
L'8 giugno verrà inaugurata la stazione Mediopadana ad alta velocità. L'opera sarà celebrata unanimemente, non senza qualche ipocrisia, come testimonianza di modernità e di progresso. Credo, al contrario, che la storia recente del Paese abbia dimostrato la dannosità economica e sociale delle grandi opere, a cominciare proprio dall'alta velocità. Avremmo avuto bisogno, per il benessere e la salute dei cittadini, di potenziare la rete ferroviaria ordinaria e del trasporto merci in particolare, al fine di decongestionare le nostre città. Abbiamo gettato invece centinaia di miliardi di euro in un progetto che in futuro continuerà a gravare sulla fiscalità generale essendo strutturalmente in perdita su molte tratte (avremo una sorta di Alitalia terrestre).
Il limite sociale e finanziario delle cosiddette grandi opere è proprio questo: non sono in grado di generare risorse per il proprio mantenimento. Si dirà che questo è il prezzo da pagare al progresso e al suo mito più evocativo: la velocità. Peccato che una volta arrivati a Roma, Milano o qualsiasi altra città il mito lasci il passo ad una realtà fatta di ingorghi stradali e fallimentari politiche di trasporto pubblico. Tornando a noi, corre l'obbligo di sottolineato che verrà inaugurata una stazione al cui interno non sarà attivo alcun servizio: né un bar né un'edicola. Avremo dunque una rappresentazione insuperabile di ciò che intendiamo con "cattedrale nel deserto".
Credo che a questo punto il compito di tutti sia quello di creare le condizioni affinché quest'opera non rappresenti solo un costo per la città ma anche un'opportunità. Devo dire che ad oggi, specie sul fronte della classe dirigente imprenditoriale, non sono pervenuti grandi contributi. Vi sono inoltre due questioni alle quali prestare attenzione per il bene della città. La prima è impegnarsi affinché in futuro siano stroncate pulsioni speculative mille aree circostanti la stazione. L'amministrazione Delrio ha avuto il merito di placare gli appetiti facendo passare il concetto che non si doveva riempire alcuno spazio nella cosiddetta area nord. Credo che questo punto politico e programmatico debba essere ulteriormente approfondito dal centrosinistra al fine di fugare ogni possibile ambiguità. La seconda questione riguarda invece l'insegnamento più generale che dobbiamo trarre dalla vicenda delle grandi opere, specie quelle in salsa provinciale. Le vere grandi opere del futuro sono quelle capaci di rispondere in modo puntuale al benessere dei cittadini, quelle capaci di ricostruire tessuti urbani di comunità. Le grandi opere di cui abbiamo bisogno sono un piano di manutenzione straordinaria dell'edilizia scolastica, un piano per l'abbattimento delle barriere ambientali, un piano per la cura dei quartieri. E' bene darsi questi obiettivi a fronte di un possibile e significativo allentamento del patto di stabilità, avvero della possibilità di rimettere in campo un piano di lavori pubblici nei prossimi anni. La stazione mediopadana, con i suoi costi folli, è dunque un'opera del passato non del futuro. Il futuro intelligente è sostenibile, rinnovabile, generativo di risorse e non energivoro e dissipativo. L'immagine che meglio descrive la stazione di Calatrava è quella di una gigantesca cabina telefonica adagiata in mezzo al nulla nell'era degli smartphone; un cimelio del passato che dobbiamo conservare a futura memoria perché non si commettano più simili errori. Anche se non scommetterei sul fatto che i posteri non decidano di rimuovere quell'inutile cattedrale, troppo costosa e inadatta a stare al passo coi tempi.
Matteo Sassi (Assessore comunale di Reggio Emilia)
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