mercoledì 7 maggio 2014
intervento di Matteo Sassi al Pigal
Il nostro vuole essere un ringraziamento non rituale a Nichi Vendola per essere un leader capace, nonostante le difficoltà del nostro tempo, di suscitare sempre fiducia e speranza. Fare questo nel tempo del populismo rancoroso e dell’antipolitica significa interpretare il bisogno di buona politica che tante persone ancora hanno. Accogliamo volentieri Nichi Vendola anche perché rappresenta una Regione, e un territorio, il Sud, ai quali la nostra città è legata per storia e tradizione.
Esiste un rapporto molto stretto tra l’Europa e le comunità locali, il destino di queste ultime e la qualità della vita di tante persone nelle nostre città, nei nostri Comuni. Dobbiamo partire da qui credo per comprendere non solo quale possa essere il futuro che abbiamo davanti ma per dare senso alle elezioni europee, per investirle di una funzione democratica che vada oltre la forma e le procedure. Dobbiamo indagare quella che è stata la vita quotidiana delle comunità nel tempo della crisi economica e dell’austerity. Se, da un lato, la crisi economica molto presto si è trasformata in un disastro sociale di proporzioni impensabili fin a poco tempo fa – dati su RE- dall’altro lato, le politiche di austerity coltivate con fede religiosa dalle istituzioni europee hanno imbrigliato, contenuto, frustrato le risorse del Paese e delle sue comunità. Per tenere fede ad un dogma ideologico si è deciso di sacrificare la qualità della vita, e spesso la stessa vita, di tante persone e soprattutto di tanti giovani. Alle nuove povertà, fatte di solitudini, infelicità, mancata realizzazione di sé, si sono aggiunte le vecchissime povertà quelle che hanno il volto oscuro della fame, della carenza di risposte a bisogni primari a cominciare dal diritto ad avere una casa. Ad un tratto, in un’epoca uniformata dall’iperconsumismo quale corollario di quel pensiero unico che vorrebbe declassare la dignità di ciascuno di noi da cittadino a consumatore, da sovrano della democrazia a suddito del potere, ha fatto la sua ricomparsa il lavoro e paradossalmente questo è accaduto in virtù della sua crescente assenza come testimoniano i dati sulla disoccupazione giovanile, e non solo.
Se il quesito è ha senso o meno presentare una proposta politica autonoma, di sinistra, amica e vicina alla grande famiglia del socialismo europeo ma non per questo oggi assimilabile o riassumibile del tutto in essa la risposta è sì. E’ sì perché il governo italiano, guidato dal segretario del PD, dimostra di non comprendere quali siano state e quali siano tutt’ora le cause della crisi generale che attraversiamo. La riforma del mercato del lavoro che punta tutto, nuovamente, su un di più di flessibilità e di monetizzazione dei diritti non è la strada giusta per uscire dalla crisi perché semplicemente ne rappresenta la causa.
Viviamo un tempo in cui chi come noi guarda al mondo con occhio sensibile nei confronti della sofferenza umana, dei limiti e delle mancanze della politica, rischia di vivere grandi frustrazioni e solitudini. E’ la perdita di speranza e di fiducia ad indurre alla frustrazione, creando le condizioni per quella passività di massa che rappresenta il miglior viatico per forze non solo conservatrici ma apertamente reazionarie e autoritarie. Dobbiamo quindi trovare un modo per reagire a questo sentimenti diffuso che rischia di inaridire tutto quanto sta intorno a noi fino a svilire e non riconoscere più le potenzialità, i meriti, le bellezze che ci circondano. La sinistra è movimento, è superamento dello stato di cose presenti, e per questo non può nutrirsi di rancori o di passioni negative. Quando accade questo non parla più l’anima della sinistra ma solo il suo simulacro, quello che ha perso tante battaglie senza accorgersi che non si è mai sconfitti dalla storia per sempre. Si è sconfitti quando ci si sente sconfitti nel nostro io. Ma non si è mai sconfitti se si ha fiducia nell’altro e si è convinti che la politica non è un fatto individuale ma collettivo. Pensare plurale consente di guadagnare fiducia e allacciare nuove alleanze, scoprendo risorse inattese.
Credo si debba collocare all’interno di questa cornice ogni ragionamento sul rinnovamento generazionale e della classe politica che, altrimenti, rischia di essere un inutile e dannoso strumento per colpire persone che hanno dato tanto alla vita pubblica e per fare in modo che in fondo nulla cambi. Non lasciamo al fenomeno del renzismo il monopolio, esercitato tra l’altro in modo a volte misero e artefatto, dell’interpretazione delle speranze del Paese e del riconoscimento delle sue potenzialità e bellezze. Anche questa è una ragione per mantenere un profilo politico e programmatico libero ed autonomo.
