mercoledì 31 luglio 2013
Franco Ferretti nuovo coordinatore regionale di "Sinistra Ecologia Libertà"
L'assemblea regionale di "Sinistra Ecologia Libertà" Emilia-Romagna, riunita a Bologna nella serata di venerdì 28 giugno, ha eletto il nuovo coordinatore regionale del partito che succederà a Giovanni Paglia, eletto alla Camera dei Deputati.
Il nuovo coordinatore è Franco Ferretti - che ha accettato di accompagnare SEL all'imminente fase congressuale - eletto a larghissima maggioranza e scelto per la sua solida e ricca esperienza sociale e politica. Ferretti, in passato, ha ricoperto i ruoli di segretario FIOM-CGIL e della Camera del Lavoro di Reggio Emilia, poi di vice-sindaco del Comune di Reggio Emilia dal 2004 al 2009.
Il neo-coordinatore regionale di SEL sarà affiancato da un coordinamento regionale completamente rinnovato, che si segnala per due caratteristiche salienti: la miscela tra amministratori e donne e uomini molto giovani, espressione dei diversi territori della regione, e la provenienza maturata nel vivo delle azioni compiute dalle Federazioni locali di SEL negli ultimi tre anni.
I sei nomi del nuovo coordinamento regionale, con relative deleghe, sono: Elena Tagliani (organizzazione, diritti e legalità), Giuseppe Morrone (comunicazione e cultura), Vincenzo Langella (economia e lavoro), Maria Elena Baredi (scuola e saperi), Fabrizio Amici (ambiente e beni comuni) e Federica Barbacini (welfare, sanità, enti locali). L’età media dei sei componenti è di 35 anni.
L’assemblea ha inoltre eletto Ermes Zattoni presidente dell’assemblea regionale di SEL, incarico
prima ricoperto da Franco Ferretti.
Il nuovo coordinatore è Franco Ferretti - che ha accettato di accompagnare SEL all'imminente fase congressuale - eletto a larghissima maggioranza e scelto per la sua solida e ricca esperienza sociale e politica. Ferretti, in passato, ha ricoperto i ruoli di segretario FIOM-CGIL e della Camera del Lavoro di Reggio Emilia, poi di vice-sindaco del Comune di Reggio Emilia dal 2004 al 2009.
Il neo-coordinatore regionale di SEL sarà affiancato da un coordinamento regionale completamente rinnovato, che si segnala per due caratteristiche salienti: la miscela tra amministratori e donne e uomini molto giovani, espressione dei diversi territori della regione, e la provenienza maturata nel vivo delle azioni compiute dalle Federazioni locali di SEL negli ultimi tre anni.
I sei nomi del nuovo coordinamento regionale, con relative deleghe, sono: Elena Tagliani (organizzazione, diritti e legalità), Giuseppe Morrone (comunicazione e cultura), Vincenzo Langella (economia e lavoro), Maria Elena Baredi (scuola e saperi), Fabrizio Amici (ambiente e beni comuni) e Federica Barbacini (welfare, sanità, enti locali). L’età media dei sei componenti è di 35 anni.
L’assemblea ha inoltre eletto Ermes Zattoni presidente dell’assemblea regionale di SEL, incarico
prima ricoperto da Franco Ferretti.
Michele Bonforte
lunedì 29 luglio 2013
Per carità di patria Ministro, chi depaupera chi?

