Giunge,
in questi giorni, la nuova proposta di Beniamin Netanyahu per una
ripresa del dialogo sui negoziati di pace. La proposta è alquanto
strana, in quanto si propone insieme alla decisione di continuare la
realizzazione di insediamenti in territorio arabo. È un po’ come
tentare di mettere insieme l’acqua e il fuoco. Chi vive in
Palestina-Israele, specialmente nei territori occupati, sa benissimo
che non è possibile un accordo sui due stati senza la cessazione
degli insediamenti, ma anche senza un ritiro unilaterale d’Israele
dal West Bank, i territori occupati. Tentativi come questi, con
inviati internazionali per sostenere i colloqui, sono in atto da
decenni senza alcun frutto concreto: un tragico balletto che si
ripete da decenni. Chi vive in Israele, come pure chi vive nei
territori occupati, lo sa benissimo. La strategia delle varie
amministrazioni israeliane che si sono succedute dal 1948 ad oggi,
esclusa forse l’amministrazione di Moshe Sharett (1953-1955), è
molto evidente dalla cartina, che visualizza il territorio in mano
all’autorità palestinese nei vari periodi dal 1948 ad oggi.
Tutto
questo porta le rispettive parti che sperano nella pace, israelana e
palestinese, solamente alla costatazione di uno status
quo che dura ormai da troppo tempo. La
pace si farà con uomini nuovi, ma solo se vi sarà il ritiro
unilaterale israeliano dai territori occupati. Il presidente
americano Barack Obama sembra saperlo benissimo, si è infatti
rifiutato di parlare alla Knesset (il parlamento israeliano) mentre
ha voluto parlare ai giovani israeliani, ai quali ha chiesto di
vedere il futuro con “gli occhi di una
bimba di Gaza”.
Baruch ha
Sofèr
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