giovedì 3 aprile 2014

Rischi autoritari dall’avventurismo istituzionale di Renzi.

Michele Bonforte

Già una volta il PD ha pasticciato con la costituzione creando gravi danni al tessuto istituzionale. La modifica del titolo 5° fu fatta sull’onda del federalismo. Oggi proprio quella modifica è indicata come una delle cose da cambiare, dagli stessi che l’hanno voluta. Nella vita politica del nostro paese è questo un vezzo diffuso: faccio un danno e poi mi candido a porvi rimedio, magari cavalcando l’ultima onda emotiva dell’opinione pubblica.
Prima era il federalismo a tutti i costi, oggi la riduzione dei costi della politica. Per fortuna i padri costituenti imposero un percorso lungo per le modifiche costituzionali, altrimenti oggi avremmo una costituzione arlecchino, fatta con le toppe delle mode del momento.
Oggi l’esigenza di Renzi è quella di farsi interprete della rabbia montante contro la politica. Nulla conta che questa rabbia sia alimentata da una crisi economica e sociale che dura da 5 anni e a cui non si da risposta efficace. Nulla conta che i detentori più genuini della rabbia contro la politica (il M5S) siano contrari alle proposte di riforma istituzionale di Renzi. Meno ancora conta che la gran parte degli studiosi della costituzione segnalino gravi incongruenze e rischi autoritari nella proposta del governo. Quello che importa a Renzi è di intestarsi il sentimento dell’antipolitica per affrontare le elezioni europee.
Il caso della cosiddetta abolizione del Senato è da manuale.
Intanto non è una abolizione, ma la sostituzione di un Senato elettivo con uno di nominati. Il modello è quello del Senato delle regioni (il Bundesrat tedesco), solo che Renzi si è dimenticato, nella fretta, di leggere la pagina di Wikipedia attinente. Il Bundesrat è si non elettivo, ma è composto solo da delegati dei governi regionali, con vincolo di mandato, e ha una funzione legislativa per le materie federali.
L’idea bizzarra che il nuovo Senato italiano sia fatto direttamente da Presidenti di Regione e Sindaci di grandi città, è una deformazione assurda della rappresentanza (la maggioranza degli italiani vive fuori dalle grandi città). E questi sindaci, che già devono occuparsi della gestione delle Provincie, non avendo nulla da fare, si dovranno dividere fra città amministrate e Senato.
Questa idea balzana dipende solo dall’esigenza di non pagare i nuovi senatori, realizzando un risparmio così piccolo che qualunque proposta alternativa realizzerebbe risparmi maggiori.
Una seria riforma che superi il bicameralismo perfetto, per arrivare a camere con diverse competenze, avrebbe bisogno di una meditata riformulazione di molti capitoli della costituzione.
Ma l’inno alla velocità di Renzi rischia di farci rimpiangere persino la proposta del centro destra sul Senato federale, bocciata insieme al presidenzialismo da un referendum popolare.
Ma è questo presidenzialismo uscito dalla porta che rischia di tornare dalla finestra. Perché nel caos creato da una legge elettorale ipermaggioritaria e da un senato dei sindaci, la proposta di Berlusconi di dare ordine al sistema con l’elezione diretta del presidente della repubblica o del consiglio rischia di essere per Renzi il male minore.
E per noi l'incubo peggiore.

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