Ma se il Ministro leggesse per intero l’importante documento del SIPRI scoprirebbe che – all’interno della spesa militare mondiale indicata in ben 1.756 miliardi di dollari (di gran lunga più alta del picco della corsa agli armamenti della guerra fredda, ndr) – l’Italia, con la sua spesa pubblica militare stimata in 34 miliardi di dollari, pari a 26 miliardi di euro, è ritornata tra le prime dieci potenze belliche mondiali. Mentre – ricordiamolo – secondo i dati Eurostat è ultima in Europa per le spese per la cultura e penultima per le spese per l’istruzione, ultima per il welfare (dati Bocconi) e tra i “primi della classe” per la disoccupazione giovanile …E qui, per carità di patria, ci fermiamo
prestigio armato
Anziché avviare un programma straordinario contro la povertà, attivare misure contro la precarietà come il reddito minimo garantito, lanciare un piano per il diritto costituzionale al lavoro e finanziare stabilmente il Sevizio Civile Nazionale, vera e propria difesa civile e sociale della patria, ogni giorno il nostro Paese spende oltre 70 milioni di euro per mantenere questo ruolo di “prestigio” armato sullo scenario mondiale. Una spesa preventiva, in quanto – ha continuato Mauro – “è necessario essere sempre pronti, perché nessuno è in grado di prevedere dove e quando dispiegare lo strumento militare.” Dimentica il Ministro (come già i suoi predecessori degli ultimi venti anni, che hanno inviato combattenti italiani in missioni di guerra in giro per il mondo) che la Costituzione della Repubblica italiana, sulla quale ha giurato al momento del suo insediamento, ripudiando la guerra come principio fondamentale, non prevede di “dispiegare” da nessuna parte lo “strumento militare”, se non strettamente a difesa della Patria e delle sue istituzioni democratiche.
il nodo da sciogliere
Per diradare queste nuvole di fumo nero addensate sulle povere casse dello Stato è necessario porre con forza al ministro Mauro – ed al governo nel suo insieme – le domande avanzate dal Movimento Nonviolento: “da cosa siamo davvero minacciati oggi? Quali sono i mezzi utili per la difesa del nostro paese?” Siamo assediati da pericolosi nemici da bombardare con 90 cacciabombardieri F-35 o “dalla povertà e dall’assenza di futuro” per i nostri giovani? Porre queste domande a chi mena il can per l’aia per mantenere, pur in piena crisi, l’intangibilità militare nell’agenda delle priorità di spesa pubblica, non è esercizio retorico ma aiuta a rimettere a fuoco la questione centrale, ossia se davvero l’Italia stia depauperando le forze armate, come sostiene il Ministro (e il complesso militare-industriale), o se – al contrario – sono proprio le astronomiche spese per gli armamenti che stanno contribuendo a depauperare pericolosamente la tenuta sociale e civile del nostro Paese e della sua Costituzione. Solo sciogliendo questo nodo può essere avviato un serio e necessario ripensamento dell’intero modello di difesa.
Pasquale Pugliese
lunedì 22 luglio 2013
Tra granai vuoti e arsenali pieni. Due Rapporti allo specchio
“Non si possono mettere a confronto spese sociali e spese militari, è demagogia!” è il refrain risuonato più voltenell’aula del Senato, tra lunedì 15 e martedì 16 luglio, sopratutto negli interventi dei senatori del centro-sinistra favorevoli ai caccia F35. Come se si volessero rimuovere dalla memoria collettiva, anzi esorcizzare, un secolo di lotte del movimento operaio per la pace e il lavoro, il disarmo e la giustizia sociale. Come se non fosse mai risuonato nel cuore delle istituzioni italiane il monito del primo presidente socialista della repubblica, Sandro Pertini, che di fronte alla ingiustizie planetarie e alla corsa agli armamenti (oggi, entrambi, più gravi di allora) tuonava: “si svuotino gli arsenali, strumenti di morte, si colmino i granai, fonte di vita”. Davvero una strana idea di demagogia, come se entrambi i capitoli di spesa pubblica – difesa sociale e difesa militare – non attenessero in ugual misura al tema della sicurezza dei cittadini rispetto alle minacce (in certi casi reali, in altri pretestuose) che incombono sulle vite di tutti. E come se le risorse investite su un capitolo di spesa non venissero a mancare per gli altri.
granai vuoti: il rapporto sulla povertà
Eppure, proprio il giorno successivo alle votazioni parlamentari che hanno respinto le ipotesi in campo di cancellazione o di sospensione del più costoso programma italiano di riarmo di tutti i tempi, l’Istat ha pubblicato il suo più drammatico Rapporto sulla povertà nel nostro Paese. Gli italiani che vivono al di sotto della linea di povertà sono ormai 9 milioni 563 mila, pari al 15,8 % della popolazione. Di essi 4 milioni 814 mila (ossia l’8%) sopravvivono in condizioni di povertà assoluta, cioè impossibilitati ad acquisire i beni di prima necessità. Con una forte accelerazione dell’impoverimento complessivo tra il 2011 e il 2012 – che si annuncia ancora più drammatico per il 2013 – al punto che lo storico Marco Revelli, analizzando i dati, ha parlato di vero e proprio “terremoto sociale”. Un milione di questi poveri assoluti sono minori e, avverte l’Unicef, le condizioni di vita di bambini e ragazzi “sono i più importanti indicatori di benessere della società” (non certo gli armamenti, vorrei aggiungere). Per raddrizzare questi indicatori sarebbero necessari investimenti immediati per un piano d’attacco contro la povertà e in difesa dei diritti sociali. Dove prenderli?
