lunedì 25 marzo 2013

il PD, soprattutto a livello locale, farebbe bene ad interrogarsi sul costo politico e sociale che avrebbe ogni ipotesi di larghe intese con il PdL

Nel dibattito che si è sviluppato all'interno del PD all'indomani delle elezioni politiche, per giungere sino alle fasi cruciali di questi giorni, è stato colpevolmente rimosso un passaggio di cruciale rilevanza: l'elaborazione di un giudizio politico sull'esperienza del governo Monti. I più audaci si sono limitati ad osservare che il PD ha pagato un prezzo altissimo nel sostenere quell'esperienza e che, tuttavia, quello era il conto salato della responsabilità. Il dizionario della lingua italiana alla voce responsabilità recita: la condizione di dover rendere conto di atti o avvenimenti in cui si ha un ruolo determinante. Ecco perché la rimozione operata dal gruppo dirigente del PD circa l'operato del governo Monti è, a mio avviso, una condotta non propriamente definibile come responsabile. Bisogna avere dunque il coraggio di guardare in faccia la realtà, a cominciare dalla condizione economia e sociale del paese.
Nel corso del 2012, e sino ad oggi, in Italia è cresciuta la disoccupazione e con essa la disperazione e l'aggressività tra fasce sociali crescenti; le famiglie hanno sempre più eroso i propri risparmi per poter sopravvivere mentre alle piccole e medie imprese viene negata dalle banche ogni linea di credito; il debito pubblico anziché diminuire o stabilizzarsi è aumentato di diversi punti; la forbice della disuguaglianza non ha registrato alcuna riduzione. A fronte di tutto questo perché sospendere il giudizio sul governo Monti? Non rendere conto del proprio operato, soprattutto quando si commettono errori, è sintomo di irresponsabilità. Non può ritenersi un fatto casuale che la cosiddetta agenda Monti, a cui troppa centralità è stata data in campagna elettorale, sia stata spazzata via dagli elettori. Gli italiani vogliono un cambiamento sostanziale nelle politiche economiche e sociali, ecco perché non vi è, nel sentire comune, alcuna agibilità politica per ipotesi di governissimi o larghe intese con il PdL. Non sono solo i disastri prodotti sul piano economico dal governo Monti, e quindi dalla grande coalizione che lo ha sostenuto, a dimostrare questo ma, soprattutto, la volontà espressa dalla larga maggioranza dei cittadini italiani che ha spezzato ogni possibile continuità con le politiche di austerità degli ultimi anni. Da assessore alle politiche sociali potrei dimostrare in ogni momento come l'impatto maggiore dei tagli ai trasferimenti statali così come ai fondi sociali gestiti dai Comuni abbia coinciso con l'azione del governo Monti.
Credo pertanto che il PD, soprattutto a livello locale, farebbe bene ad interrogarsi sul costo politico e sociale che avrebbe ogni ipotesi di larghe intese con il PdL per il governo del Paese. Sarebbe uno schiaffo insopportabile per gli elettori del centrosinistra, per tutti coloro che auspicano una qualche forma di cambiamento, per chi spera in una politica pulita e rinnovata. Se si decidesse di ignorare tutto questo sanciremmo non solo la fine storica e politica del centrosinistra ma dimostreremmo una distanza grave e preoccupante dalla vita e dal pensiero di tutti e tutte coloro che ogni giorno si alzano e, nonostante tutto, muovono e reggono il nostro Paese. Se il PD dovesse, per il solito senso di responsabilità, avallare un nuovo governo con il PdL per il sottoscritto, e credo anche per altri, si imporrebbero scelte chiare e non di comodo in relazione al proseguo dell'esperienza amministrativa. Non esiste buona amministrazione in assenza di buona politica dai saldi valori. E possibile allargare lo spazio dei democratici e dei progressisti soltanto ripartendo dai dodici principi fondamentali della Carta costituzionale, non da scorciatoie di palazzo che impoverirebbero ulteriormente il Paese e la stessa classe politica. Affinché anche la nostra città non sia avvinta da sentimenti di apatia ed indifferenza o da attrazioni qualunquiste e populiste è bene recuperare un punto di vista autonomo sul mondo, capace di riscoprire il piacere e la bellezza di parole come lavoro, uguaglianza e diritti.

Matteo Sassi

domenica 24 marzo 2013

Adesso Bersani consulti i movimenti (se vuole una chance)


