giovedì 28 febbraio 2013

La matematica non è una opinione. Ma in politica a volte si e pure sbagliata.

Chi diceva che la matematica NON è un'opinione? Contrordine: la matematica è proprio un'opinione. 

Nel 2008, alla Camera, il partito del Banana prese 13 milioni e 692mila voti, pari al 37,38%; la Lega Nord prese oltre 3 milioni di voti, pari all'8,30%; l'intero schieramento capeggiato da Banana, nell'insieme, prese oltre 17 milioni di voti, pari al 46,8%. Nel 2013, sempre alla Camera, il partito del Banana ha preso 7.332.000 voti, pari al 21,56%; la Lega Nord ha preso 1 milione e 390mila voti, pari al 4%; l'intero schieramento capeggiato dal Banana, nell'insieme, ha preso quasi 10 milioni di voti, pari al 29,18%.

Non è che sia necessario Pitagora per calcolare in oltre sette milioni di voti e in oltre 17 punti di percentuale la perdita del Banana e alleati. Ad essere pignoli, ci sarebbe pure da aggiungere altri 900mila voti, pari al 2,4% ottenuti nel 2008 della Destra di Storace, che allora si presentò separatamente e questa volta si è intruppato con il Banana. In totale, fanno 8 milioni di voti e quasi venti punti di percentuale. La più colossale emorragia che si ricordi a memoria di elezioni.

Eppure, tanti si entusiasmano o si disperano - a seconda della collocazione politica - e comunque si meravigliano molto del fatto che il Banana abbia ottenuto questo "brillante" risultato (per altro ampiamente previsto, questo sì, dai sondaggi che hanno invece toppato sul Pd e su Grillo) Come se non fosse chiaro da almeno vent'anni, che una metà dell'elettorato italiano è di destra e, purtroppo, che una parte di questo elettorato di destra ha uno stomaco talmente robusto da votare il Banana, non perchè non sappia chi è, ma invece proprio perchè sa perfettamente chi è. Questa fetta di italiani continuerebbe a votarlo anche se il Banana - diciamo - venisse arrestato in flagranza di rapina in banca.

Invece di disperarsi ogni volta per i voti che prende il Banana, anche quando ne perde parecchi milioni, il centrosinistra
potrebbe più utilmente chiedersi perchè riesce ugualmente a non vincere: Anche quando per "non vincere" bisogna davvero impegnarsi molto: ad esempio, non andare alle elezioni un anno fa, sostenere il governo Monti insieme al Banana, andare poi alle elezioni un anno dopo e perdere a propria volta alcune milionate di voti, in buona parte proprio per avere sostenuto quel governo insieme al Banana (per altro subito pronto a riciclarsi come oppositore).

A dar retta ai giornali, adesso pare che nel Pd ci sia qualcuno che vuole fare le scarpe a Bersani e liberarsi di Vendola per fare un altro bel governissimo con il Banana. Nel caso, accetto fin d'ora scommesse sull'esito delle prossime elezioni.


Stefano Morselli

mercoledì 27 febbraio 2013

No al "governissimo", senza se e senza ma


A leggere i giornali, sembra sia iniziato, o si profili, "l'assedio al segretario del Pd" Da parte di chi? Ma da parte del Pd, naturalmente, o per meglio dire di una fetta del suo gruppo dirigente. Ora, non c'è dubbio che Bersani, in qualità di leader della coalizione di centrosinistra, debba assumersi la principale responsabilità del risultato deludente. Per quanto mi riguarda, di osservazioni critiche ne avrei più d'una: prima fra tutte, avere evocato troppo spesso l'ipotesi di "intese" con Monti dopo il voto, addirittura anche nel caso di raggiungimento di una maggioranza autosufficiente. Penso che questa ipotesi non abbia fatto guadagnare neanche un voto al Pd - e neanche a Monti, per la verità - e che, al contrario, abbia fortemente contribuito a spostare masse consistenti di voti  dal centrosinistra (in particolare dallo stesso Pd) verso Grillo.  Forse era una ipotesi volta a rassicurare i famosi "mercati", di sicuro ha allarmato e allontanato parecchi elettori.

Detto questo, fare di Bersani un comodo ed unico capro espiatorio sarebbe ingiusto e sbagliato. Il Pd dovrebbe aver capito che non serve cambiare leader  - Veltroni, Franceschini, Bersani, poi magari Renzi... - per mascherare i problemi di fondo che riguardano la natura, l'identità, il progetto politico del partito. Se dopo quasi sei anni dalla nascita del Pd quei problemi sono ancora lì, non sarà colpa del destino cinico e baro. E nemmeno del segretario di turno. Bersani ha cercato di cambiare qualcosa nella macchina in corsa, capovolgendo la filosofia ultra-perdente di "andare da soli", e, a volte, perfino eccedendo nella opposta filosofia  di "larghe alleanze", fino a Monti e a Casini.  E invece, servono uno schieramento, un profilo politico, un programma di rottura con il passato, di radicale cambiamento, di costruzione di una prospettiva  responsabile, ma autonoma e diversa, di governo.

Capisco che questo non è il momento migliore per rimettere il dito nella piaga. Ma rinunciando a curarla per quella che è, la piaga non guarisce mai. Intanto, per non farla degenerare ulteriormente, bisognerà evitare come la peste "governissimi"  - tecnici, istituzionali, primaverili o balneari - che comportino anche soltanto di prende un caffè insieme al Banana. Sarebbe il suicidio definitivo. Soluzioni certe, nella situazione presente, non ce ne sono. Pd  e Sel  dovrebbero presentarsi in Parlamento con alcune proposte chiare e forti di cambiamento, e su quelle vedere  le carte degli eletti del Movimento  5 Stelle. Se questi ultimi le affosseranno e si tornerà a votare, dovranno spiegarlo innanzitutto ai loro elettori.
Se ho inteso bene, questa è la direzione indicata anche da Bersani. Sel ci sarà. Ma, ovviamente, bisogna vedere se ci sarà (tutto) il Pd.

Stefano Morselli

martedì 26 febbraio 2013

Il cambiamento necessario. Verso dove?

E’ stato uno tsunami, su questo Grillo ha avuto ragione. In molti pensavano ad un successo del movimento “5 stelle”, anche grazie all’elettorato in uscita dal PdL e dalla Lega Nord. In effetti ciò è avvenuto (quasi 12 punti dal PdL e 3 dalla Lega). Ma un tale tsunami è accaduto perché Grillo ha sfondato contemporaneamente anche a sinistra (il PD perde 7 punti), così come ha raccolto gran parte del voto dell’IdV (2 punti).
Che questa massa imponente di elettori chieda un cambiamento dei politici e di quello che fanno è evidente. Che sia chiaro in quale direzione questo cambiamento debba andare, è un’altro paio di maniche.
Se si guarda alle proposte presenti sul blog di Grillo, salvo rare eccezioni, ci troviamo proposte che o sono nate dentro la storia e la cultura della sinistra o ci vanno molto vicino. Ma dubito che siano le proposte programmatiche ad aver attirato allo stesso modo i diversi tipi di elettorato verso Grillo. Per alcuni (quelli che vengono da sinistra ??) queste proposte sono accattivanti, per altri (quelli che vengono da destra ??) mi sembra prevalga la catarsi del “tutti a casa”. Quest’ultimo elettorato è pronto a qualsiasi avventura, e di fatto è quello che da 20 anni ha sostenuto la maggioranza Berlusconi - Bossi, e non sembra incline ad autocritiche.
Dunque Grillo, e soprattutto il pattuglione di parlamentari eletti, si trovano ora di fronte al problema di calare nei lavori parlamentari le proposte che agitano nel blog. Di dire con chiarezza che cosa approvano e cosa respingono.
Il miglior favore che si possa fare a questa ambiguità di Grillo è quello di porlo all’opposizione di una governo PdL-PD. Un tale errore sarebbe catastrofico per il paese e consegnerebbe in pochi mesi la maggioranza dei consensi ad un movimento che non ha avuto modo di chiarire in che direzione vuole andare.
Per questo l’unica strada percorribile è quella di una apertura al programma dei “5 stelle” per provare a dare concretezza alla domanda di cambiamento che esso esprime.
Tutt’altro ragionamento è quello di chiedersi perché la sinistra non venga vista come il cambiamento. Certo il PD paga caro il sostegno al governo Monti e alla sua macelleria sociale. Sicuramente lo stile dimesso e di rimessa durante la campagna elettorale di Bersani non ha aiutato. Ma non credo che il Renzi di turno ci avrebbe salvato. Perché non basta essere più brillanti se poi si fa propria la cosiddetta “agenda Monti”, che tanto ha contribuito a far lievitare questo tsunami.
La sinistra (e sopratutto il PD) non ha capito che la sofferenza sociale che si agita dentro una crisi economica mai vista, chiede politiche di radicale cambiamento e non di rassicurante continuità. E che una parte rilevante delle giovani generazioni, colte e abili nell’uso della comunicazione web, non intendono più la democrazia come delega ma come partecipazione.
Ne abbiamo avuto le avvisaglie nel referendum sull’acqua pubblica.
Ne abbiamo colto le potenzialità con le primarie, quando il centro sinistra ha toccato l’apice della sua capacità attrattiva.
Ora il punto è che non basta una proposta politica convincente, se essa non prevede la possibilità di essere costruita dal basso, con la partecipazione diretta o via web che sia, con la possibilità di definire le priorità non nelle sedi esclusive dei partiti, ma nell’ampia agorà della democrazia partecipata.