Sarebbe dunque importante indagare, con lo sguardo della sinistra e senza subalternità - ma al contempo anche senza pregiudizi rispetto ad altre culture e sensibilità - come il Paese ha reagito nelle sue dimensioni sociali - le città, i quartieri, le famiglie - all’impoverimento dilagante. Scopriremmo la storia di un Paese nascosto fatto di tante soggettività, di strategie di sopravvivenza, di risorse inattese, di nuove mutualità che non hanno fatto dimenticare le ricchezze del possibile. Più volte abbiamo giustamente sottolineato come il declino delle grandi narrazioni collettive abbiano rappresentato la precondizione per un arretramento generale dei diritti del lavoro, dei diritti sociali, di quel complesso di dispositivi a sostegno del benessere delle persone e della società. Credo, e lo dico da amministratore locale, che in questi anni sia germogliata una pianta nuova, giovane, le cui radici non possono affondare, per ovvie ragioni, in quelle narrazioni collettive e tanto meno nelle organizzazioni di massa; ma quelle radici hanno oggi egualmente bisogno di alimentarsi di un terreno fertile, sano, non inquinato. E se il tratto identitario non è più quello di grandi narrazioni ma di una moltitudine di soggettività questo non significa che non siano capaci di delineare un orizzonte comune. E, soprattutto, questo rappresenta una sfida straordinaria per la sinistra, oltre ogni barriera o confine nazionale, per candidarsi non solo o non tanto a rappresentare quelle singole istanze bensì a costruire la trama di una nuova cittadinanza repubblicana ed europea quale destino comune di interi popoli. Questo richiede il tempo della politica oltre le leggi e i poteri dei mercati.
La nostra posizione non è certo semplice, nelle realtà locali, in Italia così come in Europa. Ci muoviamo stretti in una zona di confine tra il tentativo di vecchie e nuove forme di autoritarismo – pensiamo a Le Pen in Francia, al M5S in Italia o alla mitteleuropa ostaggio della peggior destra fascistoide – di conquistare la scena politica dei prossimi anni e, dall’altra parte, assistiamo all’inerzia del presunto moderatismo liberale e liberista, incurante dei disastri sociali che questa Europa ha prodotto perché curarsene significherebbe smantellare i baluardi del liberismo monetarista. Non c’è una terza via lungo la quale avventurarsi in solitaria – come qualcuno forse vorrebbe nella vana convinzione di lenire così qualche ferita. C’è al contrario un’unica strada ed è quella della difesa della democrazia a cominciare dalla nostra Carta costituzionale che non deve essere stravolta ma semplicemente attuata nei suoi principi fondamentali. Dobbiamo aiutarci a riconoscere la portata della sfida europea per come questa entra nella carne viva della vita delle comunità locali: è in gioco la democrazia nella sua accezione più alta e compiuta, quale sistema che mira al benessere, alla felicità, alla consapevolezza di sé e degli altri. Il nostro nome non è un’identità chiusa ma è un programma di cambiamento, per questo vogliamo un’altra Europa, un’Europa politica perché non può esistere una moneta senza Stato. Un’Europa che sia capace di contrastare le derive autoritarie e xenofobe, che si fondi sulla giustizia sociale e sui diritti del lavoro. Che sia capace di cogliere la straordinaria attualità politica del Manifesto di Ventotene che, grazie alla visione di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, indica una frontiera ed un compito ancora oggi validi per i partiti progressisti, vale a dire “creare un solido stato internazionale, indirizzare verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, adoperarlo in primissima linea come strumento per realizzare l'unità internazionale”.
Anche alle elezioni amministrative con la lista “SEL per Reggio” ci candidiamo con lo spirito di chi vuole portare la città in Europa e l’Europa nelle nostre comunità. Anche per questo, grazie al lavoro di tante e di tanti, all’esperienza delle primarie, sono numerosi i ragazzi e le ragazze che hanno deciso di impegnarsi, con passione vera, alla vita politica ben oltre il 25 maggio. Questi giovani rappresentano quella pianta nuova che in un tempo di crisi, di rancore, di miserie culturali e materiali, è stata capace di mettere buone e salde radici. E’ il segno tangibile che si può perdere anche la battaglia più importante, ma la storia è sempre lunga. E’ una pianta che ha saputo sopravvivere al deserto e alla notte della Repubblica, e che per questo saprà guardare a Reggio e all’Europa con la fiducia di chi conosce la forza della giustizia contro l’arroganza della prevaricazione.
Ringrazio questi giovani e tutte e tutti coloro che ogni giorno dedicano passione, impegno e generosità alla costruzione di un mondo migliore in cui vivere.
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