Pierluigi Bersani ha ottenuto dal Presidente Napolitano l’incarico – seppur “esplorativo” – di formare il nuovo governo. E pare che ci stia provando davvero. Il primo giorno di “consultazioni” ha incontrato il Graziano Delrio presidente dei Comuni italiani e Pietro Barbieri portavoce del Forum del Terzo Settore.  L’idea sembra essere quella di sfidare il Movimento 5 Stelle sul suo terreno, proponendo un governo ed un programma di cambiamento reale. Mentre auguriamo all’onorevole Bersani buona fortuna, ci permettiamo di dargli un suggerimento: consulti anche i movimenti, quelli veri. 
A dispetto dell’incapacità della politica istituzionale di mettersi in movimento ed in ascolto, in Italia esistono molti movimenti che fanno  politica dal basso, promuovendo ed orientando  cambiamenti anche nella politica istituzionale, attraverso l’esercizio di quello che Aldo Capitini chiamava il “potere senza governo”. E’ la prassi della autentica “democrazia diretta”, quella che non discende dal blog di uno che vale tutti (mentre dice agli altri che “uno vale uno”), ma sale dall’impegno quotidiano di cittadini, gruppi e comunità attivi nell’allargamento progressivo degli spazi della partecipazione consapevole e responsabile. Si potrebbero citare molti movimenti  che gandhianamente sperimentano il cambiamento che vorrebbero vedere realizzato, ma suggeriamo all’onorevole Bersani di consultare almeno i tre che, in questa fase, stanno producendo nel nostro Paese i maggiori cambiamenti culturali e politici, interloquendo anche con pezzi importanti della sua maggioranza parlamentare: il Movimento No-Tav, il  Movimento per l’acqua pubblica, il Movimento per il disarmo.
Il Movimento No-Tav della Valsusa è la più significativa campagna italiana di disobbedienza civile. E’  sorto in Val Susa, fin dai primi anni ‘90, contro la costruzione della ferrovia per il Treno ad Alta Velocità, dimostrando competenza approfondita e diffusa rispetto al tema, capacità di aggregazione popolare, creatività, comunicazione e tenuta nel tempo. Anche di fronte ad una risposta di tipo militare da parte dello Stato che – incapace di interloquire in maniera autentica con un’intera comunità in lotta, ha definito il cantiere “sito strategico nazionale” – la campagna sta raffinando sempre di più le proprie ragioni, curando la caratteristica di lotta nonviolenta e dimostrando una grande capacità di interlocuzione con la politica, anche nazionale, al punto da portare alla manifestazione di sabato 23 marzo, decine di parlamentari del M5S, ma anche di Sinistra Ecologia e Liberà cioè un di pezzo importante della maggioranza bersaniana.
Il Movimento per l’acqua pubblica, diffuso capillarmente in tutto il territorio nazionale, ha dapprima imposto e vinto un referendum che, ormai due anni fa, e per la prima volta da molti anni, ha avuto largamente il quorum necessario per essere ritenuto  valido. Trascinando, suo malgrado, lo stesso scettico centro-sinistra a sostenerlo.  Da allora incalza la politica nazionale e locale per rendere effettivi i risultati del referendum,  sia attraverso la campagna di “obbedienza civile” per il rispetto dell’esito referendario, sia attraverso la presentazione di una legge di iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua, sia attraverso le mobilitazioni locali per introdurre negli statuti degli Enti Locali la definizione dell’acqua pubblica come bene comune e come diritto umano universale.  Da Palermo a Reggio Emilia, questo è già avvenuto in molti Comuni governati dal Partito Democratico e dai suoi alleati.
Il Movimento per il disarmo, nel quale confluiscono i movimenti per la pace e la nonviolenza attivi da decenni in Italia, da tempo preme per la riduzione sostanziale delle abnormi spese per gli armamenti  del nostro Paese,  a partire dalla cancellazione della sciagurata adesione al programma Joint Strike Fighter per l’acquisto dei cacciabombardieri d’attacco, anche nucleare, F-35. Adesione maturata nel 1996 con il governo Prodi e confermata da tutti i governi successivi di centro-destra e centro-sinistra. In questi anni i costi dei caccia – nella loro stessa ideazione e funzione contrari alla Costituzione italiana – si sono moltiplicati e le risorse loro destinate sono sottratte alla spese per la protezione dei cittadini dalle reali minacce causate dalla crisi economica in cui si dibatte il nostro Paese, con inconsistenti  ritorni occupazionali e industriali. Quasi 100 Enti Locali (comuni, province e regioni), governati in massima parte dalla maggioranza che sostiene Bersani hanno approvato in questi anni mozioni e ordini del giorno contro il loro acquisto e per il trasferimento delle risorse risparmiate nelle casse dissestate dei servizi pubblici locali. Il governo Monti, sulla spinta della campagna Taglia le ali alle armi, da un lato ha ridotto i caccia da 131 a 90, ma dall’altro ha messo al sicuro, al riparo da tagli, le spese per gli armamenti per i prossimi 12 anni, con un blitz parlamentare a conclusione di legislatura, al quale hanno partecipato anche i parlamentari del Partito Democratico.
Insomma, ce n’è abbastanza per capire che le chance per la costituzione di un governo per il cambiamento non possono prescindere dall’affrontare e sciogliere questi nodi aperti nel cuore della società e della politica italiana. Dunque, l’onorevole Bersani, per essere credibile, non dovrebbe sottrarsi dal consultare preliminarmente questi movimenti vivi e attivi. E regolarsi di conseguenza.
Pasquale Pugliese

martedì 19 marzo 2013

Dopo voto: il rischio della rimozione

Il voto è stato un terremoto. Nel PD, la discussione su cosa non abbia funzionato si è avviato da subito. La stessa iniziativa di Bersani sull'apertura al Movimento 5 Stelle e la gestione innovativa della elezione dei presidenti di Camera e Senato, alludono ad una analisi delle cause che guardano al malessere sociale e politico che si espresso nel voto.
Ma nel pancione del PD si agita un malessere per questo movimentismo di Bersani, che si esprime per ora in modo incerto, ma che nelle prossime settimane potrebbe tornare in scena, pronto a recitare il solito copione del governo di unità nazionale per salvare le sorti del paese.
Un esempio di questo approccio ci è dato dal recente articolo di Pierluigi Castagnetti (da l’Unità del 13 marzo 2013) dal titolo Quello che non abbiamo capitoDopo aver dato atto che quel che è successo lo si poteva intuire, Pierluigi Castagnetti, comincia un processo di rimozione freudiana delle cause pur identificate, per evitare di mettersi in discussione.
citando: "In un primo tempo si poteva pensare che il Pd avesse pagato il sostegno al governo Monti e poi, guardando il risultato dei grandi oppositori Idv e Sel, ci si accorge che c’è dell’altro."
Le politiche del governo Monti vengono identificate come causa dello scontento, ma poiché questo scontento si alimenta anche "d'altro", si rimuove la scelta insensata di aver appoggiato Monti, e di averne chiesto ossessivamente l'appoggio durante la campagna elettorale, per concentrarsi "sull'altro".
Ora che ci sia "dell'altro" alla base dell'esplosione del M5S è ovvio, altrimenti non si arriva al 25%. Ma questo "altro" esisteva già da tempo, ed aveva i suoi referenti politici, che semplicemente hanno perso credibilità. Quel flusso di milioni voti che da Lega Nord e PdL sono andati a Grillo sono in parte prevalente animati dallo stesso furore populista contro la "casta" e i partiti che aveva alimentato le precedenti fortune elettorali di questi partiti, ora alle prese con un crollo "etico" della loro offerta politica. Mentre la crisi macinava licenziamenti e chiusure di piccole aziende, vedere il malcostume di Lega e PdL non ha certo aiutato.
Ma lo stesso sostegno a Monti aveva alla base un assurdo. Si diceva che le politiche di quel governo erano sbagliate o persino dannose, ma per il bene del paese andavano approvate. Ora se una cosa è dannosa (esodati, pareggio di bilancio in costituizione, spese militari, politiche recessive, ecc) non va fatta, punto e basta; e chi quel danno lo aveva fatto, non andava visto come essenziale per governare il paese. 
Per nascondere questo enorme errore politico si fa ora scattare il solito richiamo alla responsabilità nazionale.
ri-citando: "... quel risultato ci “costringe” all’assunzione della responsabilità nuova di un discorso chiaro e inevitabilmente drammatico al paese. Cioè al popolo italiano tutto intero. Dal parlamento, ma oltre il parlamento. Ciò che potevamo fare per avvicinare e avvicinarci al messaggio di M5S, Bersani lo ha già fatto. Di più non è possibile."
Direi completamente sbagliato.
Il punto è che il centrosinistra con le primarie aveva catalizzato su di s'è un consenso rilevante (intorno al 40%). Ci era riuscito perché aveva sommato spinte diverse: fra un Renzi che veniva visto come l'innovatore della politica e della casta, a Vendola come portatore di un netto discorso sociale, a Bersani che sembrava mettere insieme l'esigenza del cambiamento della politica e delle politiche con l'affidabilità di chi ha esperienza di governo. In giro di un mese abbiamo perso il 10% perché durante la campagna elettorale invece di sommare le due spinte al cambiamento le abbiamo accantonate per inseguire Monti.
Questa ossessione per il centro ha scavato un solco fra centrosinistra e il suo popolo. Io personalmente conosco molti che hanno votato alle primarie, ma poi si sono risolti a votare grillo per dare un segnale. Certo molti pensavano che comunque il centrosinistra avrebbe vinto e che dunque il voto a grillo serviva ad eleggere una pattuglia di "sorveglianza" su un centrosinistra al governo.
Ora bisogna recuperare l'errore fatto.
Bisogna unire il rinnovamento della politica, delle sue persone e dei suoi metodi, con il rinnovamento delle politiche, delle proposte di uscita dalla crisi.
Bersani ha dato ottimi segnali, ma non credo che basti. Ci vuole fantasia, se vogliamo recuperare la miopia di pochi mesi fa. Ci vuole una proposta di forte riforma che sposti il baricentro dalla democrazia rappresentativa a quella diretta (riforma del finanziamento pubblico, referendum propositivi senza quorum come in svizzera, ecc.) e di forte riforma sociale (spostare il baricentro dai ceti ricchi a quelli colpiti dalla crisi).
Di più deve essere è possibile, perché di meno non basta.