E’ questo un insegnamento soprattutto per noi di SEL, che abbiamo fatto delle primarie e della partecipazione la priorità della nostra azione politica. Abbiamo sostenuto Bersani con lealtà perché frutto di un processo che ha coinvolto 3 milioni di persone. Abbiamo realizzato l’impegno di portare le ragioni della sinistra alla sfida del governo. Certo poteva andare meglio del 3,2 % che abbiamo raggiunto. Ma questo tsunami ha travolto ogni altra proposta (vedi la lista Ingroia) perché la nostra ipotesi politica era la più ragionevole e fondata.
Ora chi ha a cuore le ragioni della sinistra è chiamato a non disperdere il proprio contributo nella sterile protesta.
Oggi è il momento dell’unità della sinistra. “Sinistra Ecologia Libertà” è a disposizione di tutti coloro che ne vedano l’urgenza e la necessità.

Michele Bonforte

Adesso una proposta di cambiamento radicale. E vediamo chi ci sta


Dunque, ricapitolando. Anche se per poco, il centrosinistra ha vinto alla Camera, con conseguente maggioranza assoluta di parlamentari. E ha al Senato ha una maggioranza relativa, pur lontana dalla maggioranza assoluta. Ieri, per diverse ore, ho ricevuto non so quanti sms, telefonate e messaggi su facebook, tutti di umore nerissimo. A tutti ho risposto: calma e gesso. Naturalmente, io condivido la delusione per un risultato elettorale che si poteva sperare assai migliore, soprattutto dopo gli sciagurati "instant poll" che ci hanno propinato alle 15. E dopo i sondaggi "clandestini" degli ultimi giorni, che non potevano essere pubblicati ma erano rintracciabili da chiunque su internet.

Instant poll e sondaggi hanno toppato di brutto su un solo, ma decisivo punto: tre-quattro punti attribuiti in più al centrosinistra (in particolare al Pd), più o meno altrettanti in meno a Grillo. Tutto il resto, più o meno, è andato come era previsto: compresso, nella sostanza, il risultato del Banana. e alleati. Il quale risultato suscita in noi comprensibile disappunto, ma non dovrebbe sbalordirci più di tanto. Dovremmo ormai avere capito che una fetta consistente della società italiana vota il Banana NON perchè ignori chi sia, ma al contrario proprio perchè sa perfettamente chi è e ne condivide l'avversione alla legalità, all'etica pubblica, al senso civico. Comunque, non fasciamoci la testa: il Banana e la Lega Nord non hanno vinto, anzi, rispetto alle precedenti elezioni hanno perso vagonate di voti. Che poi, se si fosse votato un anno fa, avrebbero perso molto di più, serve a poco rivangarlo (se non per ribadire che per il centrosinistra non chiedere le elezioni allora è stato un altro micidiale errore).

In ogni caso, l'interrogativo maggiore non dovrebbe riguardare i voti del Banana, ma quelli (tanti) tendenzialmente o potenzialmente "di sinistra" che si sono spostati su Grillo, forse anche all'ultimo momento. A questo interrogativo - le cui radici secondo me affondano parecchio indietro nel tempo e nel percorso della sinistra "ufficiale" - sarà non solo opportuno, ma addirittura vitale cercare qualche risposta e qualche contromisura politica. Intanto, a partire dai prossimi giorni, Bersani dovrà provare a formare un governo e cercare una maggioranza anche al Senato. L'unico modo è presentare un programma di cambiamento radicale e, su questo, sfidare i neo-eletti grillini. Non è per nulla detto che Bersani ce la possa fare, anzi. Però, se non altro, servirà a "stanare" le scelte grilline: a favore o contro le proposte di cambiamento. E vediamo che succede.

Stefano Morselli

sabato 23 febbraio 2013

Portare il disarmo nell'agenda di governo


Un voto a Sinistra Ecologia e Libertà con consapevolezza e responsabilità, per chi lo dà e per chi lo riceve.

 Dunque siamo giunti al termine di questa estenuante campagna elettorale. Molte cose inutili sono state dette, molte cose ignobili sono state fatte.Quello che rimane è un ragionamento politico essenziale.
 La situazione del nostro Paese è drammatica, devastato da un ventennio berlusconiano e leghista dominato dalle mafie e dal malaffare. Usciamo da esso (e dalla sua appendice del governo Monti-Di Paola) con una Costituzione ribaltata: ripudiati tutti i diritti in essa affermati, dal lavoro all’istruzione, dalla salute allo stato sociale; alimentato invece l’unico disvalore da essa davvero ripudiato, la guerra e la sua preparazione. Siamo agli ultimi posti in tutti gli indicatori internazionali di benessere e civiltà, ma tra i primi al mondo per spesa pubblica militare.
Drammatica è anche la situazione internazionale: nel pieno della peggiore crisi economica dal dopoguerra, si spende in armi nel mondo in un solo giorno il doppio del bilancio delle Nazioni Unite di un intero anno. Ne è un esempio la Grecia, costretta a svuotare i granai per riempire gli arsenali, dove i bambini svengono a scuola per la fame.
E’ dunque urgente un cambio radicale nell’agenda della politica. Il voto non è certamente il solo strumento di azione politica, ma ne è un mezzo essenziale. Nessun voto è inutile, ma tutti i voti vanno dati con consapevolezza e responsabilità. Oggi più che mai.
Attraverso questo voto è possibile dare un contributo per fare tre cose, oggi essenziali:
  • liberare definitivamente il nostro Paese da un ventennio berlusconiano-leghista, mafioso, fascista e razzista. E cominciare a renderne più respirabile l’aria;
  • garantire un governo di centro-sinistra autosufficente nei voti, che non abbia bisogno dell’abbraccio mortale con nessuna destra, né quella mascalzona né quella bancaria;
  • ancorare fortemente il prossimo governo a sinistra, ossia né più né meno che al rispetto dei principi non negoziabili della Costituzione republicana, dal diritto al lavoro al ripudio della guerra.
Per tutti i movimenti sociali, civili, per i beni comuni e per il disarmo, non è più tempo di accontentarsi di un diritto di tribuna, di avere qualche sponda isolata in Parlamento. Oggi è urgente contribuire a determinare uno spostamento dell’asse politico del Paese. E’ necessario produrre una svolta significativa della politica nazionale. E’ fondamentale essere soggetti protagonisti nella costruzione di una nuova – e davvero differente – agenda di governo. E poi vigilare e incalzare affinché venga rispettata. 
Già un piccolo grande risultato è stato ottenuto: l’Agenda del disarmo e della pace per la prossima legislatura, sottoscritta dai movimenti e dalle reti pacifiste e nonviolente, è entrata integralmente nel programma di uno dei soggetti politici che si candida a governare: la cancellazione del programma dei caccia-F35, la costruzione dei Corpi Civili di Pace, il ritiro dalle missioni di guerra, l’investimento sul Servizio Civile Nazionale come forma di difesa civile della Patria, sono già punti di una nuova agenda politica. Se e quanto saranno effettivamente e integralmente realizzati dipende ormai esclusivamente da quanta forza contrattuale avrà, nel prossimo parlamento e nel prossimo governo, l’unica forza che li ha fatti esplicitamente propri, incontrandone i promotori. Cioè dal voto di tutti noi. E poi dal nostro controllo continuo affinché questo voto sia onorato. Con consapevolezza e responsabilità.
Questa forza politica, alla quale ho dato la mia fiducia, anche candidandomi da indipendente – e, davvero, non è poco – si chiama Sinistra Ecologia e Libertà.
Pasquale Pugliese

