La delusione
Avevamo sperato non tanto che il berlusconismo fosse finito – i processi culturali profondi hanno tempi di trasformazione che si misurano sulle fasi della storia, non della cronaca – ma che almeno la persona di Silvio Berlusconi e la varia antropologia umana della quale è circondato fosse ormai sostanzialmente da considerare nell’archivio della politica italiana. Lo avevamo sperato, ma sapevamo che la potenza delle sue batterie mediatiche, combinate all’analfabestismo di massa degli italiani (spiega Tullio De Mauro che solo il 20% degli italiani è in grado di comprendere e svolgere un pensiero complesso), alla loro ricattabile precarietà lavorativa ed esistenziale, al dominio diretto e/o indiretto esercitato dalle mafie sul voto in parti rilevanti di molte regioni italiane da Nord a Sud (sostanzialmente coincidenti alle regioni nelle quali c”è stato il successo berlusconiano) avrebbero costituito ancora una combinazione pericolosa. Non a caso, fino alla fine della campagna eletttorale, abbiamo cercato di spiegare che la condizione indispensabile, anche se non sufficiente, per qualunque cambiamento – riformista o radicale – sarebbe passato necessariamente dal liberare definitivamente il nostro Paese da un ventennio berlusconiano-leghista, mafioso, fascista e razzista. E cominciare a renderne più respirabile l’aria. Questo non è savvenuto. I molti che a sinistra hanno sottovalutato questo pericolo oggi si trovano fuori da un Parlamento riempito, invece, per un terzo diberluscloni.
L’imprevisto
Nonostante ciò, oggi dico con Edgar Morin che “tutti gli elementi che abbiamo sotto gli occhi ci prospettano scenari apocalittici. Ma nella storia dell’ umanità esiste l’ imprevisto, quel fatto inatteso che cambia il corso delle cose“. Oltre alla rimonta berlusconiana nel voto del 24 e 25 febbraio si è manifestato un altro importante “imprevisto” – tecnicamente non previsto in queste dimensioni dai sondaggi (ne palesi, ne segreti, ne a voto avvenuto) – ossia il successo straordinario del Movimento 5 stelle dal quale, per la legge elettorale in vigore, non si può più prescindere. Questo ha di fatto ribaltato le alchimie delle segreterie di quei partiti che si fanno dettare le agende dei “mercati”, già pronte a cambiare tutto per non cambiare niente, secondo il più classico adagio della storia patria.
Le ragioni di questo successo grillino sono già sotto analisi da varie parti, personalmente mi limito a dire che esso andrebbe letto in parallelo ad una analisi delle debolezze culturali e organizzative di una sinistra, cosiddetta radicale, che si è presentata alle elezioni divisa, preoccupata da un lato di salvare un ceto politico ormai irrimediabilmente del passato e dall’altro – quella per la quale mi sono speso – apparsa più concentrata a mostrare la propria “affidabilità” per la “governabilità”, anziché la propria alterità culturale, se non a sprazzi. Percepite come incapaci di proporre un orizzonte differente, seppur realistico, di risposte che non fossero, in un caso, rinchiuse nell’ininfluente orticello della pura testimonianza e, nell’altro, soverchiate dalla preponderanza del partner grande della coalizione. Distratte dalla necessaria elaborazione e comunicazione di proposte radicali ma credibili, all’altezza delle domande radicalmente vere provenienti dal profondo della società. Domande raccolte e rilanciate invece, seppur a modo suo e condite da un’insopportabile retorica antipolitica, dall’istrionico Beppe Grillo.
La partenza
E dunque siamo qui a dover gestire l’imprevisto. Ora si tratta di mettere in campo tutta le capacità fini volte a trasformare in potenzialità positiva questo momento di crisi di sistema. Se ne può uscire in maniera orrorifica, cioè regressiva e devastante per il Paese, con un accordo – seppur provvisorio – tra i democratici e i beluscloni, con la benedizione di Monti, dei poteri finanziari, degli apparati di partito, che già spiegano come questa sarebbe l’unica soluzione gradita ai “mercati”. Oppure se ne può uscire in maniera positiva, avviando quel moreniano “cambiamento del corso delle cose”, con la ricerca di un vero accordo di governo tra il centro-sinistra e il Movimento 5 Stelle, attraverso una proposta seria di lavoro comune su un programma di governo per il cambiamento reale, che tocchi alcune questioni essenziali per tutti. Una proposta che non possa essere rifiutata dal movimento grillino e dal suo costituendo gruppo parlamentare – nonostante le intemperanze narcisistiche e autoreferenziali del comico genovese – perché volta a segnare una svolta netta rispetto ai governi precedenti, a meno di aprire una contraddizione interna e forte con i loro stessi elettori.
Tra i molti temi possibili, voglio segnalare quello dal quale penso sia necessario partire, perché portatore di un valore in sé, ma anche per il forte impatto reale e simbolico: la completa cancellazione del programma di acquisto dei cacciabombardieri F-35 e l’avvio di un programma di trasferimento progressivo del corrispettivo risparmiato agli Enti Locali ed al Servizio Civile Nazionale, ossia al welfare, ai giovani, alla difesa civile della Patria. Del resto, sia la delega imposta al Parlamento uscente dall’ammiraglio Di Paola per la “riforma dello strumento militare” che la sua dichiarazione alla NATO a 3 giorni dalle elezioni, a conferma l’acquisto dei caccia, hanno voluto mettere questo nuovo parlamento di fronte ai fatti compiuti. Riaprirli e contraddirli è la prima cosa giusta. Il primo e significativo cambiamento reale. E’ nel programma di Sinistra Ecologia e Libertà, è tra i punti propagandati da Grillo, è nei desiderata del popolo democratico (se non nei suoi vertici), è una richiesta dei movimenti per la pace e il disarmo. Anche la casta militare dovrà farsene una ragione. Se i narcisismi da un lato e gli apparati dall’altro non disperderanno le potenzialità di questo imprevisto.
Pasquale Pugliese
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