Bonforte Michele

domenica 17 marzo 2013

La buona politica e le inutili piccolezze



Fin dal primo momento, commentando le elezioni dei presidenti di Camera e Senato, ho scritto: chapeau a Bersani e a Vendola. Non serve un grande sforzo per capire che sono loro gli artefici (notturni) della bella giornata di ieri. Non solo perchè i due presidenti sono espressione dei rispettivi partiti, cioè Pd e Sel, ma soprattutto per l'efficace messaggio di rinnovamento e di buona politica che esce dalla coalizione di centrosinistra. Naturalmente, come leader del maggior partito e dell'intera coalizione, è giusto che Bersani ne ottenga il principale dividendo politico. Punto e a capo.

Ieri pomeriggio ho seguito le cronache televisive, nelle quali alcuni cronisti hanno ripetutamente parlato di "presidenti eletti dal Pd", di "vittoria del Pd", di "colpo di Bersani". Pressapochismo? Scarsa informazione di quei cronisti? Concitazione della diretta? Va bene, mettiamo - o almeno facciamo finta - che sia così. Dopo tutto, rispetto alla sostanza della giornata, è solo un dettaglio impreciso. Poi, questa mattina, vado in edicola e compro Repubblica (Repubblica, non la Gazzetta di Canicattì). Fino a pagina 13, titoli, articoli, interviste, editoriali, commenti riguardano integralmente le vicende della giornata politica in Parlamento. C'è quasi tutto: il successo di Bersani, il ricompattamento del Pd, il consenso dei renziani, la rottura dei grillini, il sabato nero dei montiani, il parere del Banana e perfino della Gelmini. Manca solo l'esistenza di Sel - guarda che combinazione - nemmeno citata in tredici pagine, nemmeno per far sapere al lettore che Laura Boldrini è stata eletta sotto quel simbolo.

Leggo con attenzione. Da qualche parte, molto en passant - dopo tutto, una citazione non si nega neanche a Nencini, segretario del fu Psi - viene citato anche Vendola. Pare che nella notte, prima di candidare Laura Boldrini. abbiano consultato anche lui. Ma dai, chi l'avrebbe mai detto?! In ogni caso, ci fa sapere Repubblica, Franceschini, già prima delle elezioni", "la voleva candidata nelle liste del Pd, ma arrivò prima Vendola". Questione di minuti, che disdetta. Però, ecco l'editoriale di Scalfari, perbacco, di sicuro lui... "Bersani ha avuto l'intuizione di candidare alla presidenza delle assemblee parlamentari due personaggi del tutto nuovi alla politica e il Partito Democratico ha risposto con apprezzabile compattezza. Ah ecco: Bersani, il Partito Democratico.

Proviamo allora con una lunga articolessa di Adriano Sofri, interamente dedicata alla Boldrini e molto entusiasta di lei. Magari qualcosa ci dirà anche sul partito che l'ha fatta arrivare in Parlamento. E invece: "deputata quasi per caso",... "il Pd ha impedito di un soffio che a vincere le elezioni fosse Berlusconi"... Che abbiano dato una piccola mano anche Sel e perfino l'ottimo Tabacci, non risulta. Si sarà sbagliata la matematica. Per fortuna, c'è anche una intervista a Laura Boldrini stessa, qui non sarà possibile evitare un riferimento alla sua provenienza politica Sbagliato, è possibile, non fosse per due parole (non richieste) pronunciate da Boldrini: "Devo dare atto a Sel che non ha interferito in alcun modo nelle cose che volevo dire". Unica citazione di Sel in tredici pagine, senza la quale un lettore che si informi solo su Repubblica non avrebbe mai appreso che Laura Boldrini è stata candidata da Sel alle elezioni.

Piccolezze, si dirà. Le stesse profuse in abbondanza, per "oscurare" l'esistenza di Sel, durante le primarie e durante le campagna elettorale. Piccolezze, d'accordo, di fronte agli enormi problemi di questo Paese. Ma a che servono?


Stefano Morselli

La mossa del cavallo

La più bella giornata politica da molto tempo a questa parte. Un procuratore antimafia presidente del Senato, seconda carica dello Stato. Una portabandiera dei diritti umani, dei rifugiati politici, dei profughi di tutto il mondo presidente della Camera, terza carica dello Stato. Il centrosinistra che - finalmente! - fa il proprio mestiere e propone il meglio di sè. Un pezzo del partito M5S che decide di valutare nel merito le candidature e di scegliere senza ordini di scuderia. Il Banana e il suo clan lividi di rabbia. Domani è un altro giorno, ma intanto chapeau a Pierluigi Bersani e Nichi Vendola.