Un voto per la "nostra" piazza San Giovanni

Che i presenti fossero 800.000 (come sparano i promotori) o "quasi 100.000" (come pubblicava ieri sera Huftfington Post) la manifestazione grillina a piazza S. Giovanni è stata senz'altro imponente. Ora, però, in attesa di vedere il responso delle urne, bisognerebbe ricordare che Grillo non è il primo ad affollare piazza San Giovanni. Io, ad esempio, l'ho vista di persona piena o quasi piena varie volte. Lasciamo stare le manifestazioni di partito e di sindacato, cioè supportate da organizzazioni robuste e consolidate. Nell'ormai lontano 2002, a riempire la grande la piazza fu il movimento dei cosiddetti girotondi, Solo da Reggio, partì una decina di autobus. 

Era un popolo trasversale ai partiti, in buona parte anche fuori dai partiti, senza risorse economiche, senza organizzazione, senza leader che non fossero improvvisati. Un popolo che chiedeva rispetto della Costituzione, della moralità pubblica, della legge, del pluralismo dell'informazione. Il Banana aveva appena vinto le elezion nel 2001, Casini e Fini stavano allegramente con lui, il Vaticano e, la Confindustria lo sostenevano. I partiti della (fu) sinistra erano - non per la prima e purtroppo nemmeno per l'ultima volta - tramortiti, ondivaghi, divisi. I girotondi rappresentavano al tempo stesso una forte protesta civica contro il Bananismo imperante e una richiesta accorata e anche aspra alla (fu) sinistra perchè cambiasse, ricominciasse a fare il proprio mestiere, desse una sponda e a una prospettiva a quel movimento. 

Altri movimenti e altre grandi piazze seguirono, dai pacifisti alla Cgil di Cofferati per i diritti dei lavoratori). Di tempo ne è passato parecchio, in larga parte invano. Se adesso a piazza San Giovanni c'è un personaggio improbabile – voglio usare un eufemismo - come Grillo è anche e soprattutto perchè la (fu) sinistra per lunghissimi anni non ha dato una risposta alla gente, la "sua"" gente, che 'ha riempita quella piazza molte volte prima di Grillo. Ma è andata così ed è con questa situazione che bisogna fare i conti. Sperando che la storia di questi anni abbia insegnato qualcosa e che la (fu) sinistra e perfino un prudente centrosinistra provino finalmente a fare il proprio mestiere, con proprie idee e propri programmi. C’è bisogno di un cambiamento radicale. Altro che imbarcare i Calearo e le Binetti. Altro che pensare alle "grandi riforme istituzionali" con il Banana. Altro che rincorrere il Monti di turno. 

Io penso che Sinistra Ecologia Libertà, se otterrà un buon risultato, possa dare una speranza e una spinta in questo senso Per questo la voterò.

Stefano Morselli

venerdì 22 febbraio 2013

Il voto a SEL vale triplo


Ma la guerra NO! L'epica dimenticata di Mario e Fermo


introduzione al Seminario storico “Né un uomo, né un soldo: l’opposizione popolare alle prime guerre dell’Italia unita” di sabato 23 febbraio 2013 (pubblicata su “Pollicino gnus – Ma la guerra no! Una storia antimilitarista a Reggio Emilia”, 213/13)

seminario_storico
Quando la Scuola di pace decise di svolgere il primo seminario storico su Mario Baricchi e Fermo Angioletti il 25 febbraio dell’anno scorso, nell’anniversario della loro morte avvenuta il 25 febbraio del 1915, non sapevamo ancora che quella data avrebbe coinciso con la giornata di mobilitazione nazionale “Taglia le ali alle armi” per fermare l’acquisto dei cacciabombardieri F-35. Quella coincidenza ha riconsegnato ad alcuni degli organizzatori una giornata densa di un doppio impegno, ma coerente nelle sue finalità: al mattino la raccolta di firme contro gli armamenti in piazza Martiri del 7 luglio, al pomeriggio il seminario per riportare alla memoria la storia di una tragica giornata di lotta di quasi un secolo fa, di fronte al Teatro Arisosto, contro l’ingresso della Patria nella “Grande guerra”. Tra i due  impegni un filo rosso di continuità.
La “Grande guerra” fu chiamata così non solo per la sua dimensione intercontinentale ma sopratutto per la capacità distruttiva su larga scala messa in campo dagli eserciti. Quella guerra provocò la repentina riconversione delle moderne invenzioni tecniche in strumenti bellici, finalizzati al terrore di massa. Le nuove fabbriche fordiste – chimiche, meccaniche, areonautiche e navali – furono rapidamente convertite al servizio delle armi chimiche, dei carri armati, degli aerei da combattimento, dei sottomarini da guerra, moltiplicando la produzione in tutti i settori. La società e l’economia intera vennero coinvolte nello sforzo bellico e la guerra diventò, per la prima volta, di massa e totale. Un salto di qualità distruttiva definitivo, con 16 milioni di morti complessivi in quattro anni, che da allora in poi sarebbe stato sempre più amplificato, in un’escalation senza fine di armamenti, morte e distruzione. Fino ai campi di sterminio, fino ad Hiroshima e Nagasaki, e poi all’equilibrio del terrore, al napalm, all’uranio impoverito, alle armi battereologiche, ai cacciabombardieri nucleari, ai droni telecomandati…In un vortice di violenza, presente sia quando le armi iper-tecnologiche vengono usate ai quattro angoli del pianeta, sia quando si accumulano e praparano le guerre, sottraendo ingenti risorse alle spese sociali e colonizzando la cultura diffusa che non pre/vede e, quindi, rende possibili le alternative. Del resto la guerra risponde alla logica del fine da raggingere che giustifica l’impiego di qualunque mezzo.  All’estremo capo contemporaneo di questo filo della ricerca del mezzo di terrore più micidiale, che ha iniziato ad essere srotolato cento anni fa, c’è oggi il folle acquisto dei caccia F-35.
Abbiamo incontrato la storia di Mario e Fermo non attraverso la Grande Storia, quella scritta nei testi “importanti”, ma attraverso le piccole narrazioni marginali e “militanti”: il racconto che ne ha fatto lo storico Marco Adorni nel numero di Pollicino gnus del marzo 2011; il loro tornare durante il percorso storico sui movimenti per la pace in Italia ed a Reggio Emilia, svolto nell’autunno del 2011, a cura dell’Infoshop Sante Vincenzi e della Scuola di Pace; la chiaccherata di fronte ad una birra nella serata antimilitarista del 4 novembre organizzata dal Movimento Nonviolento di Reggio Emilia; il breve e intenso testo per il progetto “gli occhi di“ che ne ha fatto Arturo Bertoldi per l’ISTORECO . Per questo alla Scuola di Pace abbiamo deciso che era necessario approfondire di più, che era importante ricercare ancora su questa piccola grande storia del movimento antimiliarista reggiano.
Personalmente, inoltre, da non reggiano che ha scelto di vivere a Reggio Emilia oltre vent’anni fa, ho sentito il bisogno di capire perché in questa città, che ha cura attenta della propria memoria, che non dimentica i suoi tanti “martiri” – dalle vittime degli eccidi del nazifascismo ai martiri del 7 luglio ’60  – è potuta avvenire la rimozione di questa drammatica vicenda. Perché proprio Mario e Fermo, i “martiri” reggiani della pace, i primi morti in piazza del ’900, sono stati dimenticati?
La ricostruzione quei fatti, e del contesto culturale, sociale e politico nel quale maturarono, affidata agli storici Marco MarziAntonio Canovi e Marco Adorni, è stato il centro del lavoro svolto all’interno del Seminario “Ma la guerra No!L’epica dimenticata di Mario e Fermo” di un anno fa. Ma da esso è giunta anche una importante sollecitazione a rendere permanete un lavoro di ricerca sulla storia dei movimenti reggiani contro la guerra, a cavallo tra ’800 e ’900, culminati nell’eccidio dimenticato di Mario Baricchi e Fermo Angioletti del 1915. Ed anche a costrure un percorso di preparazione al 2015, centenario dell’ingresso dell’Italia nella “Grande guerra” e  dunque anche dell’eccidio reggiano, al fine di giungere ad un ri-conoscimento da parte della Città nei confronti del martirio per la pace dei suoi giovanissimi figli Mario e Fermo.
A questo scopo, la Scuola di Pace, l’Anpi, l’Istoreco, il Centro di Documentazione Storica e Pollicino gnus hanno promosso il Seminario storico permanente che ha lavorato nel corso di questo anno per preparare il nuovo appuntamento pubblico di ricerca e riflessione Ma la guerra No!
Dopo l’approfondimento dei tragici fatti del 25 febbraio del 1915, il Seminario storico permanente ha aperto un nuovo filone di ricerca per ripercorrere le vicende delle diverse forme di pacifismo antimilitarista e popolare nella nostra città, nella loro intersezione e interazione con la nascita e l’avvio del movimento socialista, delle quali la protesta contro il comizio interventista di Cesare Battisti, con il suo tragico epilogo, furono il momento più acuto.  Su queste basi abbiamo ripreso una ricerca a più mani che, partendo dal 1861 e dall’unità d’Italia, vuole mettere a fuoco l’antimilitarismo politico e quello sociale, la renitenza alla leva ed alla coscrizione obbligatoria, l’opposizione delle donne alle guerre coloniali e a quelle successive, e tutte le espressioni di cultura popolare ispirate al bisogno (e al diritto) di pace, manifestatisi in città e provincia di Reggio Emilia, prima del 1915.  Un lavoro collettivo al quale hanno partecipato esperti e storici del socialismo e dell’anarchismo, del movimento cattolico e di quello delle donne, il cui esito è oggetto del Seminario storico del 23 febbraio di quest’annoall’interno del più ampio cartellone di iniziative per il VII compleanno della Scuola di Pace.        
Questo impegno di ricerca, fondamentale sul piano storico, ha un valore specifico anche per l’oggi. Ricostruire le complesse e articolate vicende storiche del movimento reggiano per la pace dà spessore, legittimità culturale e proiezione nel futuro all’impegno attuale che – soprattutto in questo tempo del riarmo, nazionale e globale – mantiene intatto il bisogno di essere rinnovato, giorno dopo giorno.
Pasquale Pugliese

