La dimensione del successo del movimento 5 stelle ha gettato nella confusione sia i vinti che i vincitori. Quest’ultimi sembrano giocare con la politica e la comunicazione, con proposte naif e una buona dose di approssimazione, recitando l’eterno copione del dico e poi smentisco, con l’unica preoccupazione di svincolarsi dalle responsabilità che derivano dall’essere la lista con maggior consenso.Tutte le altre forze politiche, ed il sistema dei media, non sembrano essersi ripresi. Per certi versi è comprensibile: abbiamo passato gli ultimi mesi a parlare del ruolo inevitabile del centro moderato nel governo del paese, mentre invece sotto i nostri piedi si preparava il terremoto.
Certo noi di SEL abbiamo cercato di segnalare come la sofferenza sociale causata dalle politiche liberiste, attuate prima da Berlusconi e poi da Monti, stesse covando un forte rancore nei confronti della politica vista come un tutt’uno. Inoltre solo pochi mesi fa abbiamo condotto una campagna di raccolta firme per una legge di iniziativa popolare per il reddito minimo garantito nel più totale disinteresse dei media, mentre oggi il tema è al centro dei tentativi di agganciare programmaticamente il movimento 5 stelle.
Sarebbe desiderabile ora che i commentatori mainstream, che così poco avevano capito di quanto stesse accadendo, ci risparmiassero dotte ed improvvisate analisi sulla natura del M5S.
Invece i paralleli si sprecano: chi con cuore pesante vede assonanze con il periodo che precedette il fascismo, chi con un certo spensierato ottimismo vede una opportunità di rinnovamento della classe politica e dei suoi metodi.
Certamente ogni situazione è sempre aperta a sviluppi diversi, ma tali possibili scenari non si colgono scambiando i propri desideri con la realtà.
Vi sono sia rischi che opportunità nella situazione che si è delineata con il voto.
Ma i rischi non mi sembrano quelli segnalati.
Il M5S non pare essere un partito come lo abbiamo conosciuto finora: non difende gli interessi di precisi gruppi sociali dotandosi di una proposta di gestione della cosa pubblica. Non si pone come rappresentante di una “parte” ma del tutto, dei “cittadini” contro una “casta” ben circoscritta. In questo senso è tecnicamente populista, e la sua dichiarata avversità alla distinzione fra destra e sinistra è l’altra faccia di una visione interclassista. Nella narrazione di Grillo non ci sono le classi sociali, e dunque le stesse organizzazioni che le rappresentano (sindacati ma anche associazioni imprenditoriali) sono da superare.
Il M5S non pare essere nemmeno un movimento nel senso classico del termine, poiché non ha una proposta culturale e sociale capace di egemonia nell’ambito del discorso pubblico. Qualunque movimento (sia di destra che di sinistra) propone di reinterpretare il tutto sociale a partire da pochi aspetti particolari: i tea-party con l’eccesso di tasse e di presenza dello stato, i verdi con l’ambiente, ecc. Il M5S invece contiene al suo interno tutti i movimenti di opinione antisistema che si sono espressi negli ultimi anni, anche quando sono palesemente l’uno in contrasto con l’altro.
Per meglio comprendere la natura del M5S giova forse spostare lo sguardo dal vertice (grillo e casaleggio + altri 4-5 redattori principali del blog) e guardare la sua base. Essa è composta da circa 20-30 mila persone che si esprimono nel blog con discorsi imbevuti dei temi di moda degli ultimi anni (il merito, la tecnologia salvifica, la democrazia senza intermediari, ecc.). La loro estrazione sociale, a parere di chi ha avuto modo di studiare il fenomeno da vicino, è prevalentemente della classe media, con la caratteristica di ritenersi sottostimati socialmente. Gran parte di costoro pensa di avere capacità e meriti sottovalutati. Culturalmente vicini alla sinistra (da cui molti provengono) sono ipercritici nei confronti dei partiti, a cui addebitano ogni colpa, e assolutamente acritici nei confronti della leadership del M5S. Anzi spesso si cullano nella risibile illusione che non vi sia una leadership, e che il ruolo di grillo e casaleggio sia di una eccezione momentanea, utile solo per far nascere il movimento.
Se proprio dovessi fare un parallelo con forme già conosciute dell’agire associato, parlerei più che di partito o movimento, del processo di costituzione di una setta.