Stefano Morselli

Ispiratevi a Teresa Mattei, cancellate gli F35


Un invito alle donne parlamentari
Dunque ha preso il via la XVII Legislatura ed il Parlamento ha aperto le sue porte al maggior numero di giovani della storia repubblicana, con un’età media 45 anni, la più bassa tra i parlamentari europei, e sopratutto di donne, ormai un terzo del totale sia alla Camera che al Senato. Nalla città dove vivo, Reggio Emilia, il rapporto tra uomini e donne si è addirittura invertito: sono andate a Roma cinque donne su sette parlamentari eletti. 
Tre giorni prima dell’apertura del nuovo Parlamento – quasi a segnare un ideale passaggio di testimone tra quel passato che ha posto le basi di questo presente – si è spenta a 92 anni Teresa Mattei, la più giovane eletta all’Assemblea Costituente, nelle file del Partito Comunista, sulle ventuno donne totali. Una donna libera, esplusa nel 1938 dalle scuole del Regno perché antifascista e nel 1955 dallo stesso Partito Comunista perchè antistalinista, attiva nell’impegno per la pace fino alla fine dei suoi giorni. Teresa mattei il 2 giugno del 2006 rilasciava un’intervista alla trasmissione Radio 3 Mondo nella quale raccontò, tra le altre cose, questo episodio accaduto durante la votazione dei principi fondamentali della Costituzione: “Al momento della votazione per l’art 11, cioè quello contro la guerra – “L’Italia ripudia la guerra”, è stato scelto il termine più deciso e forte – tutte le donne che erano lì, ventuno, siamo scese nell’emiciclo e ci siamo strette le mano tutte insieme, eravamo una catena, e gli uomini hanno applaudito”.  E poi continuava: “per questo, quando ora vedo tutti questi mezzucci per giustificare i nostri interventi italiani nelle varie guerre che aborriamo, io mi sento sconvolta perché penso a quel momento, penso a quelle parole e penso che se non sono le donne che difendono la pace prima di tutto non ci sarà un avvenire per il nostro paese e per tutti i paesi del mondo”
Poche ore prima dell’avvio di questa legislatura, il 14 marzo, l’Espresso on line ha diffuso la notizia che, dopo la Corte dei Conti staunitense (il GAO, circa un anno fa) anche la Corte dei Conti italiana ha aperto un fascicolo sull’acquisto dei cacciabombardieri F-35 per danno erariale. E’ sotto osservazione, su iniziativa del Codacons, il famigerato programma di acquisizione dei 90 aerei da guerra joint strike fighter che, secondo le stime accreditate potrebbe arrivare a costare al contribuente italiano oltre 40 miliardi di euro, tra acquisto e mantenimento dei caccia per i soli primi anni. Si tratta del più costoso e inutile programma di riarmo della nostra storia repubblicana, contrario proprio a quell’articolo 11 della Costituzione italiana perché strumento di offesa anche nucleare. Una concreta e attiva minaccia alla pace, invisibile ai radar nemici ma vulnerabile ai fulmini, quasi fosse destinatario dell’ira di Dio.
Dunque, nell’incertezza di queste ore sull’esito della Legislatura, faccio un invito a tutte le donne parlamentari elette nei vari schieramenti politici: siate libere come Teresa Mattei, ispiratevi a lei e proponete insieme la cancellazione totale e definitiva del programma dei cacciabombardieri F-35. Votatela tutte, gli uomini non potranno che seguirvi. Forse la Legislatura finirà presto, ma avrete segnato un cambiamento vero, ridato dignità al Parlamento, onorato la Costituzione e lasciato un segno nella nostra Storia repubblicana. Come Teresa Mattei.
(Un'aggiunta: la bella elezione di Laura Boldrini a presidente della Camera dei  Deputati può essere di grande aiuto. Dal canto suo, il presidente del Senato della Repubblica Pietro Grasso ha ricordato proprio Teresa Mattei nel discorso d'insediamento.)
Pasquale Pugliese

sabato 16 marzo 2013

Laura Boldrini è presidente della Camera


Deputata di Sel ed ex portavoce dell'Alto commissariato per i rifugiati dell'Onu in Italia, 51 anni, è stata eletta alla quarta votazione con 327 voti su 618 votanti (i voti della coalizione di centrosinistra sono 340). Era stata candidata all'ultimo minuto dal Pd. Un lungo applauso dell'assemblea ha segnato il momento in cui il computo ha toccato quota 310, la soglia di voti necessaria per l'elezione del presidente. I deputati del Pdl e alcuni esponenti del M5S non hanno applaudito, ma la stragrande maggioranza dei 5 Stelle erano in piedi a battere le mani.
Fra i primi commenti Rosy Bindi: «Per le donne italiane è una bella giornata. L'elezione di Laura Boldrini è una prova che l'investimento nel capitale di energie e competenze femminili è una grande leva per il cambiamento. Il Pd ha dimostrato di perseguire con coerenza il necessario cambio di passo». Invece per Renata Polverini: «È apprezzabile che sia una donna la terza carica istituzionale, ma dalle sue parole è emersa troppa retorica, in perfetto stile vendoliano: ci saremmo aspettati maggiore concretezza e aderenza alla realtà».
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Ci sono pochi momenti in cui si sente l'emozione e l'orgoglio per quello che si fa, quotidianamente, per sostenere un progetto politico. Oggi è uno di questi. Mi piace dare sul nostro blog questa notizia, che ovviamente verrà letta su tutti i principali organi di informazione con dovizia di particolari e commenti a cui vorrei aggiungere solo alcune note.
In questo parlamento, come non accadeva da decenni, le forze del centrodestra sono minoritarie. Da questo parlamento può emergere una carica di cambiamento che sarebbe assurdo buttare, anche perchè non è detto che la situazione attuale si ripresenti in futuro.
L'elezione di Laura Boldrini è una boccata d'aria fresca per le cose che ha fatto nella sua vita, per quello che ha detto nel discorso d'insediamento. Come "Sinistra Ecologia Libertà" siamo orgogliosi di aver proposto la sua elezione alla Camera dei Deputati. Insieme a lei, nelle file di SEL, sono stati eletti tanti che con le proprie opere ed il proprio impegno hanno fatto politica nella società. La sinistra potrà vincere e convincere se saprà scoprire quanta energia e potenzialità c'è al di fuori dei partiti. Se saprà ascoltare chi i valori della sinistra (la solidarietà, l'uguaglianza, la giustizia sociale, il rispetto per la natura, la promozione della libertà) li praticano nella loro vita. In questo paese c'è una sinistra nuova. E' dispersa ma attiva in molti luoghi della società e della politica. Il nostro piccolo compito come SEL, il senso della nostra esistenza, è quello di riunirli intorno ad un progetto per il cambiamento di questo paese, da 20 anni congelato dal liberismo e dal berlusconismo.

Michele Bonforte

mercoledì 13 marzo 2013

Non cè un "conflitto tra politica e magistratura". C'è un pluri-imputato che cerca di sfuggire ai processi.

L'appello per un "comune senso di responsabilità" rivolto dal presidente Giorgio Napolitano alle "parti in conflitto", sarà pure un lodevole sforzo di stemperare la tensione in un momento molto delicato per l'Italia, Ma il problema è che le "parti in conflitto" non sono affatto "politica e magistratura", bensì il pluri-imputato Berlusconi e i numerosi magistrati che indagano su di lui, e/o cercano di portare a termine i processi a suo carico. Non è chiaro, quindi, in che cosa possa e debba consistere il "comune senso di responsabilità" tra un pluri-imputato e i magistrati che, a norma di legge, lo perseguono.
Il fatto che il pluri-imputato Berlusconi sia un leader di partito e venga ugualmente votato da una parte di elettori non cambia di una virgola la sostanza del problema, sul piano del diritto e anche della logica. Sarei curioso di sapere cosa avrebbe risposto l'ex democristiano Oscar Luigi Scalfaro se - in una situazione analoga - fossero andati a lamentarsi da lui i promotori di una adunata contro i magistrati, davanti al Tribunale di Milano. Sotto le immagini di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Stefano Morselli

martedì 12 marzo 2013

Io sono contenta del risultato elettorale..



Io sono contenta del risultato elettorale per tanti motivi:

1)  Molti del PD guardavano SEL dall'alto al basso, come si guardano quelli che amano salire sul carro del vincitore e approfittare del premio di maggioranza... e invece i pochi punti percentuali di SEL sono risultati fondamentali per "arrivare primi".

2) Questo risultato impone un grosso ripensamento del PD... e non voglio dire che "meglio Renzi di Bersani" assolutamente!!  Voglio dire che pur mantenendo un programma di sinistra (cioè la corrente di Bersani, che ha vinto la contesa delle primarie) il PD doveva rendersi conto della necessità di cambiare molte più facce, Bersani incluso e quadri dirigenti ... (non mi capacito del perchè D'Alema abbia ancora il coraggio di parlare)
e magari cambiare l'agenzia pubblicitaria che  fà i manifesti elettorali (Bersani in cravatta che si sfregava le mani... sembrava un vero massone).