giovedì 21 febbraio 2013

Voterò Nichi Vendola, per un salto nel voto e non un salto nel vuoto


«Voterò Nichi Vendola con Pietro Ingrao, per un salto nel voto e non un salto nel vuoto». Così su Twitter il sacerdote genovese don Andrea Gallo ha annunciato poco fa il proprio sostegno a Sinistra Ecologia Libertà.
Immediata la risposta di Nichi Vendola sempre su Twitter : «A Genova c’è una persona che è sempre stata per me una bussola e un orizzonte. Grazie».
Poi, intervenendo in serata ad un incontro elettorale sul tema “Dignità della politica”, organizzato da Sinistra Ecologia e Libertà, don Gallo ha precisato: «Perché non ci siano fraintendimenti: io voto Sel, voterò Nichi Vendola». «Voto Sel - ha detto ancora il sacerdote - perché sono sentinelle delle democrazie, sentinelle dei valori. Ho sempre sostenuto la coalizione di centrosinistra, ma dove è finita la sinistra?».
«Nel Pd - ha detto - oggi ci sono ancora compagni veri. Ma c’è anche tutto e il contrario di tutto». Quanto a Grillo, secondo don Andrea Gallo «ci dobbiamo confrontare, anche duramente. Non si può negare che è un movimento, nato dal basso, e che riempie le piazze. Basta dire che Grillo è populista e fa antipolitica. Comunque io non lo voto».

martedì 19 febbraio 2013

Innovazione, competitività e sciopero degli investimenti.


Questa campagna elettorale sembra, se possibile, peggiore di quelle che l’hanno preceduta. Mentre la crisi economica miete giornalmente oltre 400 posti di lavoro, il dibattito elettorale se ne tiene a distanza, o si limita a proposte palliative. Se ne dolgono alcuni commentatori di importanti giornali (Repubblica, Corriere, ecc.) che indicano come la questione non sia come si redistribuisca la ricchezza attraverso le tasse, ma come la si possa produrre. Quasi sempre la ricetta è quella di aumentare la competitività, magari con profonde “riforme” del mercato del lavoro. Ora che il nostro paese soffra da anni di un problema di competitività è del tutto evidente. Mentre il mondo cambia, noi siamo ancorati prevalentemente a produzioni mature che subiscono la concorrenza di costo dei paesi emergenti (India e Cina in primis). Siamo in crisi sul mercato interno perché le famiglie si sono impoverite e spendono meno, ma siamo in crisi, salvo eccezioni, anche sul mercato esterno, perché i beni che produciamo li vendiamo a costi sempre meno giustificati dal loro contenuto qualitativo e tecnologico. Pensare dunque che il problema si possa risolvere abbassando i costi di produzione usando con forza la leva della riduzione del costo del lavoro è non solo ingiusto ed iniquo, ma anche miope e di breve prospettiva. 
Quello che si tralascia di far notare è che la competitività dipende innanzitutto dagli investimenti, dalla loro ricaduta sull'efficienza del processo produttivo o sull’innovazione dei prodotti. Il nostro paese soffre certamente le ricadute negative della corruzione, della amministrazione pubblica lenta, dei trasporti e dell’energia costosi, ecc. 
Ma la principale causa della stagnazione della produttività del sistema è la caduta degli investimenti privati e la riduzione della spesa pubblica per la formazione, l’università e la ricerca.
Piccoli e grandi gruppi impreditoriali hanno beneficiato nell’ultimo decennio di un costante trasferimento di risorse sottratte alle retribuzioni dei lavoratori, che difatti si sono impoveriti. Ma tali risorse sono finite prevalentemente a gonfiare i compensi dei manager o in investimenti sul mercato finanziario. Mentre altri paesi (vedi la Germania) affrontavano il nuovo secolo con investimenti e ristrutturazioni accompagnate da accordi sindacali per la tutela del lavoro, nel nostro paese si sono utilizzati gli anni delle vacche grasse per indebolire le tutele e il valore sociale del lavoro, e dirottare le risorse verso guadagni facili sui mercati finanziari, buoni ad alimentare successi effimeri che gonfiavano i compensi dei manager, nel mentre si scavava la fossa al sistema paese che anno dopo anno ha perso pezzi del suo settore industriale. Il settore pubblico ha agevolato questa involuzione con un attacco al sistema formativo e della ricerca che ha fortemente compromesso la nostra capacità di poter stare al passo con i paesi guida della comunità europea. Non solo abbiamo sempre meno laureati e meno ricercatori, ma quei pochi che abbiamo, quando sono bravi, devono migrare all’estero. Dopo anni di campagne meritocratiche, i laureati non sono i più capaci, ma semplicemente i figli dei ceti benestanti, che possono permettersi di sostenere il costo degli studi universitari, oggi inarrivabili per le famiglie con redditi da lavoro. La classe dirigente reale del paese, quella che in questi anni ha avuto il potere di fare e di decidere, è quella che siede nei consigli di amministrazione di aziende o banche. Essa ha, consapevolmente o no, portato questo paese dal novero di quelli sviluppati a quelli che vivono di sub-forniture e subappalti, con l’obbiettivo principale di colpire il lavoro, e di sottoporlo ad una cura di bassi salari ed alta disoccupazione per disciplinarlo, colpendone la storia di forte sindacalizzazione e consapevolezza sociale.
Come ha avuto modo di dire Luciano Gallino, la lotta di classe nel nostro paese negli ultimi anni l’hanno fatta i padroni: con uno sciopero degli investimenti, con l’attacco alla spesa pubblica che sostiene il welfare, con l’attacco ai diritti sul lavoro, ai contratti nazionali e al sistema pensionistico. 
La colpa più grave della politica è stata quella di aver ceduto il potere reale alla “casta” economica. E avendo poco da decidere si è dedicata in gran parte alla ricerca di piccoli o grandi privilegi. Oggi questi privilegi sono lo specchietto per le allodole per una massa di elettori delusi ed inferociti. Ma se vogliamo far uscire questo paese dalla spirale di recessione e deindustrializzazione occorre riportare il potere dai consigli di amministrazione alle aule parlamentari. Dove avviare una iniziativa pubblica che riporti al centro dell’attenzione il lavoro e la sua qualità, il sistema produttivo e gli investimenti in innovazione, la ricerca e un’università aperta ai capaci e meritevoli di ogni classe sociale.
Non è il tempo di affidarsi al primo pifferaio che passa.
Meglio, oggi, un concreto figlio di benzinai piacentini.


