Stefano Morselli
La
manifestazione della Cgil a Roma e la convention renziana alla Leopolda
hanno offerto, per la loro concomitanza, una plastica ed efficace
rappresentazione della fase politica in cui ci troviamo. E' possibile
che qualche nodo stia venendo al pettine.
Intendiamoci: i nodi erano in gran parte lì, fin dal primo momento. Da quando Valter Veltroni teorizzò con molta (ma da molri volutamente ignorata) chiarezza il Pd come "partito riformista MA NON di sinistra". Da quando, di conseguenza, il falco confindustriale Calearo e la clericale integralista Paola Binetti - tanto per fare solo due nomi, il primo poi passato con il Banana, la seconda con Casini - furono indicati come simboli del nuovo corso, non meno importanti dell'operaio Boccuzzi, scampato alla tragedia Thyssen Krupp, e del laicista impenitente Odifreddi. Da quando, insomma, si propagandò l'idea che un contenitore unico "a vocazione maggioritaria" e all'insegna del "ma anche" non dovesse più rappresentare "una parte" - come suggerisce perfino la parola stessa "partito" - ma potesse e anzi dovesse ospitare tutto (e il contrario di tutto).
D'altra parte, anche Forza Italia e dintorni non era una normale destra europea, bensì un agglomerato che raccoglieva sì il consenso diun bacino elettorale di destra, ma lo piegava al domimio e alle utilità di un capo e di una corte assai più sensibili ai propri interessi, spesso illegali e addirittura malavitosi, che a un qualsiasi ideale politico. Fu così ch il Pd - pur segnato da continue e mai risolte contraddizioni, in alcuni casi anche da microscissioni di ceto politico attratto dalla "destra" allora vincente - riuscì sostanzalmente a stare insieme, soprattutto a mantenere gran parte dell'elettorato di sinistra. Un po' per il perdurante spauracchio-Banana, un po' per l'oggettiva difficoltà e la scarsa consistenza dei tentativi di costruire a sinistra qualcosa di nuovo e di diverso.
Ora, però, siamo in un'altra fase La crisi economica, il tramonto del Banana, il fenomeno grillino, la crescita dell'astensionismo, l'affermazione di Renzi hanno interrotto il precedente e ormai esausto copione del gruppo dirigente ex comunista ed ex democristiano. Non condivido l'opinione di chi, cadendo un po' dal pero, sostiene che Renzi tradisce e stravolge lo spirito originario del Pd. Piuttosto, lo estremizza e lo dilata fino alle sue estreme conseguenze: il "partito della nazione", che va dal comunista Gennaro Migliore a Davide Serra, finanziere ultraliberista e star della Leopolda. Che ingloba per intero pezzi di centro e - perchè no? - di quella destra con la quale è già adesso alleato strategico di legislatura, non più per emergenza contingente. Non c'è bisogno di spiegare che, in questo scenario, le varie componenti avrebbero un ruolo e un peso ben diverso. La sinistra interna, in particolare, conterebbe politicamente ancora meno di quel (poco) che conta adesso, anche se - come "sinistra di sua maestà" - manterrebbe una funzione decorativa, di specchietto rivolto verso una certa quota di elettorato.
Io non so prevedere se, quando e come la sinistra interna al Pd abbia intenzione di affrontare davvero questa situazione. Osservo, però, che l modo con il quale (non) l'ha affrontata finora ricorda parecchio la storia dell'apprendista stregone. Giunti a questo punto, dubito molto che il percorso del Pd sia reversibile. Renzi non è un "usurpatore": è stato regolarmente eletto segretario del Pd (non capo del governo: quello, in Italia, non si elegge più da tre anni). Al netto dei fenomei di opportunismo e di trasformismo, che pure sono evidentemente presenti. Ilvo Diamanti ha recentemente spiegato su Repubblica che è in corso una "mutazione" nel corpo e soprattutto nel voto del Pd. Che si riduce quello di sinistra, frammentato qua e la o verso l'asentensione, mentre aumenta quello centrista e di centrodestra.
Se questo è vero, basta salvarsi la coscienza dicendo che non si è d'accordo su questo e su quell'altro, fare qualche guerricciola di corrente, ma poi allargare le braccia e aspettare un Godot che non arriva mai? Non è il momento di pensare a qualcosa di nuovo? E se non ora, quando?