3) M5S ha un programma che per molte parti assomiglia a quello di SEL, e con le percentuali che ha, sarà sicuramente incisivo (più di SEL forse) rispetto al programma. Inoltre la schiettezza dei M5S farà molto bene a PD come al PDL.

6) Vorrei che il grosso recupero del PDL facesse riflettere molto tutti, e soprattutto la Chiesa.
Io stessa come parte della Chiesa sento che dobbiamo fare autocritica rispetto all'investimento nell'educazione di una coscienza critica dei cristiani, rispetto allo stretto legame che c'è tra credo religioso e vita quotidiana (penso a quanti evasori cattolici hanno votato "Lui"), rispetto soprattutto al valore dello sporcarsi le mani nella politica, incluso l'impegno dei sacerdoti e religiosi in questo ambito.
Se la frase "non si faranno ABBINDOLARE" di Bagnasco non è bastata, vuole dire che è molto profondo l'attaccamento ad un certo lessico che appena viene sventolato, abbaglia. E poi non importa se a quel lessico non seguono i fatti, o peggio seguono le porcate e ruberie, o altri debiti sulle spalle nostre e dei nostri figli dietro la facciata di un abbassamento delle tasse.

Laura Vezzosi

lunedì 11 marzo 2013

L'alleanza di centrosinistra è stata e resta una scelta giusta. Ma anche un terreno di battaglia politica


Sul Manifesto, è uscito un articolo di Fulvia Bandoli che ha il pregio di stimolare la riflessione sul recente risultato elettorale, in particolare di Sel. Per quanto mi riguarda, ne condivido alcune parti, altre meno. Non mi convince la tesi secondo la quale Sel ha ottenuto un risultato modesto perchè si è "consegnata" al Pd. In realtà, l'alleanza di centrosinistra (come ammette anche Bandoli) era una scelta giusta, ma era al tempo stesso un terreno di confronto e anche di conflitto politico con il Pd. Un terreno molto difficile per Sel: per la propria debolezza soggettiva - organizzazione fragile, risorse economiche quasi inesistenti, profilo politico tuttora sconosciuto a gran parte dei cittadini, se non per la  figura di Nichi Vendola - ma anche perchè quel terreno era minato da parecchie insidie.

Alcune di queste insidie erano ben visibili e prevedibili: il fuoco di sbarramento esterno delle residue sigle sedicenti di "vera sinistra",  malamente travisate dietro  il sedicente rappresentante della "società civile" Ingroia e accanitamente impegnate a contendere qualche briciola di elettorato a Sel. Altre insidie, secondo me più grandi e dannose, sono venute da quello che potremmo definire fuoco (non tanto) amico. Non mi riferisco solo alle quotidiane giravolte del Pd sulle intese post-elettorali con Monti , che pure hanno danneggiato lo stesso Pd e tutto il centrosinistra. Mi riferisco al metodico e micidiale oscuramento operato da molti mass media - alcuni per sconfortante pressapochismo, altri per consapevole strategia e influenza di ambienti economici retrostanti -  nei confronti delle ragioni e della stessa presenza di Sel.

Esemplari, a questo proposito, i tanti titoli titoli che per mesi sono comparsi sulle "primarie del Pd", o sulla "coalizione del Pd",. E da ultimo sulle risicate maggioranze "ottenute dal Pd" nella consultazione elettorale; maggioranze che sarebbero state non risicate, bensì del tutto inesistenti se non avessero avuto - guarda caso - il contributo di Sel (e perfino la piccola dote della lista Tabacci).  Naturalmente, dietro questa insistente manipolazione della realtà, c'era e c'è un obiettivo: rendere irrilevanti i temi e il peso di Sel - diciamo, più in generale, di una sinistra che vuole governare senza rinunciare ad essere sinistra - e favorire invece l'ipotesi di un Pd autosufficiente "riformista ma non di sinistra", secondo l'indimenticato slogan veltroniano. O comunque, l'ipotesi di un Pd che persegue intese non a sinistra, ma con le mitiche "forze moderate". .

Ecco, credo che tutto questo abbia influito molto nel determinare il risultato di Sel, al di là dei limiti soggettivi di un partito che è nato da pochi anni e che ancora non è riuscito a consolidarsi. Forse, anche non aver previsto con chiarezza le dimensioni e la pervasività del rischio di oscuramente e di mistificazione è un aspetto sul quale riflettere criticamente. Ma, certo, non era facile per un piccolo partito mettere in campo adeguate contromisure. Bisognerà sforzarsi di farlo, perchè la questione della visibilità e della riconoscibilità di Sinistra Ecologia Libertà rimane aperta, nei confronti degli avversari politici e anche degli alleati .

Quanto al resto, sono invece pienamente d'accordo  - e non da oggi - con la conclusione di Fulvia Bandoli. "L'Italia è l'unico paese d'Europa a non avere una grande forza politica di sinistra popolare. Negli altri paesi questa sinistra riesce a vincere. Potrebbe vincere anche in Italia? I primi a esserne persuasi dovremmo essere noi". Dubito che Sel, da sola, possa mai riempire come "partito" questo vuoto enorme. Però, con tenacia e con coraggio, deve cercare di tenere aperta la "partita"

Stefano Morselli
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http://www.facebook.com/notes/toni-matteacci/alleati-al-pd-non-consegnati-e-con-renzi-non-si-pu%C3%B2-fare-di-fulvia-bandoli/10151365718778074

venerdì 8 marzo 2013

I miei 3 punti. Da ribaltare: terz’ultimi in Europa per il lavoro, ultimi per la cultura, terzi per le spese militari.


