mercoledì 15 ottobre 2014

Le bombe d'acqua e la fiera dell'ipocrisia

Michele Bonforte
coord. prov. SEL Reggio Emilia

In questi mesi abbiamo scoperto un nuovo fenomeno atmosferico: le bombe d'acqua. Lo scivolamento semantico dal più neutro nubifragio alle bombe, sembra servire a discolparci. Di fronte ad un vero e proprio bombardamento sembriamo più propensi a cercare colpevoli in chi non riesce a prevedere questi eventi, che non in chi avrebbe dovuto rendere il nostro territorio capace di resistervi.
Ovviamente le bombe d'acqua non esistono. Si tratta di fenomeni atmosferici estremi, ma noti, che da decenni colpiscono il nostro territorio. Certo il riscaldamento globale può aver contribuito ad un acutizzarsi dei fenomeni, ma quello che è cambiato è soprattutto il territorio, più fragile perché più costruito, meno adatto ad assorbire gli urti del maltempo.
Per decenni il movimento ambientalista ha segnalato l'esigenza di porre mano alle conseguenze delle nostre azioni sul territorio, e ha segnalato i pericoli che ne sarebbero potuti derivare per tutti noi.
Ma l'intera classe dirigente, inclusi i grandi giornali che oggi a gran voce invocano la prevenzione, ha dapprima considerato le proposte ambientaliste come folclore, e poi le ha indicate come causa della stagnazione del paese.

La proposta di destinare delle risorse ingenti ad un piano di manutenzione del territorio avanzata dagli ambientalisti e da SEL è stata beatamente ignorata.
Nel mentre ben maggiori risorse vengono destinate a grandi opere che stressano il territorio (prima il Mose, ora il gasdotto in puglia, l'alta velocità nelle valli alpine, ecc).
Ora gli stessi che per decenni hanno ignorato o persino difeso il sacco del territorio, si stracciano le vesti per il fango che copre come un sudario i centri storici di belle città come Genova e Parma. Con l'arroganza di chi non deve rendere mai conto di quello che ha detto e fatto per decenni, si cerca il capro espiatorio nel blocco di questo o quel cantiere, la cui efficacia nel contenere le “bombe d'acqua” è tutta da dimostrare.
Nulla si dice di decenni di costruzione sugli alvei dei fiumi, sull'abbandono delle montagne e della manutenzione dei boschi e degli alvei.
Siamo pronti oggi ad immolare il sindaco di turno per celebrare un rito sacrificale, pronti da domani a chiedere grandi opere come prima, a dileggiare gli ambientalisti come prima, fino alla prossima bomba d'acqua o al prossimo terremoto.
Nella fiera dell'ipocrisia nessuno sembra avere il coraggio di dire le uniche cose sensate da dire: che una parte del territorio che abbiamo sottratto ai fiumi va restituito, che bisogna liberarli da argini di cemento per permettere esondazioni controllate in campagna e non in città, che bisogna demolire intere zone industriali, commerciali e residenziali costruite dove non dovevano esserlo.
Siamo tutti colpevoli, per non aver voluto vedere mentre tutto ciò accadeva, per non aver voluto ascoltare i pochi che ci avvertivano dei danni, per aver votato per decenni chi sul sacco del territorio ha pensato di costruire il proprio successo politico o economico.

Ora non ci sono soluzioni miracolistiche: anche se cominciassimo a correre ai ripari da domani, per anni saremo sotto tiro di una natura che non è vendicativa, ma che semplicemente non può essere ignorata.

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