arsenali pieni: il rapporto sulla spesa militare
Qui, per esempio. Poche settimane fa è stato pubblicato il Rapporto 2013 dell’Archivio Disarmo su “la spesa militare in Italia”, nel quale è documentato come l’Italia spenderà anche quest’anno oltre 20 miliardi di euro per il comparto militare (oltre un ulteriore miliardo per le missioni internazionali). Ed altrettanti ne sono previsti sui bilanci del 2014 e 2015. Nel rapporto sono elencati a decine tra nuovi programmi militari e progetti di ammodernamento dei sistemi d’arma, con impegni di spesa pluriennali per i prossimi decenni. Solo per fare qualche esempio, tra i programmi militari più costosi a carico del bilancio 2013 – tra ministero della difesa e ministero dello sviluppo economico (verrebbe da chiedersi “di chi?”) – ci saranno i velivoli da combattimento Eurofighter per un miliardo e duecento milioni di euro (da pagare fino al 2021 per oltre 21 miliardi complessivi), le fregate Fremm per 655 milioni (che si dovranno pagare fino al 2019 per un totale di 5 miliardi e 680 milioni di euro), i famigerati F-35 per 500 milioni (per una cifra complessiva ancora incerta ma che preleverà risorse dalle nostre tasche fino al 2027), i 4 sommergibili U-212 per quasi 192 milioni (che si dovranno pagare fino al 2020 per un totale di 1 miliardo e 885 milioni di euro) ed un’infinità di elicotteri da combattimento, di missili, di sistemi satellitari ecc…Insomma un imponente e spaventoso arsenale da guerra per un “Paese in forte declino che” – come commentano i ricercatori di Archivio disarmo – “ha ridotto drasticamente le spese sociali, per la scuola, per i beni culturali, per la sicurezza dei suoi cittadini…”
Costantemente ribaltato il monito costituzionale del presidente Pertini – anche con gli ultimi voti in Parlamento – si continuano a riempire gli arsenali ed a svuotare i granai, al punto che non sappiamo ancora contro chi saranno combattute le guerre (potenzialmente anche nucleari) per le quali ci stiamo preparando, ma è evidente contro chi si sta combattendo la guerra in corso: i cittadini italiani impoveriti, ai quali sono sottratte preziose risorse trasferite, anno dopo anno, alle multinazionali degli armamenti. Per la loro difesa, naturalmente.
Pasquale Pugliese
domenica 14 luglio 2013
Il cacciabombardiere come feticcio
la neolingua
Una nota informativa del Gruppo PD del Senato, circolata in preparazione del voto sui cacciabombardieri Joint-Strike-Fighter-F-35, così descrive questo aereo da guerra: “l’F-35 è un caccia multiruolo di quinta generazione, con uno spiccato orientamento per l’attacco aria-suolo e dotato di tecnologia Stealth, ovvero a bassa osservabilità da parte dei sistemi radar. Il velivolo può essere impiegato in diverse missioni, tra cui interdizione di profondità, soppressione dei sistemi d’arma avversari, offensiva e distruzione delle forze aeree avversarie, attacco strategico, supporto tattico alle forze di superficie”. Niente di quanto affermato lascia intendere – a chiunque sia dotato di una capacità di base di comprensione della lingua italiana – che possa trattarsi di uno strumento di “difesa della Patria” (art. 52 Cost.) – semmai di attacco alle patrie altrui – tanto meno di un mezzo per fare…la pace (art. 11 Cost.).