L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro.
Il 1 marzo sono stati resi noti i dati ISTAT sulla disoccupazione italiana – l’assenza forzata di lavoro –  la quale ha toccato la cifra mai raggiunta negli ultimi vent’anni di 3.000.000 (tremilioni!) di disoccupati, cioè quasi il 12 % della popolazione italiana in età lavorativa (che ha perso o non trova un lavoro). Tra i giovani – cioè coloro che rappresentano il futuro e la speranza del Paese – la disoccupazione sale al 38,7%. Lo stesso presidente degli industriali Squinzi ha definito questi numeri – dietro i quali si nascondono enormi drammi umani e familiari – “agghiaccianti”. Con questo dato l’Italia è in fondo alla classifica dell’Unione Europea, terzultima dopo la Grecia e la Spagna.
E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese
Nell’intervista a Il Mulino dello scorso dicembre (6/2012)   il prof. Tullio De Mauro ricorda che le indagini comparative internazionali sui livelli di alfabetizzazione degli adulti ci dicono che la situazione italiana è catastrofica:  un 5% della popolazione adulta in età di lavoro non è in grado di accedere neppure alla lettura dei questionari perché gli manca la capacità di riconoscere le lettere. Poi c’è un altro 38% che  riconosce le lettere ma non legge. E già siamo oltre il 40%. Si aggiunge ancora un altro 33% che invece legge il questionario al primo livello e al secondo livello, dove le frasi si complicano un po’, si perde e si smarrisce; infine si arriva alla conclusione che solo il 20% della popolazione adulta italiana è in grado di comprendere questioni più complesse, ossia di “orientarsi nella società contemporanea”. In questa indagine siamo al di sotto di qualsiasi standard: tra i Paesi considerati, bisogna arrivare in classifica allo Stato del Nuevo Léon, in Messico, per trovarne uno messo peggio di noi.
L’Italia ripudia la guerra come strumento di aggressione alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali
Lo stanziamento complessivo di spese militari previste per il 2013 per il Ministero della Difesa è in aumento del 4, 87% rispetto al 2012 – pari a 973,1 mln – per un totale di € 20.935,2 mln di €, come scritto nero su bianco nel documento sullo stato di previsione del Ministero della Difesa. Al quale vanno sommate le voci di spesa militare che risultano dagli altri dicasteri, nel bilancio meno chiaro d’Europa di spesa pubblica militare, come denunciano da sempre lo Stockholm international peace research institute (SIPRI) e la Rete italiana per il disarmo. Al punto che già nel 2011 la stima di spesa complessiva reale era ben oltre i 30 miliardi di euro. Questa cifra pone l’Italia tra i primi tre paesi dell’Unione Europea, dopo Francia e Germania.
Uno studio, spesso citato,  dell’Università del Massachusset  dimostra come investendo un miliardo di dollari nel settore militare si creano (direttamente e indirettamente) 11.200 posti di lavoro, investendo la stessa cifra nel settore delle energie pulite se ne creano 16.800, mentre in quello educativo se ne creano ben 26.700 (di cui 15.300 direttamente) .
Tra i tre principi fondamentali della Costituzione repubblicana e questi dati di realtà si distende il perimetro di gioco sul quale si deve misurare la  nuova politica, il varco attraverso il quale passa necessariamente il cambiamento: tagliare le spese militari, investire le risorse risparmiate in educazione per creare lavoro, civiltà, diritti e pace.  Non è una rivoluzione, è solo il rispetto della Costituzione.

Pasquale Pugliese

giovedì 7 marzo 2013

Rischi ed Opportunità del grillismo

La dimensione del successo del movimento 5 stelle ha gettato nella confusione sia i vinti che i vincitori. Quest’ultimi sembrano giocare con la politica e la comunicazione, con proposte naif e una buona dose di approssimazione, recitando l’eterno copione del dico e poi smentisco, con l’unica preoccupazione di svincolarsi dalle responsabilità che derivano dall’essere la lista con maggior consenso.Tutte le altre forze politiche, ed il sistema dei media, non sembrano essersi ripresi. Per certi versi è comprensibile: abbiamo passato gli ultimi mesi a parlare del ruolo inevitabile del centro moderato nel governo del paese, mentre invece sotto i nostri piedi si preparava il terremoto.
Certo noi di SEL abbiamo cercato di segnalare come la sofferenza sociale causata dalle politiche liberiste, attuate prima da Berlusconi e poi da Monti, stesse covando un forte rancore nei confronti della politica vista come un tutt’uno. Inoltre solo pochi mesi fa abbiamo condotto una campagna di raccolta firme per una legge di iniziativa popolare per il reddito minimo garantito nel più totale disinteresse dei media, mentre oggi il tema è al centro dei tentativi di agganciare programmaticamente il movimento 5 stelle.
Sarebbe desiderabile ora che i commentatori mainstream, che così poco avevano capito di quanto stesse accadendo, ci risparmiassero dotte ed improvvisate analisi sulla natura del M5S.
Invece i paralleli si sprecano: chi con cuore pesante vede assonanze con il periodo che precedette il fascismo, chi con un certo spensierato ottimismo vede una opportunità di rinnovamento della classe politica e dei suoi metodi.
Certamente ogni situazione è sempre aperta a sviluppi diversi, ma tali possibili scenari non si colgono scambiando i propri desideri con la realtà.
Vi sono sia rischi che opportunità nella situazione che si è delineata con il voto.
Ma i rischi non mi sembrano quelli segnalati.
Il M5S non pare essere un partito come lo abbiamo conosciuto finora: non difende gli interessi di precisi gruppi sociali dotandosi di una proposta di gestione della cosa pubblica. Non si pone come rappresentante di una “parte” ma del tutto, dei “cittadini” contro una “casta” ben circoscritta. In questo senso è tecnicamente populista, e la sua dichiarata avversità alla distinzione fra destra e sinistra è l’altra faccia di una visione interclassista. Nella narrazione di Grillo non ci sono le classi sociali, e dunque le stesse organizzazioni che le rappresentano (sindacati ma anche associazioni imprenditoriali) sono da superare.
Il M5S non pare essere nemmeno un movimento nel senso classico del termine, poiché non ha una proposta culturale e sociale capace di egemonia nell’ambito del discorso pubblico. Qualunque movimento (sia di destra che di sinistra) propone di reinterpretare il tutto sociale a partire da pochi aspetti particolari: i tea-party con l’eccesso di tasse e di presenza dello stato, i verdi con l’ambiente, ecc. Il M5S invece contiene al suo interno tutti i movimenti di opinione antisistema che si sono espressi negli ultimi anni, anche quando sono palesemente l’uno in contrasto con l’altro.
Per meglio comprendere la natura del M5S giova forse spostare lo sguardo dal vertice (grillo e casaleggio + altri 4-5 redattori principali del blog) e guardare la sua base. Essa è composta da circa 20-30 mila persone che si esprimono nel blog con discorsi imbevuti dei temi di moda degli ultimi anni (il merito, la tecnologia salvifica, la democrazia senza intermediari, ecc.). La loro estrazione sociale, a parere di chi ha avuto modo di studiare il fenomeno da vicino, è prevalentemente della classe media, con la caratteristica di ritenersi sottostimati socialmente. Gran parte di costoro pensa di avere capacità e meriti sottovalutati. Culturalmente vicini alla sinistra (da cui molti provengono) sono ipercritici nei confronti dei partiti, a cui addebitano ogni colpa, e assolutamente acritici nei confronti della leadership del M5S. Anzi spesso si cullano nella risibile illusione che non vi sia una leadership, e che il ruolo di grillo e casaleggio sia di una eccezione momentanea, utile solo per far nascere il movimento.
Se proprio dovessi fare un parallelo con forme già conosciute dell’agire associato, parlerei più che di partito o movimento, del processo di costituzione di una setta.
Gli elementi portanti del M5S mi sembrano una visione catastrofista della realtà, la funzione del capo come guida emozionale, la tendenza ad isolare i propri aderenti dal resto del mondo e a dettarne gli stili di vita, la forte centralizzazione decisionale. Non dimentico che Grillo è passato da una visione demoniaca dell’informatica (quando spaccava i computer nei suoi spettacoli-denuncia) ad una visione salvifica, da una critica dei pericoli della scienza ad una visione magica della scienza (qualcuno ricorda la sua proposta dell’auto ad acqua o a idrogeno?) in palese violazione delle più elementari leggi della termodinamica.
Il rischio vero è quello di far scivolare la “polis” dal discorso razionale e dal confronto fra diversi interessi sociali, a discorsi emozionali, alla costruzione di un “uomo nuovo” da imporre ai diversi interessi in forza di superiori vincoli ecologici. Un eco-tecnologismo di massa, tecnicamente definibile come reazionario, in quanto propugnatore di un ritorno ad una condizione pre-moderna, che vede nel welfare e nella civiltà urbana dei costi insostenibili, per un ritorno ad una dimensione comunitaria di piccola scala, pur se collegati in rete.
Il M5S è un soggetto rivoluzionario, non nel senso politico o sociale del termine, ma in senso propriamente antropologico: vuole cambiare il modo di vivere, il modo di intenderci esseri umani. Il suo orizzonte temporale non è nel cosa fare ora, ma nel cosa fare nei prossimi decenni. Le simpatie di Celentano e Dario Fo sembrano portare acqua a questa impressione. Il rischio è che la critica alla modernità non avvenga in nome di un superiore progetto di promozione della libertà umana, ma di un regresso ad una condizione pre-moderna anche se tecnologica, con una corrosione di punti salienti della modernità fra cui ad es. la condizione delle donne.
Vi sono però delle opportunità da cogliere in quanto sta accadendo. Esse riguardano la sinistra e la possibilità di rinsavire rapidamente dalla sbornia del liberismo, per fare una proposta all’altezza della crisi sociale ed economica che stiamo attraversando. Una proposta che per essere efficace e responsabile deve essere radicale. Non si tratta dunque di inseguire il M5S, per concedere qualcosa in cambio di sostegno politico. Ciò non accadrà, poiché il M5S non vuole cose immediate, ma palingenesi future. La sinistra deve invece guardare dentro di se, volgere lo sguardo verso il suo insediamento sociale per curarne le ferite, attingendo dal proprio bagaglio degli attrezzi: una riforma sociale, una riforma politica, una riforma culturale, una riforma ecologica.
Su questo Renzi ha ragione: il M5S va sfidato, non inseguito. E va sfidato contrapponendo alla loro proposta millenarista e pauperista, una proposta di progresso sociale. E qui Renzi appare essere una manifestazione della malattia più che la sua cura. Una volta assunto tutto il renzismo nel suo portato anticasta, di rinnovamento generazionale, rimarrebbe il più piatto continuismo con le politiche economiche e sociali che ci hanno portato fin qui. Senza una proposta di uscita dalla crisi e dalla condizione di insicurezza sociale non si va avanti.
La sfida sta dunque nella costruzione di un programma di riforma sociale. Questo approccio avrebbe anche il merito di indurre nel M5S un dibattito che li riconduca alla realtà, alla vita quotidiana delle persone, alla prassi democratica del confronto.
Se vogliamo che l’ambigua natura del M5S si risolva verso un percorso positivo, interno al meccanismo democratico, allora penso che si debba dar loro il tempo per confrontarsi con le necessità del fare, del governare, dell’agire il cambiamento.
Un ritorno precipitoso alle urne da questo punto di vista sarebbe negativo. Escluso a priori un governo PD-PdL, ogni altra situazione andrebbe sperimentata. Il centro sinistra deve guadagnare il tempo necessario a dare le più urgenti risposte al malessere sociale. La ripetizione delle elezioni fra 3 mesi, nel mentre la crisi si aggrava, rischia di consegnarci un risultato elettorale maggiormente condizionato dai populismi e dalla rabbia.
Il centro sinistra deve presentarsi con una proposta di radicale discontinuità con il liberismo sia nel programma che nella squadra di governo. La biografia di chi verrà proposto come ministro, deve alludere chiaramente a questa svolta. E segnali chiari andranno dati anche nella designazione delle figure istituzionali, in primis del nuovo Presidente della Repubblica.