Intendiamoci: i nodi erano in gran parte lì, fin dal primo momento. Da quando Valter Veltroni teorizzò con molta (ma da molri volutamente ignorata) chiarezza il Pd come "partito riformista MA NON di sinistra". Da quando, di conseguenza, il falco confindustriale Calearo e la clericale integralista Paola Binetti - tanto per fare solo due nomi, il primo poi passato con il Banana, la seconda con Casini - furono indicati come simboli del nuovo corso, non meno importanti dell'operaio Boccuzzi, scampato alla tragedia Thyssen Krupp, e del laicista impenitente Odifreddi. Da quando, insomma, si propagandò l'idea che un contenitore unico "a vocazione maggioritaria" e all'insegna del "ma anche" non dovesse più rappresentare "una parte" - come suggerisce perfino la parola stessa "partito" - ma potesse e anzi dovesse ospitare tutto (e il contrario di tutto).
D'altra parte, anche Forza Italia e dintorni non era una normale destra europea, bensì un agglomerato che raccoglieva sì il consenso diun bacino elettorale di destra, ma lo piegava al domimio e alle utilità di un capo e di una corte assai più sensibili ai propri interessi, spesso illegali e addirittura malavitosi, che a un qualsiasi ideale politico. Fu così ch il Pd - pur segnato da continue e mai risolte contraddizioni, in alcuni casi anche da microscissioni di ceto politico attratto dalla "destra" allora vincente - riuscì sostanzalmente a stare insieme, soprattutto a mantenere gran parte dell'elettorato di sinistra. Un po' per il perdurante spauracchio-Banana, un po' per l'oggettiva difficoltà e la scarsa consistenza dei tentativi di costruire a sinistra qualcosa di nuovo e di diverso.
Ora, però, siamo in un'altra fase La crisi economica, il tramonto del Banana, il fenomeno grillino, la crescita dell'astensionismo, l'affermazione di Renzi hanno interrotto il precedente e ormai esausto copione del gruppo dirigente ex comunista ed ex democristiano. Non condivido l'opinione di chi, cadendo un po' dal pero, sostiene che Renzi tradisce e stravolge lo spirito originario del Pd. Piuttosto, lo estremizza e lo dilata fino alle sue estreme conseguenze: il "partito della nazione", che va dal comunista Gennaro Migliore a Davide Serra, finanziere ultraliberista e star della Leopolda. Che ingloba per intero pezzi di centro e - perchè no? - di quella destra con la quale è già adesso alleato strategico di legislatura, non più per emergenza contingente. Non c'è bisogno di spiegare che, in questo scenario, le varie componenti avrebbero un ruolo e un peso ben diverso. La sinistra interna, in particolare, conterebbe politicamente ancora meno di quel (poco) che conta adesso, anche se - come "sinistra di sua maestà" - manterrebbe una funzione decorativa, di specchietto rivolto verso una certa quota di elettorato.
Io non so prevedere se, quando e come la sinistra interna al Pd abbia intenzione di affrontare davvero questa situazione. Osservo, però, che l modo con il quale (non) l'ha affrontata finora ricorda parecchio la storia dell'apprendista stregone. Giunti a questo punto, dubito molto che il percorso del Pd sia reversibile. Renzi non è un "usurpatore": è stato regolarmente eletto segretario del Pd (non capo del governo: quello, in Italia, non si elegge più da tre anni). Al netto dei fenomei di opportunismo e di trasformismo, che pure sono evidentemente presenti. Ilvo Diamanti ha recentemente spiegato su Repubblica che è in corso una "mutazione" nel corpo e soprattutto nel voto del Pd. Che si riduce quello di sinistra, frammentato qua e la o verso l'asentensione, mentre aumenta quello centrista e di centrodestra.
Se questo è vero, basta salvarsi la coscienza dicendo che non si è d'accordo su questo e su quell'altro, fare qualche guerricciola di corrente, ma poi allargare le braccia e aspettare un Godot che non arriva mai? Non è il momento di pensare a qualcosa di nuovo? E se non ora, quando?
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