Tuttavia, esercitandosi nell’orwelliana neolingua – ormai diffusa in Italia da oltre un ventennio- per la quale “la guerra è pace” e “la difesa è attacco”, la sottosegretaria PD alla Difesa Roberta Pinotti continua a sostenere che “dal programma F35 non si esce” perché ne va della stessa esistenza di “un sistema di difesa in Italia” (l’Unità, 8 luglio 2013), facendo eco al suo Ministro di riferimento Mario Mauro (Scelta Civica) che, subito dopo il voto alla Camera, si era lanciato nell’ormai famigerato assioma che “per amare la pace bisogna armare la pace”.
giocattoli e ramoscelli d’ulivo
Affermazioni ossessivamente reiterate, ma talmente surreali se riferite agli F-35 da suscitare l’ilarità anche del direttore di Analisi Difesa Gianandrea Gaiani il quale (proprio sotto una pubblicità di Finmeccanica bene in vista, a dimostrazione che non si tratta certo di un covo di pacifisti) ironizza così sulle parole del ministro: “in attesa di conoscere quante tonnellate di ramoscelli d’ulivo o giocattoli o caramelle potrà imbarcare nella sua capace stiva il rivoluzionario F-35P (dove P sta ovviamente per pace) ci permettiamo di consigliare ad Aeronautica e Marina di tinteggiare in modo adeguato i velivoli con livree consone ai compiti da espletare, con i colori della bandiera della pace oppure con sfondo verde prato con margherite e colombe”. Aggiungendo poco più avanti – a commento di un’intervista all’ineffabile ministro Mauro, nella quale per l’ennesima volta ribadisce che i caccia servono per fare la pace - che “Mauro è riuscito a parlare di un bombardiere concepito per l’attacco preventivo, o meglio per il “first strike” (anche nucleare) sul territorio nemico nel quale dovrebbe penetrare invisibile ai radar, senza mai usare parole che potrebbero far pensare alla guerra. Uno sforzo lessicale teso a cancellare ogni forma di trasparenza che fa sorridere tenuto conto pure i bambini sanno che il JSF rimpiazzerà Tornado, Harrier e Amx, guarda caso gli stessi jet che hanno lanciato oltre 700 bombe e missili sulla Libia più molte altre in passato su Kosovo, Bosnia, Iraq e più recentemente sull’Afghanistan. Non sarebbe stato più serio e trasparente affermare che quei velivoli ci servono per bombardare il nemico insieme ai nostri alleati, o meglio bombardare quei nemici che la “comunità internazionale” ci indicherà?”
feticisti o stegoni?
A questo punto, continuare ad affermare contro ogni evidenza, in oltraggio all’intelligenza ed alla lingua italiana, che quello dei caccia sia uno strumento di difesa – anzi addirittura un “operatore di pace” – vuol dire spacciarlo alla stregua di un oggetto magico, capace di realizzare, attraverso una miracolosa etorogenesi dei fini, il contrario (la pace) di ciò per cui è programmato (la guerra). Ossia tecnicamente un feticcio, secondo la definizione che ne fornisce l’enciclopedia Treccani: “oggetto inanimato al quale viene attribuito un potere magico o spirituale. Il vocabolo, adottato nel 16° sec. dai navigatori portoghesi (feitiço) per designare gli idoli e gli amuleti che comparivano nelle pratiche cultuali di popoli indigeni africani, fu esteso successivamente a qualsiasi oggetto ritenuto immagine, ricettacolo di una forza invisibile sovrumana”. Chi ne subisce il fascino è, tecnicamente, un feticista, chi ne amministra il culto uno stregone. Il primo è, tutto sommato, un manipolato; il secondo un consapevole manipolatore che, facendosi considerare legato a forze sovraumane, alimenta un ingannevole sistema di credenze. Ecco, attraverso il feticcio del cacciabombardiere si sta realizzando il più gigantesco inganno sistematico ai danni dei cittadini italiani e della loro Costituzione. Da lunedì 15 luglio comincerà al Senato della Repubblica la discussione delle mozioni sul programma degli F-35 che porterà ad un nuovo voto, già stato dichiarato inutile dal Consiglio supremo di difesa. Da giovedì 18 luglio comincerà a Cameri di Novara l’assemblaggio del primo feticcio, ma la cerimonia di inaugurazione intorno al totem è stata rinviata dagli stregoni a data da destinarsi.