Michele Bonforte

martedì 5 marzo 2013

L'eterno ritorno dei chierici devoti

Roberta Lombardi, neo capogruppo alla Camera per M5S, ha scritto sul sul proprio blog: "L'ideologia del fascismo, prima che degenerasse - sostiene Lombardi - aveva una dimensione nazionale di comunità attinta a piene mani dal socialismo, un altissimo senso dello stato e la tutela della famiglia". Io non ne traggo la conclusione che la signora sia "fascista". bensì che non sappia quello che dice. Probabilmente non lo sa nemmeno in un altro suo suggestivo passaggio, nel quale definisce "folcloristica" l'idelogia "razzista e sprangaiola" di Casa Pound. Folcloristica?!

Ovviamente, sui giornali, è scoppiata la polemica. Pare che la signora Lombardi si sia offesa, prendendosela con le strumentalizzazioni (?) e assicurando di non apprezzare la dittatura fascista (e ci mancherebbe altro...). Peccato che la sua giustificazione - "La mia era una analisi storica" - sia come dicono in Veneto: pejo el tacòn ch'el buso. Proprio nel senso che la signora non sa quello che dice. Di fronte a questo infelice debutto sulla scena politica, alcuni obiettano che è meglio lasciar perdere: sì, è una cazzata, ma che vuoi che sia, sono ragazzi, se ne dicono tante. e comunque "i politici" hanno fatto di peggio. Troppo comodo, perchè adesso la signora è anche lei una "politica", ha un incarico importante e responsabilità pubbliche, deve rispondere di quel che dice e quel che fa. Troppo comodo, perchè anche altri "politici" - caso esemplare Bossi - sparavano spesso clamorose cazzate e c'era sempre chi invitava a lasciar perdere.

Poi ci sono i pasdaràn che negano tutto, anche l'evidenza. Grillo dice cazzate su Casa Pound? Non è vero. C'è la registrazione audio-video? Non è vero lo stesso, e comunque sono i giornalisti infami che strumentalizzano. Roberta Lombardi scrive sciocchezze sul fascismo che aveva un "altissimo senso dello Stato"? Non è vero. Sta scritto sul suo blog? Non è vero lo stesso, e comunque sono gli altri che strumentalizzano, e comunque il fascismo non esiste più. Tutto già visto e già sentito pochissimo tempo fa, quando anche Berlusconi - proprio nel Giorno della Memoria - fece la sua "analisi storica" per dire che il fascismo aveva fatto anche tante cose buone.

Ecco, la cosa sconfortante è la pulsione dei pasdaràn a difendere i Capi, anche e soprattutto quando sono indifendibili. Il caso di Berlusconi è di scuola. Ma ce ne sono anche altri, in tutte le parti politiche, sinistra compresa. Da questo punto di vista, la vicenda Grillo sta riproducendo e riproponendo la tipologia dei chierici devoti: il Capo ha sempre ragione, qualunque cosa faccia. Gli intellettuali dicono che sia un fenomeno che ritorna spesso nella storia italiana. Il fatto che questa volta ritorni in forma di farsa non è una grande consolazione.