Gli elementi portanti del M5S mi sembrano una visione catastrofista della realtà, la funzione del capo come guida emozionale, la tendenza ad isolare i propri aderenti dal resto del mondo e a dettarne gli stili di vita, la forte centralizzazione decisionale. Non dimentico che Grillo è passato da una visione demoniaca dell’informatica (quando spaccava i computer nei suoi spettacoli-denuncia) ad una visione salvifica, da una critica dei pericoli della scienza ad una visione magica della scienza (qualcuno ricorda la sua proposta dell’auto ad acqua o a idrogeno?) in palese violazione delle più elementari leggi della termodinamica.
Il rischio vero è quello di far scivolare la “polis” dal discorso razionale e dal confronto fra diversi interessi sociali, a discorsi emozionali, alla costruzione di un “uomo nuovo” da imporre ai diversi interessi in forza di superiori vincoli ecologici. Un eco-tecnologismo di massa, tecnicamente definibile come reazionario, in quanto propugnatore di un ritorno ad una condizione pre-moderna, che vede nel welfare e nella civiltà urbana dei costi insostenibili, per un ritorno ad una dimensione comunitaria di piccola scala, pur se collegati in rete.
Il M5S è un soggetto rivoluzionario, non nel senso politico o sociale del termine, ma in senso propriamente antropologico: vuole cambiare il modo di vivere, il modo di intenderci esseri umani. Il suo orizzonte temporale non è nel cosa fare ora, ma nel cosa fare nei prossimi decenni. Le simpatie di Celentano e Dario Fo sembrano portare acqua a questa impressione. Il rischio è che la critica alla modernità non avvenga in nome di un superiore progetto di promozione della libertà umana, ma di un regresso ad una condizione pre-moderna anche se tecnologica, con una corrosione di punti salienti della modernità fra cui ad es. la condizione delle donne.
Vi sono però delle opportunità da cogliere in quanto sta accadendo. Esse riguardano la sinistra e la possibilità di rinsavire rapidamente dalla sbornia del liberismo, per fare una proposta all’altezza della crisi sociale ed economica che stiamo attraversando. Una proposta che per essere efficace e responsabile deve essere radicale. Non si tratta dunque di inseguire il M5S, per concedere qualcosa in cambio di sostegno politico. Ciò non accadrà, poiché il M5S non vuole cose immediate, ma palingenesi future. La sinistra deve invece guardare dentro di se, volgere lo sguardo verso il suo insediamento sociale per curarne le ferite, attingendo dal proprio bagaglio degli attrezzi: una riforma sociale, una riforma politica, una riforma culturale, una riforma ecologica.
Su questo Renzi ha ragione: il M5S va sfidato, non inseguito. E va sfidato contrapponendo alla loro proposta millenarista e pauperista, una proposta di progresso sociale. E qui Renzi appare essere una manifestazione della malattia più che la sua cura. Una volta assunto tutto il renzismo nel suo portato anticasta, di rinnovamento generazionale, rimarrebbe il più piatto continuismo con le politiche economiche e sociali che ci hanno portato fin qui. Senza una proposta di uscita dalla crisi e dalla condizione di insicurezza sociale non si va avanti.
La sfida sta dunque nella costruzione di un programma di riforma sociale. Questo approccio avrebbe anche il merito di indurre nel M5S un dibattito che li riconduca alla realtà, alla vita quotidiana delle persone, alla prassi democratica del confronto.
Se vogliamo che l’ambigua natura del M5S si risolva verso un percorso positivo, interno al meccanismo democratico, allora penso che si debba dar loro il tempo per confrontarsi con le necessità del fare, del governare, dell’agire il cambiamento.
Un ritorno precipitoso alle urne da questo punto di vista sarebbe negativo. Escluso a priori un governo PD-PdL, ogni altra situazione andrebbe sperimentata. Il centro sinistra deve guadagnare il tempo necessario a dare le più urgenti risposte al malessere sociale. La ripetizione delle elezioni fra 3 mesi, nel mentre la crisi si aggrava, rischia di consegnarci un risultato elettorale maggiormente condizionato dai populismi e dalla rabbia.
Il centro sinistra deve presentarsi con una proposta di radicale discontinuità con il liberismo sia nel programma che nella squadra di governo. La biografia di chi verrà proposto come ministro, deve alludere chiaramente a questa svolta. E segnali chiari andranno dati anche nella designazione delle figure istituzionali, in primis del nuovo Presidente della Repubblica.
Michele Bonforte
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