Michele Bonforte

lunedì 18 febbraio 2013

Il Servizio Civile Nazionale ha bisogno dell’impegno di tutti, non delle inutili invenzioni di qualcuno


In una campagna elettorale ricca di dichiarazioni fasulle, in molti si sono posti alla rincorsa di chi la spara più grossa. Anche su temi che meriterebbero sobrietà e solidità. Per esempio sul Servizio Civile Nazionale.
Istituito fin dal 1972 con la prima legge sull’obiezione di coscienza al servizio militare, il servizio civile rimane ancora un tema cenerentola pur avendo visto complessivamente l’impegno nel tempo di un milione e trecentomila giovani. Da allorail Servizio Civile Nazionale ha fatto molta strada sul piano legislativo, diventando a tutti gli effetti un istituto che concorre alla “difesa della patria”, coerente con l’articolo 11 della Costituzione italiana, ma è sempre meno supportato sul piano finanziario, al punto da escludere oggi molti giovani che vorrebbero impegnarsi in questa esperienza formativa per la costruzione della difesa civile, non armata e nonviolenta. E’ dunque un tema che merita attenzione e serietà come sottolinea l’appello ai candidati lanciato da Firenze il 16 dicembre scorso a conclusione del Convegno per i 40 anni della legge 772/72,  “Avrei (ancora) un’obiezione!”, promosso dalla Conferenza degli Enti di Servizio Civile e dal Movimento Nonviolento, e sottoscritto da un gruppo di associazioni impegnate da sempre per il servizio civile. Molti autorevoli candidati stanno rispondendo positivamente.
Tra questi abbiamo letto una dichiarazione assai disinvolta di un candidato di Rivoluzione Civile il quale sostiene di aver “co-promosso come coordinatore della Tavola della Pace” l’appello “Un’alleanza per il Servizio Civile”, affermando una cosa non vera. Avendone svolto personalmente le conclusioni, in quanto segretario nazionale del Movimento Nonviolento, so che il nostro “rivoluzionario civile” non solo non ha co-promosso affatto l’Alleanza per il futuro del servizio civile, come si può facilmente verificare ma non ha neanche partecipato al Convegno di lancio. Oggi la sottoscrive: bene. Dichiara che se sarà eletto i punti dell’Alleanza diventeranno la sua “agenda di lavoro”: ottimo. Gli raccomandiamo però di farlo con la sobrietà della verità e la solidità dei fatti che la storia del Servizio Civile richiede. C’è bisogno dell’impegno di tutti, non delle inutili invenzioni di qualcuno.
Con ben altra serietà si è posta nei confronti dei programmi dei partiti l’Associazione Obiettori Nonviolenti, la quale rileva che “i partiti che dedicano maggiore attenzione ai temi della pace sono Sinistra Ecologia e Libertà e Rivoluzione Civile”. Ma attraverso il suo presidente Massimo Paolicelli, denuncia anche che un “tema proprio assente in tutti i programmi” è ancora quello del Servizio Civile Nazionale. Tuttavia, rispetto a questo aspetto nel comunicato manca un’informazione aggiuntiva: il 12 febbraio Nichi Vendola ha incontrato una delegazione delle Reti che hanno promosso la “Agenda del Disarmo e della Pace per la prossima legislatura” ed ha consegnato loro un documento integrativo del programma di SEL, che accoglie e rilancia l’impegno su tutti i punti dell’Agenda. Compreso quello sul Servizio Civile Nazionale.
Eccone il passaggio più significativo: “Sinistra Ecologia e Libertà ritiene urgente riaprire la discussione politica sulla difesa non armata, popolare e nonviolenta, attraverso il riconoscimento della possibilità di considerare il servizio civile nazionale in alternativa al servizio militare. Attraverso più sentenze della Corte Costituzionale, la legge 230 del 1998 che ha introdotto il diritto all’Obiezione di Coscienza e la legge istitutiva del Servizio Civile N azionale n. 64 del 2001 in vigore, l’ordinamento dello Stato italiano prevede già due modalità di difesa della Patria, una armata e una non armata, in concorrenza (o concorso) tra loro. In realtà si tratta di una concorrenza sleale vista la quantità enorme e crescente di finanziamenti alla Difesa militare e i tagli continui alla Difesa civile, di questi anni, che hanno escluso dallo svolgimento del Servizio Civile Nazionale molti giovani che avrebbero voluto fare questa esperienza civile e sociale. Pertanto ci impegniamo a rendere il SCN un diritto universale per tutti i giovani che scelgono di farlo, di renderlo sempre di più un Istituto di vera difesa non armata, civile e nonviolenta della Patria, di attivarci per il reperimento dei fondi necessari dai bilanci della Difesa, identificando uno specifico capitolo di spesa nel bilancio dello Stato“.
Pasquale Pugliese
Candidato indipendente in Sinistra Ecologia e Libertà - Emilia Romagna, camera

domenica 17 febbraio 2013

La scelta di Ingrao


«Le elezioni del 24 e 25 febbraio rappresentano un grande appuntamento. È il momento che le forze della sinistra si presentino compatte e unite a questa prova, per ricostruire solidarietà e giustizia sociale, riaffermare i diritti delle persone e del lavoro. Solo una vittoria netta del centrosinistra può creare le condizioni perché le lotte non esprimano solo rabbia, ma si traducano in cambiamenti concreti. Isolare e battere Berlusconi è possibile. È possibile uscire dalla crisi con una modifica profonda del modello di sviluppo. Sinistra Ecologia Libertà è la forza che più coerentemente si impegna per la realizzazione concreta di questi obiettivi. Indignarsi non basta: bisogna scegliere. Io scelgo Sinistra Ecologia Libertà, per portare al governo del Paese la sfida del cambiamento»

(Pietro Ingrao)

giovedì 14 febbraio 2013

Giustizia sociale, un buon motivo per provarci al governo

Martedì sera, al Fuori Orario, c'era Nichi Vendola. Non ha urlato, non ha insultato, non ha promesso la luna. Non ha partecipato al teatrino delle alleanze, che oggi apre a Tizio e chiude a Caio, ma domani apre a Caio e chiude a Tizio. 
Ha parlato di questioni concrete, che riguardano la vita dei normali cittadini - lavoro, scuola, sanità, ambiente, legalità, diritti civili - senza nemmeno indulgere a un linguaggio troppo alato, come a volte gli capita. Ha detto le cose normali di una normale sinistra riformista, che solo in un paese politicamente anormale come l'Italia possono essere considerate "radicali". E che però, proprio per l'anomalia del contesto italiano, in un certo senso "rivoluzionarie" lo sono davvero. 
A chi lo critica perchè si batterebbe "solo" per un po' di giustizia sociale, Vendola ha risposto che sì, un po' di giustizia sociale è un ottimo motivo perla sinistra di cimentarsi finalmente al governo, invece di testimoniare eternamente all'opposizione. 
Si può essere più o meno d'accordo con le opinioni di Vendola. Ma ce ne fossero, in Italia, di leader politici come lui.



