loro torri d’avorio regole e percorsi. L’esperienza dell’Altra Europa ha avuto questo virus al suo interno: la totale autoreferenzialità di un gruppo di garanti che tenevano a distanza qualunque sistema di verifica democratica.
Nel nostro piccolo in Emilia Romagna non ci siamo fatti mancare il nostro gruppo illuminato (che ha prodotto la lista L’altra Emilia Romagna) che ha rifiutato di sottoporre ad un vaglio democratico ampio la scelta delle alleanze, come proposto e poi fatto da SEL.
In molti casi minoritarismo e verticismo sono strettamente intrecciati, poiché l’uno rafforza l’altro elemento. La sinistra che verrà deve archiviare questi due vizzi.
Rifiutare il minoritarismo non vuol dire deporre i propri argomenti. Anzi dovremo essere radicali. Radicalità vuol dire sapere cosa fare, avere le idee giuste per risolvere i problemi, non girarci intorno per tutelare interessi di ristrette cerchie sociali. Ma non vuol dire affatto ignorare l’esigenza che per fare, occorre costruire una coalizione di forze, trovare un’intesa. L’esigenza di creare coalizione potrà guardare sia verso l’evoluzione che avrà il PD, sia quella che potrà avere il M5S.
Una forza di sinistra ampia, capace di attrarre un 10% dell’elettorato può condizionare il quadro politico e rendere possibili cose che ad oggi sembrano inimmaginabili. Una sinistra smembrata in tanti piccoli pezzi non incide, e dunque non esiste.
Ancora più urgente è emedarsi dal vizio del verticismo.
La sinistra che verrà dovrà darsi una organizzazione. Il partito novencentesco è uno dei modi possibili di organizzarsi. Quel partito è stato pensato e costruito nel ventre del movimento operaio per dare forza ai ceti subalterni. Ma questi ceti sono cambiati, anche per i risultati conseguiti in quei decenni (ad esempio la scolarizzazione di massa) e per le trasformazioni nel mondo della comunicazione e della produzione con l’avvento della rete.
Mentre il PD scivola verso un uso passivizzante della partecipazione con lo strumento delle primarie, il M5S sperimenta gli strumenti nati nella comunità mondiale del software libero.
La democrazia partecipativa è l’orizzonte su cui si deve muovere la nuova forma organizzativa della sinistra, con un uso intenso della rete e delle assemblee, inventanto e sperimentando un metodo misto, dove si possano costruire in rete le proposte, si possano incontrare fisicamente gli interlocutori, e si possa decidere nel modo più ampio e più rapido possibile. Oggi velocità della decisione non è in contraddizione con ampiezza dei decisori.
Una radicale fondazione democratica e partecipativa della sinistra è quello che oggi corrisponde allo sviluppo dell’essere sociale. Qualunque ritrosia alla sperimentazione democratica non ha scusanti.
O andiamo avanti verso la forma organizzativa delle classi subalterne del 2000, o semplicemente la sinistra sparirà.
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