Manca ancora la delibera per dire sì al registro per il testamento biologico anche a Reggio. Sel continua a portare avanti la battaglia per il diritto all'autodeterminazione dell'individuo e il contributo di Donatella Chiossi, da sei anni malata di Sla, all'evento che a Bagnolo ha visto la partecipazione di Mina Welby, ideatrice e promotrice dell'istituzione del testamento biologico in Italia, lancia un nuovo appello alle istituzioni e ai cittadini.
Testamento biologico: l'intervento di Donatella Chiossi durante la serata organizzata a Bagnolo
Stasera noi stiamo vivendo un grande atto di democrazia capace di commuovermi anche perché attualmente sono così rari: il cittadino di Bagnolo oggi si sente tutelato e rappresentato ma soprattutto vive una condivisione di valori tradotti in atto pubblico. E non è cosa da poco credetemi e a chi replica che solo una legge può legittimare il testamento biologico noi ribadiamo che solo in parte è vero perché non è un atto simbolico istituire il registro dei testamenti biologici presso il proprio comune. Lo facciamo davanti al sindaco, diretta emanazione dello stato e soprattutto davanti alla giunta e al consiglio comunale che sono la prima istanza democratica più vicina al cittadino; anzi rovescio il ragionamento affermando che sono i nostri rappresentanti, scelti e votati da noi. Pensate che forza se 10, 100, 1000 città e comuni adottassero il registro dei testamenti biologici: sarebbe una dimostrazione della società' civile unica e che peserebbe nel momento in cui il parlamento riprendesse la discussione della vergognosa legge Calabrò. A questo proposito mi sono chiesta quanto lo Stato saprà essere laico riconoscendo il valore dell'unicità e singolarità della persona di fronte ai temi legati alla vita, al corpo, alla malattia, alla sofferenza, alla morte. È fondamentale per questo mettere al centro il diritto all’autodeterminazione terapeutica ed esigere che si traduca in atti concreti.
COSA DOVREBBE PREVEDERE ESATTAMENTE UNA LEGGE SUL TESTAMENTO BIOLOGICO?
Ritengo che la futura legge debba essere ispirata ad alcuni principi che sono irrinunciabili:
1. Il principio all'autodeterminazione della persona nella scelta delle cure sancito dall'art. 32 della Costituzione. Ogni cittadino ha il diritto di essere informato sulle terapie cui può venire sottoposto e di dare o non dare il proprio consenso, di mantenerlo o di interromperlo nel corso del tempo. Questo diritto va esteso a quelle tecnologie biomedicali esterne al proprio corpo che permettono la sopravvivenza nei casi di gravi incidenti o gravi malattie, quali:
- la ventilazione polmonare invasiva effettuata tramite la tracheostomia (quando la persona non può respirare naturalmente)
- la nutrizione e l'idratazione artificiali invasive (quando la persona non può mangiare e bere naturalmente).
In questi casi l'interruzione delle terapie non consente la sopravvivenza, ma questo non significa uccidere una persona ma accettare la fine naturale della vita.
I politici si dimenticano che la nostra Costituzione nata dopo la guerra, sancisce un diritto cioè quello della libertà di cura, non potendo prefigurare lo sviluppo e la nascita di nuove cure cioè delle tecnologie mediche passibili o meno di essere interrotte.
2. Il testamento biologico osservato da questo punto di vista infatti riempie un vuoto lasciato dal consenso informato, che a tutti viene richiesto al momento di una operazione o di un esame invasivo. Se la persona è in coma e senza possibilità di recupero dell'integrità intellettiva il testamento biologico dà indicazioni su quello che la persona avrebbe voluto fare per quanto riguarda la scelta delle cure. Il testamento biologico, sottoscritto quando la persona era ancora cosciente, permette di far valere la propria volontà anche se non si è più coscienti.
Questi sono i punti nodali, quelli che rappresentano a mio parere la differenza sostanziale con il disegno di legge uscito dal Senato. Ora esporrò alcune riflessioni partendo anche dalla mia esperienza diretta di malata cronica grave dipendente da due macchine. Quando mi hanno praticato la tracheostomia mi sono sentita prigioniera di quel tubo. Il tubo che mi permette di respirare, di vivere, mi aveva resa una malata pubblica cioè dipendente dagli altri nel caso decidessi per una scelta estrema.
È un mio diritto o no chiedere chi detiene il potere del mio tubo? Se lo chiedono in tanti vero Mina? Quelli che lo vogliono staccare e quelli che non lo vogliono mettere. Io ho avuto un pomeriggio per scegliere ma credetemi ho ancora gli incubi di quella esperienza. Quando ho cominciato la mia battaglia sul testamento biologico con il senatore Marino mi sono chiesta in particolare, cosa vuol dire essere laici sulle tematiche del corpo, della malattia, del dolore, della morte, sulle esperienze che appartengono ad ognuno di noi, che non possono essere "delegate" a nessuno, che riguardano la libertà di scelta soggettiva. Qui vorrei introdurre il concetto dell' autodeterminazione, parola che fa davvero paura al potere, soprattutto se i cittadini esigono che questo diritto venga tutelato da regole collettive.
Purtroppo proprio in questi giorni il governo ha chiarito bene cosa pensa dell'autodeterminazione, in particolare sull'alimentazione artificiale: hanno avuto la faccia tosta di votare un emendamento al testo del Senato sul testamento biologico, presentato dal senatore Pdl Domenico Di Virgilio, che permette la sospensione di alimentazione e idratazione artificiali quando "risultino non più efficaci nel fornire i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo", cioè non riescano più ad essere assimilate dal paziente! A decidere sarà in ogni caso il medico, e la richiesta di sospensione non potrà essere inserita nel proprio testamento biologico! Al contrario credo legittimo anzi scontato che il nostro stato sappia costruire un impianto legislativo capace di dare risposte concrete a questi problemi universali per rispettare la vita, cioè la persona vivente, dall'inizio alla sua fine.
Vivere attaccata ad una macchina mi mette in una condizione di limite, di confine; per ora non voglio morire, ma non voglio che siano altri a decidere per me. Se un giorno valutassi che non ce la faccio più, che voglio rinunciare a questa straordinaria tecnologia, voglio poter essere libera di farlo. E' questo ciò che chiedo e sostengo per tutti.
Affermo tale concetto perché si garantisca il libero arbitrio, il rispetto della libertà di ogni cittadino anche di fronte a scelte difficili e dolorose. Io credo che solo così sia possibile la convivenza di opinioni diverse, il rispetto di ogni credo religioso e di ogni persona, il riconoscimento della pari dignità alle scelte che una persona può fare durante la vita.
Concludo affermando un paradosso molto efficace per malati come noi: diritto di vivere, diritto di morire. Allora esigo con fermezza che a un malato si conceda la migliore vita possibile perché ciò che ti è dato con la nascita rimanga un dono nonostante tutto ma questo obiettivo è ancora molto lontano (è di poco tempo fa la protesta di numerosi malati di Sla realizzata con il digiuno a staffetta); esigo con forza che venga data una speranza ai malati aprendo in Italia la ricerca sulle cellule staminali anziché perseguire soltanto la via farmacologica (solo l'associazione Luca Coscioni ne parla); infine esigo che venga accettato il nostro ruolo di “protagonisti” del doloroso percorso che ci è toccato, ovvero al tempo stesso desidero uguale rispetto e dignità nel potere scegliere la mia fine quando la malattia vincerà totalmente sul mio corpo, lasciandomi solo il tempo del dolore e della sofferenza. Me l'hanno insegnato Piergiorgio Welby, Giovanni Nuvoli e Beppino Englaro.
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