Stefano Morselli

martedì 12 febbraio 2013

Sel risponde ai pacifisti: riconversione civile e stop all’acquisto degli F35

«L’idea che anche attorno agli F35 possano danzare le tangenti non è cosà bizzarra, anzi, come diceva il noto politico italiano a pensar male spesso ci si azzecca…».   Il leader di Sinistra ecologia libertà Nichi Vendola ha proposto oggi, nel corso di una conferenza stampa con i candidati pacifistì della sua lista Giulio Marcon e Pasquale Pugliese, l’apertura di un dibattito sulla «riconversione civile» della produzione di Finmeccanica investita dallo scandalo delle tangenti che ha portato all’arresto del suo numero uno Giuseppe Orsi. Ed ha proposto, per bocca di Marcon, «la cancellazione» del programma di acquisto dei discussi cacciabombardieri americani, «con un risparmio – ha spiegato l’ex portavoce della campagna ‘Sbilanciamocì contro le spese militari – di quindici miliardi di euro». Pugliese, esponente del Movimento nonviolento fondato da Aldo Capitini, ha chiesto che si investa di più per la ricerca di soluzioni alternative alla guerra nei conflitti internazionali«. Ma »in un solo anno – ha concluso – l’intero finanziamento per il servizio civile nazionale è di 68 milioni, un terzo del costo di un F35».
Riferendosi alle vicende che hanno investito i vertici di Finmeccanica, Vendola ha detto  che «le tangenti sembrano un ingrediente costante delle politiche delle spese militari, il settore militare puzza molto e occorre fare una discussione sulle politiche industriali e sulla possibilità di riconvertire le spese militari». Il problema, ha continuato, «riguarda le elite dirigenti di questo Paese: la corruzione in Italia è fisiologica per il funzionamento dei grandi poteri e non è una patologia, una malattia, una febbre, ma è fisiologica. È necessario andare in profondità con gli strumenti legislativi e normativi nella lotta alla corruzione».
Sel ha anche presentato un  documento di risposta alle richieste-proposte della Rete Disarmo e della Rete dei Corpi Civili di pace che è possibile consultare sul sito dedicato al programma.

(Comunicato stampa SEL nazionale)

Pd, il fallimento di "andare da solo" e il rischio di andare con troppi

n questi giorni ho letto, su l'Unità, un articolo di Alfredo Reichlin, che fu un autorevole dirigente del Pci e che adesso è un fervente sostenitore del Pd. Reichlin spiega perchè, secondo lui, è necessario che il Pd sia alleato con Sel, ma cerchi accordi anche con i "centristi". Io la la penso diversamente, ma non è questo il punto che mi pare più rilevante nell'articolo. Il punto è la "teoria"generale che viene affermata: è sbagliato e perdente andare da soli. Esattamente il contrario della teoria - è giusto e vincente andare da soli - sulla quale il Pd è nato e ha vissuto la sua prima fase. Ricordo molto bene l'insistenza con la quale, allora, si predicavano le magnifiche sorti e progressive di un partito che, pretendendo di inglobare tutto al proprio interno, avrebbe spazzato via le "vecchie" categorie della politica. In breve tempo, questo schema puramente ideologico ha provocato l'effetto paradossale di moltiplicare - a sinistra, al centro, sopra, sotto... - i soggetti politici con i quali il Pd si trova a discutere di alleanze e di accordi. Con il rischio di passare da un estremo (andare da soli) all'altro (andare con troppi e troppo diversi). Entrambi sbagliati.

Stefano Morselli

dal sito nazionale di SEL

L’Agenda del Disarmo e della Pace sarà parte del nostro impegno in parlamento

di MARCON e PUGLIESE

lunedì 11 febbraio 2013

Assemblea Cgil: un incontro segnato dalla gravità dei dati della crisi

Ho partecipato anche io all'incontro organizzato dalla Cgil al cinema di via Ferrari Bonini con i candidati reggiani al parlamento. Devo dire che in quella assemblea sono stati toccati molti dei punti che anche Lei solleva nell'editoriale di domenica. A questa campagna, anche a Reggio, manca qualcosa: in particolare manca la consapevolezza tra gravità della crisi economica del paese e ricadute sul piano territoriale in particolare per una realtà come la nostra passata da una lunga fase di espansione ad una rapido declino come si evince dai dati drammatici della cassa integrazione e dagli iscritti alle liste di disoccupazione. Tutto ciò rende necessario, dopo le elezioni, uno sforzo di sistema, che deve chiamare in causa la politica, le associazioni, le istituzioni e i cittadini, per fare uscire il tessuto economico e sociale di Reggio Emilia dalla crisi, su questo impegno si dovranno misurare le coerenze tra programmi elettorali e fatti concreti perché il lavoro e la politica possano incontrarsi in un rapporto di fiducia e di ritrovata credibilità, altrimenti a rimetterci ancora più pesantemente saranno i lavoratori e le aziende. Nel caso dell'assemblea con i delegati sindacali lavoratori della Cgil, si è trattato di un incontro segnato dalla gravità dei dati della crisi e dalla necessità di riavvicinare lavoro e politica, un incontro animato e intenso, come tutte le assemblee sindacali, dal quale sono emersi chiaramente sia il disagio dei tanti lavoratori in sala, che più in generale è anche il disagio del mondo del lavoro in Italia, che la speranza e la voglia di dare una sterzata, di dare un cambiamento a questo Paese che da 20 anni si arrabatta negli illusionismi del berlusconismo. Tra i punti emersi nel dibattito, la necessità di difendere l'art.18: non è rendendo ancora più precario il posto di lavoro a chi ancora ce l'ha che l'Italia potrà uscire dalla crisi, la manomissione dell'art.18 non la chiedono neppure le imprese. Devo dire che a quella appassionata assemblea fischi non ne ho sentiti. E anzi, se un messaggio forte è uscito dall'assemblea, è che da questa crisi drammatica, che colpisce duro anche a Reggio Emilia, e non solo il sistema di welfare ma anche realtà aziendali che da sempre sembravano solidissime (grandi imprese cooperative, ma anche gruppi industriali di primaria importanza come Mariella Burani e Dallari, per citare solo i casi più clamorosi, assieme a una miriade di piccole e piccolissime imprese) non si esce con i fischi, nè con i vaffa nè tanto meno con le promesse irrealizzabili e mirabolanti. Se vogliamo uscire dalla crisi, se vogliamo che ai giovani non sia riservato un futuro fatto di precarietà e di emigrazione in territori dove il lavoro c'è, c'è una sola possibilità: un voto utile per modernizzare il paese, risanare l’economia, l’ambiente con il voto alla coalizione del progressisti e del centrosinistra.

Franco Ferretti

domenica 10 febbraio 2013

Carceri: un'alternativa c'è. Basta volerla vedere.

La politica è sorda alle soluzioni più efficaci e più economiche della società civile:  vi racconto cosa fà e cosa ha proposto la mia Comunità.

Ci sono 55 bambini chiusi nelle carceri con le loro madri. Abbiamo parlato con le alte cariche del ministero della Giustizia dichiarando la nostra disponibilità piena ad accogliere gratuitamente tutte le mamme con i loro figli. Perché non rispondono ?
La Comunità Papa Giovanni XXIII da anni sta portando avanti il progetto CEC (Comunità Educante con i Carcerati - apri link) sperimentato già da anni in Brasile, dove alcune carceri sono gestite dai detenuti stessi (APAC). In Italia oggi oltre 300 detenuti ed ex detenuti svolgono percorsi educativi nelle nostre strutture, in cui la recidiva alla delinquenza si abbassa dal 70% (uscendo da un carcere il 70% degli ex detenuti ritorna a delinquere) al 10 %. Tale progetto potrebbe in poco tempo estendersi a 20/30.000 detenuti. Il costo di un detenuto in pena alternativa in una CEC si riduce del 75% rispetto al costo di un detenuto in carcere
Abbiamo portato questa proposta anche in sede Europea, eppure assistiamo all’immobilità della politica Italiana, incapace di dare risposte.
Certamente oggi l’amnistia che il presidente Napolitano auspica è necessaria, ma è una risposta emergenziale che non risponde nè al bene della società, nè al bene degli stessi detenuti.
E’ il tempo di passare davvero da una giustizia vendicativa ad una giustizia educativa.

