sabato 18 maggio 2013

Veltroni e il “Pd delle origini”: a volte ritornano. O almeno ci provano

Pare che il congresso del Pd si farà a ottobre o a novembre. Da qui ad allora, può succedere di tutto, a proposito del Pd ma soprattutto a proposito del governo. Non è quindi saggio azzardare previsioni troppo categoriche. Però, qualche considerazione sul modo con il quale il Pd si sta avviando verso una ipotetica “rifondazione” si può cominciare a fare. La prima è che, senza alcun dubbio, ritorneranno in campo e se la giocheranno da protagonisti tutti i big teoricamente “rottamati”, a partire ovviamente da Veltroni e D’Alema. Basta leggere, anche distrattamente, le cronache politiche di questi giorni, per capire che le grandi manovre sono in corso (anzi, sono probabilmente iniziate già nelle vicende caotiche del dopo-elezioni). Sarà una partita delicata, nella quale le diverse cordate tenteranno di conquistare la guida del partito ma anche di rimettere insieme i cocci in un patchwork che continui, comunque a contenere tutto e il contrario di tutto. Missione difficile, forse impossibile: ma che cosa più può assomigliare a un patchwork di quel genere del mitico “Pd delle origini”? E infatti.
Andiamo con ordine. Al momento, le grandi manovre precongressuali si svolgono dentro una perdurante nebbia di contenuti e dietro una raffica di candidature più o meno plausibili alla segreteria: il reggente pro tempore Epifani, l’europarlamentare Pittella, l’ex plenipotenziario veltroniano Bettini, l’ex giovane dalemiano Cuperlo, l’ex sindaco e ora banchiere Chiamparino, l’ex ministro e neo-iscritto Barca, l’outsider Civati… Ma almeno una cosa si intravede già con sufficiente nitidezza: Veltroni è all’opera per riportare il calendario a sei anni fa, cioè per “rifondare” appunto il Pd delle origini. Quello della proclamata “vocazione maggioritaria” e della praticata rottura a sinistra. Quello del “ma anche”. Quello dei Rutelli, delle Binetti e dei Calearo. Le origini, sì: del successivo disastro.
Come già avvenne a quel tempo, anche se molti fecero finta di non vedere e di non sentire, anche adesso Veltroni spiega le sue opinioni con onesta e apprezzabile chiarezza. Ad esempio, nell’intervista che compare sull’ultimo numero dell’Espresso. Più ampiamente, nel nuovo libro che ha appena scritto e che i giornali stanno ampiamente recensendo, in previsione di una prevedibilmente ampia tournèe di pubbliche presentazioni. Ora, è vero che Veltroni da tempo non ha più gran seguito tra iscritti e simpatizzanti del Pd. Però, intanto, ha già riavviato il tam tam del 33% che il “suo” Pd (pur nettamente sconfitto) ottenne nelle elezioni politiche del 2008: non è escluso che, nella attuale, confusa e disastrata fase, qualcuno si affretti a dimenticare cosa accadde durante e dopo quel 33%.
In ogni caso, a sostenere la linea del ritorno alle origini nella corsa per la leadership del Pd, non sarà Veltroni in prima persona, bensì un nome più “nuovo” e spendibile. Poco probabile Goffredo Bettini, fresco di rientro in politica dopo un ritiro thailandese. Più verosimile Sergio Chiamparino, ex sindaco di Torino, ora presidente dell’ente che controlla il Banco San Paolo, rispuntato all’improvviso nelle settimane scorse – quasi si trattasse di un mini test di popolarità - come possibile candidato premier, o perfino alla presidenza della Repubblica. Soprattutto Chiamparino sta rilasciando interviste abbastanza eloquenti: ricorda di aver sostenuto Matteo Renzi alle ultime primarie, sposa senza indugio le proposte dell’economista Pietro Ichino (già consulente di Renzi, poi traslocato con Monti alle recenti elezioni), mette esplicitamente nel conto la rottura definitiva dell’alleanza con Sel.
Il riferimento a Renzi non sembra casuale. Ci vuole poco per capire che, se anche Renzi decidesse di schierarsi tra i sostenitori di una candidatura Chiamparino (o altra politicamente affine), allora quella cordata diventerebbe assai robusta e competitiva. Fantapolitica? Si vedrà. Nel frattempo, farebbero bene ad alzare le antenne e a darsi una mossa quanti, nel Pd, pensano che tornare alle origini sia una pessima idea. E che abbia invece più senso ricostruire in Italia una sinistra degna di questo nome, anche se – con tutta evidenza – una parte del loro stesso partito marcia in tutt’altra direzione. Meglio allacciare le cinture, perché si preparano ulteriori e robuste perturbazioni.

Stefano Morselli

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