Stefano Morselli

sabato 2 marzo 2013

Grillo gioca a nascondino, il centrosinistra scopra le carte

Grillo è persona molto benestante. Al contrario di molta altra gente, lui non si trova in in emergenza economica e può quindi permettersi di giocare politicamente a nascondino, intrattenendo nel frattempo il gentile pubblico con il suo repertorio di sobrie riflessioni - facce da culo, morti, puttane, mercanti di vacche... - nei confronti del Pd. Oppure, quando si sveglia di buon umore e concede qualche intervista alla stampa estera, con suggerimenti geniali - un bel governissimo tra Pd e Banana - che completerebbero lo sfascio di quei partiti e dell'Italia. Cosi, al prossimo giro, potrebbe presentarsi come unico salvatore urlante della Patria, senza neppure il bisogno di attraversare a nuoto lo stretto di Messina. 

In sostanza, beato lui, se ne frega. Per questo, sarebbe del tutto inutile inseguirlo nel teatrino delle boccacce. Il centrosinistra, se ne è capace, prepari un programma minimo di governo, alcune proposte di cambiamento radicale e tangibile nell'etica politica ed istituzionale, nelle politiche economiche e sociali. E vediamo se i neo-eletti parlamentari del Movimento 5 Stelle se la sentono di fregarsene anche loro.


Stefano Morselli

venerdì 1 marzo 2013

Riaprire i fatti compiuti per non disperdere le potenzialità dell’imprevisto



La delusione

Avevamo sperato non tanto che il berlusconismo fosse finito – i processi culturali profondi hanno tempi di trasformazione che si misurano sulle fasi della storia, non della cronaca – ma che almeno la persona di Silvio Berlusconi e la varia antropologia umana della quale è circondato fosse ormai sostanzialmente da considerare nell’archivio della politica italiana. Lo avevamo sperato, ma sapevamo che la potenza delle sue batterie mediatiche, combinate all’analfabestismo di massa degli italiani (spiega Tullio De Mauro che solo il 20% degli italiani è in grado di comprendere e svolgere un pensiero complesso), alla loro ricattabile precarietà lavorativa ed esistenziale, al dominio diretto e/o indiretto esercitato dalle mafie sul voto in parti rilevanti di molte regioni italiane da Nord a Sud (sostanzialmente coincidenti alle regioni nelle quali c”è stato il successo berlusconiano) avrebbero costituito ancora una combinazione pericolosa. Non a caso, fino alla fine della campagna eletttorale, abbiamo cercato di spiegare che la condizione indispensabile, anche se non sufficiente, per qualunque cambiamento – riformista o radicale – sarebbe passato necessariamente dal liberare definitivamente il nostro Paese da un ventennio berlusconiano-leghista, mafioso, fascista e razzista. E cominciare a renderne più respirabile l’aria. Questo non è savvenuto. I molti che a sinistra hanno sottovalutato questo pericolo oggi si trovano fuori da un Parlamento riempito, invece, per un terzo diberluscloni.
L’imprevisto 
Nonostante ciò, oggi dico con Edgar Morin che “tutti gli elementi che abbiamo sotto gli occhi ci prospettano scenari apocalittici. Ma nella storia dell’ umanità esiste l’ imprevisto, quel fatto inatteso che cambia il corso delle cose. Oltre alla rimonta berlusconiana nel voto del 24 e 25 febbraio si è manifestato un altro importante “imprevisto” – tecnicamente non previsto in queste dimensioni dai sondaggi (ne palesi, ne segreti, ne a voto avvenuto) – ossia il successo straordinario del Movimento 5 stelle dal quale, per la legge elettorale in vigore, non si può più prescindere. Questo ha di fatto ribaltato le alchimie delle segreterie di quei partiti che si fanno dettare le agende dei “mercati”, già pronte a cambiare tutto per non cambiare niente, secondo il più classico adagio della storia patria.
Le ragioni di questo successo grillino sono già sotto analisi da varie parti, personalmente mi limito a dire che esso andrebbe letto in parallelo ad una analisi delle debolezze culturali e organizzative di una sinistra, cosiddetta radicale, che si è presentata alle elezioni divisa, preoccupata da un lato di salvare un ceto politico ormai irrimediabilmente del passato e dall’altro – quella per la quale mi sono speso – apparsa più concentrata a mostrare la propria “affidabilità” per la “governabilità”, anziché la propria alterità culturale, se non a sprazzi. Percepite come incapaci di proporre un orizzonte differente, seppur realistico, di risposte che non fossero, in un caso, rinchiuse nell’ininfluente orticello della pura testimonianza e, nell’altro, soverchiate dalla preponderanza del partner grande della coalizione. Distratte dalla necessaria elaborazione e comunicazione di proposte radicali ma credibili, all’altezza delle domande radicalmente vere provenienti dal profondo della società. Domande raccolte e rilanciate invece, seppur a modo suo e condite da un’insopportabile retorica antipolitica, dall’istrionico Beppe Grillo.
 La partenza
E dunque siamo qui a dover gestire l’imprevisto. Ora si tratta di mettere in campo tutta le capacità fini volte a trasformare in potenzialità positiva questo momento di crisi di sistema. Se ne può uscire in maniera orrorifica, cioè regressiva e devastante per il Paese, con un accordo – seppur provvisorio – tra i democratici e i beluscloni, con la benedizione di Monti, dei poteri finanziari, degli apparati di partito, che già spiegano come questa sarebbe l’unica soluzione gradita ai “mercati”. Oppure se ne può uscire in maniera positiva, avviando quel moreniano “cambiamento del corso delle cose”, con la ricerca di un vero accordo di governo tra il centro-sinistra e il Movimento 5 Stelle, attraverso una proposta seria di lavoro comune su un programma di governo per il cambiamento reale, che tocchi alcune questioni essenziali per tutti. Una proposta che non possa essere rifiutata dal movimento grillino e dal suo costituendo gruppo parlamentare – nonostante le  intemperanze narcisistiche e autoreferenziali del comico genovese – perché volta a segnare una svolta netta rispetto ai governi precedenti, a meno di aprire una contraddizione interna e forte con i loro stessi elettori.
Tra i molti temi possibili, voglio segnalare quello dal quale penso sia necessario partire, perché portatore di un valore in sé, ma anche per il forte impatto reale e simbolico: la completa cancellazione del programma di acquisto dei cacciabombardieri F-35 e l’avvio di un programma di trasferimento progressivo del corrispettivo risparmiato agli Enti Locali ed al Servizio Civile Nazionale, ossia al welfare, ai giovani, alla difesa civile della Patria. Del resto, sia la delega imposta al Parlamento uscente dall’ammiraglio Di Paola per la “riforma dello strumento militare” che la sua dichiarazione alla NATO a 3 giorni dalle elezioni, a conferma l’acquisto dei caccia, hanno voluto mettere questo nuovo parlamento di fronte ai fatti compiuti. Riaprirli e contraddirli è la prima cosa giusta. Il primo e significativo cambiamento reale. E’ nel programma di Sinistra Ecologia e Libertà, è tra i punti propagandati da Grillo, è nei desiderata del popolo democratico (se non nei suoi vertici), è una richiesta dei movimenti per la pace e il disarmo. Anche la casta militare dovrà farsene una ragione. Se i narcisismi da un lato e gli apparati dall’altro non disperderanno le potenzialità di questo imprevisto.
Pasquale Pugliese