Laura Vezzosi 

Due Stati? Una menzogna.

GINEVRA – Il consiglio dei diritti umani dell'Onu ha chiesto a Israele di: «Fermare tutte le attività d’insediamento senza precondizioni e avvii un processo di ritiro di tutti i coloni dai Territori». Secondo il rapporto dell'inchiesta guidata dalla giudice francese Christine Chanet, reso pubblico oggi a Ginevra (in data 06-02-013): «Un numero elevato di diritti umani dei palestinesi sono violati a causa dell'esistenza delle colonie».
Chi è vissuto in Israele-Palestina dall’attentato alle torri gemelle in poi, può costatare che siamo in una nuova fase politica rispetto ai rapporti tra l’amministrazione israeliana e le Nazioni Unite. Per decenni, il Consiglio di sicurezza dell’ONU, tramite il veto americano, ha bocciato ripetutamente le risoluzioni pro-palestinesi. Oggi, invece, la Palestina è membro osservatore delle Nazioni Unite e l’ONU intende intraprendere un percorso di diritto internazionale in favore dei palestinesi. Una svolta forse dovuta ai cambiamenti geo-politici causati dalla primavera araba, un nuovo scacchiere in cui Israele ha perso tutti i suoi alleati. A questo punto s’imporrebbe uno sforzo per terminare gli accordi di pace, Israele ne avrebbe una grande convenienza ma l’amministrazione Nethanyahu è decisa a continuare la costruzione d’insediamenti nel West-Bank, i cosiddetti territori occupati, e mantenere lo Status quo.

Tuttavia, c’è un problema che molti in Occidente non sanno, l’ipotesi dei due stati è inattuabile, basta vedere la cartina geografica del West-Bank (colori in azzurro-blu=insediamenti, castano-marrone=aree palestinesi). È impossibile ricavare un territorio che possa chiamarsi “nazione” dove uno “stato palestinese” non avrebbe lo sbocco naturale verso il confine Giordano (zona completamente sotto giurisdizione israeliana), un porto sul mare (Gaza è staccata dal West-Bank); a nord, verso il Libano vi è la Samaria (area di giurisdizione israeliana) e a sud il Negev (area militare israeliana). Oltre al totale isolamento esterno, l’area palestinese del West-Bank è in pratica una macchia di leopardo senza nessuna continuità territoriale. La scelta dei due stati, stando alla situazione attuale, è in realtà una grande menzogna mediatica. Le amministrazioni israeliane lo sanno bene, per cui alcuni dirigenti prevedono il trasferimento in massa di tutti i palestinesi; ma cosa accadrà in una situazione geo-politica d’isolamento internazionale in cui sempre più Israele si trova?
Baruch ha sòfer

mercoledì 6 febbraio 2013

Nichi Vendola - Martedì 12 Febbraio al Circolo Arci Fuori Orario



Circolo Arci Fuori Orario,
Via Don Minzoni 96/b, Taneto di Gattatico (RE)
puoi partecipare alla cena a buffet delle ore 20,00 prenotando anche al link
Ecco come arrivar
Ecco come arrivare

Monti o non Monti? Un tormentone noioso, inutile, controproducente

Da semplice cittadino che voterà per la coalizione di centrosinistra, vorrei che il centrosinistra vincesse le elezioni, ottenesse la maggioranza in Parlamento e formasse un proprio governo. Sembra una ovvietà totale, ma in Italia non è così, come dimostra questo noioso, inutile e controproducente tormentone sulla "alleanza con Monti". Posto che al 99% dei potenziali elettori di centrosinistra interessa - assai più che dissertare su alleanze con Tizio o con Caio - conoscere quali sono le idee e i programmi del centrosinistra per risolvere i problemi, sarebbe molto opportuno impiegare tutte le energie per elaborare e divulgare nel modo più efficace quelle idee e quei programmi. Sui quali, appunto, il centrosinistra deve chiedere agli elettori il pieno mandato a governare. Se il pieno mandato non ci fosse - e se non si trovassero in Parlamento eventuali sostegni anche esterni alla coalizione di centrosinistra ma coerenti con le idee e programmi presentati in campagna elettorale - se ne dovrebbe prendere atto e non resterebbe che restituire la parola agli elettori. Ma intanto, deve essere chiaro che la coalizione di centrosinistra intende vincere le elezioni, ottenere la maggioranza, formare un proprio governo.  Senza se e senza ma. 

Stefano Morselli

DIRITTI CIVILI IN ITALIA


(ANSA) - LONDRA, 5 FEB - Primo si' di Londra alle nozze gay.
La Camera dei Comuni britannica ha approvato la legge che autorizza i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Ora il provvedimento passa alla Camera alta del Parlamento, the House of Lords, che dovrà pronunciarsi a maggio. Poi tornerà ai Commons per un secondo voto.(ANSA).

Un bel risveglio questa mattina, anche in Inghilterra si avvicina la possibilità per le persone omosessuali di contrarre il matrimonio; qualche giorno fa abbiamo avuto la notizia della Francia che ha approvato definitivamente il matrimonio per tutti.
Ieri sera a Reggio Emilia con l'arcigay Gioconda abbiamo organizzato un dibattito sui diritti per le persone lgbtqi (lesbica, gay, bisessuale, trans, queer, intergender) con i candidati del PD Antonella Incerti, Sergio Lo Giudice e i candidati di SEL Elena Tagliani e Giovanni Paglia, Bellissimo dibattito dove si sono toccati direi tutti i temi legati al mondo omosessuale, matrimonio, unioni civili alla tedesca, omofobia, tutela delle persone trans, modifica della legge 164, famiglie, Tutti d'accordo che la famiglia è un insieme di persone che si vogliono bene, si amano, e che ad oggi abbiamo molte famiglie di ogni tipo.
Si è molto discusso sul matrimonio, l'italia è ancora uno dei pochi stati insieme alla Grecia e altri paesi dell'est a non avere il matrimonio per tutti ma solo per le persone eterosessuali. Da distinguere però il matrimonio con le unioni civili, perchè ok il matrimonio ma dopo ci sarò sempre chi decide di non sposarsi ma essere riconosciuti come coppia eterosessuale o omosessuale, quindi una legge sulle unioni civili. Secondo Lo Giudice candidato al senato per il PD ci spiega in cosa consistono le unioni civili alla tedesca, tipo il matrimonio ma non sia hanno pienamente pari diritti. Secondo lui, il matrimonio omosessuale è un forte segnale che può aiutare la comunità non solo ad essere parificati alle persone eterosessuali ma può essere anche un grosso contrasto all'omo/transfobia. Rimanendo sull'omo/transfobia, ieri sera è stato chiesto se una legge sul matrimonio, sull'omo/transfobia possano bastare per contrastare il bullismo nelle scuole e nella vita quotidiana, tutti d'accordo che non basta e non sarà immediato un miglioramento della vita lgbtqi perchè, si ci vogliono le leggi che tutelino, ma ci vuole anche informazione nelle scuole, dove maggiormente accadono atti di bullismo omo/transfobico fatto spesso in modo casuale, formare gli insegnanti e i datori di lavoro sulle differenze e tutele delle persone, soprattutto quelle transessuali. Antonella Incerti Candidata alla camera per il PD, ha ben chiaro questo obbiettivo
Abbiamo aperto una finestra ieri sera sulle persone trans, Elena Tagliani candidata al senato per SEL, collabora da anni con il MIT (Movimenti identità transessuale) e ha spiegato al pubblico presente al dibattito perchè è necessario una modifica della legge 164/1982 che prevede la rettificazione di attribuzione di sesso "diverso da quello enunciato nell'atto di nascita" solo "a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali" (primari). Una persone deve essere libera di poter cambiare i suoi dati anagrafici sui documenti anche senza il bisogno di ricorrere all'operazione finale del percorso transessuale.
Nel dibattito siamo arrivati anche a toccare il punto della laicità dello stato, Giovanni Paglia, candidato alla camera per SEL ha ribadito più volte e con tono convinto e quasi arrabbiato che il parlamento italiano non può prendere decisioni in base al pensiero di della chiesa o di cardinali, ricorda con chiarezza che il vaticano ha un suo stato indipendente da quello italiano, e che quello italiano dovrebbe essere più indipendente da quello del vaticano, in Italia si crede che il voto di un cardinale valga di più che quello di un singolo cittadino, non è vero! quando andiamo a votare siamo tutti uguali e il valore del voto è uguale per tutti!
A fine dibattito lasciamo la parola al pubblico che più che delle domande ci fa delle considerazioni, siamo tutti felici che si parli di questo ma noi omosessuali siamo stanche di non aver nessun tipo di legge che ci tuteli e parifichi alle persone eterosessuali, la popolazione è più aggiornata rispetto alle persone che ci sono ora in politica e il Presidente di arcigay Gioconda Fabio Astrobello si dice contento e fiducioso che, persone come i quatto candidati presenti al dibattito, possano arrivare in parlamento e lavorare seriamente anche sui temi civili e culturali.
Io ora faccio delle mie considerazioni dopo questo dibattito, ho sentito molto parlare di modello tedesco, modello inglese, ad oggi il modello inglese è arrivato al matrimonio, tra poco quello tedesco arriverà lui a modificarsi ed essere matrimonio, noi dobbiamo per forza seguire questi "modelli", non riusciamo per una volta a lanciarlo noi un modello civile italiano? chi va al governo oltre a tutto il lavoro che si troverà da fare si deve impegnare a fare delle leggi complete sui diritti delle persone lgbtqi cioè legge sull'omofobia, sul matrimonio, diritti civili e adozioni! così lanciamo un messaggio europeo che l'italia è tornato un paese civile al passo con i tempi e soprattutto un paese che rispetta le norme europee. Io da donna omosessuale non accetto più che si facciano delle leggi contentino, intanto ti do le unioni civili alla tedesca così per un po state buoni poi vedremo..NO! io nel 2013 voglio tutte le leggi che mi spettano perchè sono uguale a qualsiasi altra persona eterosessuale, vado a lavorare, pago le tasse, vado a votare, ecc..
vorrei fare una domanda per chiudere e far riflettere i candidati che andranno a governare, "io, donna, lesbica, disoccupata, giovane, chiedo almeno 2 buoni motivi per rimanere in Italia e non trasferirmi in un paese più civile e serio." 

Fabiana Montanari.

martedì 5 febbraio 2013

Monti-Di Paola, il governo bellico e menzognero da ripudiare

16647_a36575Nel pieno di questa campagna elettorale, nella quale il tema della abnormità delle spese militari italiane è finalmente entrato nel circuito mediatico, anche il presidente Monti nella puntata di “presa diretta” di Riccardo Iacona di domenica 3 febbraio, ha preso tecnicamente le distanze dai caccia F-35: "E' utile qui ricordare che l'Italia ha aderito al programma F35 nel 1999 con il governo D'Alema, ha confermato la partecipazione con il secondo governo Berlusconi nel 2002 e poi ci sono stati ulteriori passi fatti dal governo Prodi e nel febbraio 2009 dal governo Berlusconi. Il nostro governo è stato l'unico a ridurre il numero degli F35 da 131 a 90...". Non ha torto Monti a ricordare il consenso bipartisan della politica sui cacciabombardieri. Anzi aggiungiamo che anche le spese militari complessive hanno visto nel tempo un inesorabile trend crescente nel bilancio dello Stato, indipendentemente dal colore dei governi in carica e dalla loro fisionomia più o meno rigorista sulla spesa pubblica. E' un dato sul quale c'è molto da riflettere. 

Ma non dice tutto il vero il presidente Monti, non può tirarsene fuori come se il fatto non lo riguardasse. Già nella foto d’insediamento del suo governo tecnico c’è qualcosa di stonato a riguardo: un Ammiraglio al “Ministero della Difesa”, ad annunciare che la difesa della Patria non ha più bisogno di governo politico (cioè democratico),ma è tout court “cosa loro” dei militari. Come se fossimo tornati al “Ministero della guerra”, di fascista memoria. E non si tratta di un Ammiraglio qualsiasi, ma proprio di quello (come ricorda wikipedia) che “A Washington D.C., il 24 giugno 2002 (2° governo Berlusconi, con ministro della Difesa Antonio Martino ndr), con la qualifica di Direttore Nazionale degli Armamenti firma al Pentagono il pro-memoria d’intesa che impegna l’Italia alla partecipazione del programma F-35, per l’acquisto di 131 cacciabombadieri”. Insomma l’uomo giusto, al posto giusto, al momento giusto, per la casta militare.

Eppure, ha ragione a ricordarlo Monti, il suo governo sembra andare in contro-tendenza: i famigerati cacciabombardieri sono ridotti da 131 a 90! Ma gli entusiasmi (se qualcuno li ha avuti…) si spengono subito. Non solo perché questo programma di folle riarmo d’attacco, anche nucleare, è contrario nella sua stessa natura alla Costituzione italiana, non solo perché in questo momento di estrema crisi economica – in cui il governo taglia tutte le protezioni sociali – anche un solo ulteriore mostro di guerra è già troppo, ma anche perché è subito palese che si tratta di un falso risparmio: tagliare il numero dei caccia porta al rialzo del loro prezzo unitario. Parte cosi la girandola delle balle governative e militari (che ormai sono una cosa sola): rinunciare al “programma” comporta il pagamento di gravi penali, l’assemblaggio dei caccia porta 10.000 posti di lavoro, ciascun caccia costa “solo” 80 milioni…Una dopo l’altra queste menzogne, raccontate anche al Parlamento italiano, vengono smentite dagli attenti ricercatori della Rete Italiana Disarmo: nessuna penale, poche centinaia di posti di lavoro (e neanche nuovi), il costo di ciascun caccia di aggira sui 200 milioni di euro (senza contare i costi di manutenzione)… Sapevamo che la prima vittima della guerra è sempre la verità, ma questo governo ha superato anche la massima bellica: già con la sua corsa agli armamenti ha ucciso la verità.

In compenso, mentre tutto il mondo associativo aveva sperato che la delega governativa del Servizio Civile Nazionale ad un ministro come Andrea Riccardi portasse ad un rilancio di questo Istituto di difesa civile, come previsto dalla legge istitutiva (n. 64/2001), anche i già miseri finanziamenti previsti vengono dimezzati e portati a soli 68 milioni di euro per un anno: meno di un terzo del costo di un solo cacciabombardiere! Contemporaneamente l’Ufficio nazionale per il Servizio Civile viene accorpato al “dipartimento per la gioventù” ed è cancellato il “Comitato consultivo per la difesa civile non armata e nonviolenta” . Un colpo di spugna alla possibilità di costruzione di una difesa non armata e nonviolenta della Patria, coerente con l’art. 11 della Costituzione. Scelta rispondente invero all’altra coerenza, quella che consegna il ministero della Difesa ad un ammiraglio!

Infine, il colpo di coda del 11 dicembre scorso: mentre importanti disegni di legge, come la riforma delle legge elettorale e il conflitto d’interessi, non hanno trovato l’accordo tra le parti e il tempo per essere discusse, viene approvata in Parlamento a larga maggioranza e in fretta e furia la legge delega di “riforma dello strumento militare” , con la quale il governo Monti-Di Paola ha consegnato ai militari qualcosa come 230 miliardi di euro per i prossimi 12 anni, con il privilegio assoluto della completa autonomia di spesa.
Insomma quello Monti-Di Paola è stato un governo bellico e menzognero da dimenticare. Anzi da ripudiare.

Pasquale Pugliese