Pasquale Pugliese
Una nota informativa del Gruppo PD del Senato, circolata in preparazione del voto sui cacciabombardieri Joint-Strike-Fighter-F-35, così descrive questo aereo da guerra: “l’F-35 è un caccia multiruolo di quinta generazione, con uno spiccato orientamento per l’attacco aria-suolo e dotato di tecnologia Stealth, ovvero a bassa osservabilità da parte dei sistemi radar. Il velivolo può essere impiegato in diverse missioni, tra cui interdizione di profondità, soppressione dei sistemi d’arma avversari, offensiva e distruzione delle forze aeree avversarie, attacco strategico, supporto tattico alle forze di superficie”. Niente di quanto affermato lascia intendere – a chiunque sia dotato di una capacità di base di comprensione della lingua italiana – che possa trattarsi di uno strumento di “difesa della Patria” (art. 52 Cost.) – semmai di attacco alle patrie altrui – tanto meno di un mezzo per fare…la pace (art. 11 Cost.).
Tuttavia, esercitandosi nell’orwelliana neolingua – ormai diffusa in Italia da oltre un ventennio- per la quale “la guerra è pace” e “la difesa è attacco”, la sottosegretaria PD alla Difesa Roberta Pinotti continua a sostenere che “dal programma F35 non si esce” perché ne va della stessa esistenza di “un sistema di difesa in Italia” (l’Unità, 8 luglio 2013), facendo eco al suo Ministro di riferimento Mario Mauro (Scelta Civica) che, subito dopo il voto alla Camera, si era lanciato nell’ormai famigerato assioma che “per amare la pace bisogna armare la pace”.
giocattoli e ramoscelli d’ulivo
Affermazioni ossessivamente reiterate, ma talmente surreali se riferite agli F-35 da suscitare l’ilarità anche del direttore di Analisi Difesa Gianandrea Gaiani il quale (proprio sotto una pubblicità di Finmeccanica bene in vista, a dimostrazione che non si tratta certo di un covo di pacifisti) ironizza così sulle parole del ministro: “in attesa di conoscere quante tonnellate di ramoscelli d’ulivo o giocattoli o caramelle potrà imbarcare nella sua capace stiva il rivoluzionario F-35P (dove P sta ovviamente per pace) ci permettiamo di consigliare ad Aeronautica e Marina di tinteggiare in modo adeguato i velivoli con livree consone ai compiti da espletare, con i colori della bandiera della pace oppure con sfondo verde prato con margherite e colombe”. Aggiungendo poco più avanti – a commento di un’intervista all’ineffabile ministro Mauro, nella quale per l’ennesima volta ribadisce che i caccia servono per fare la pace - che “Mauro è riuscito a parlare di un bombardiere concepito per l’attacco preventivo, o meglio per il “first strike” (anche nucleare) sul territorio nemico nel quale dovrebbe penetrare invisibile ai radar, senza mai usare parole che potrebbero far pensare alla guerra. Uno sforzo lessicale teso a cancellare ogni forma di trasparenza che fa sorridere tenuto conto pure i bambini sanno che il JSF rimpiazzerà Tornado, Harrier e Amx, guarda caso gli stessi jet che hanno lanciato oltre 700 bombe e missili sulla Libia più molte altre in passato su Kosovo, Bosnia, Iraq e più recentemente sull’Afghanistan. Non sarebbe stato più serio e trasparente affermare che quei velivoli ci servono per bombardare il nemico insieme ai nostri alleati, o meglio bombardare quei nemici che la “comunità internazionale” ci indicherà?”
feticisti o stegoni?
A questo punto, continuare ad affermare contro ogni evidenza, in oltraggio all’intelligenza ed alla lingua italiana, che quello dei caccia sia uno strumento di difesa – anzi addirittura un “operatore di pace” – vuol dire spacciarlo alla stregua di un oggetto magico, capace di realizzare, attraverso una miracolosa etorogenesi dei fini, il contrario (la pace) di ciò per cui è programmato (la guerra). Ossia tecnicamente un feticcio, secondo la definizione che ne fornisce l’enciclopedia Treccani: “oggetto inanimato al quale viene attribuito un potere magico o spirituale. Il vocabolo, adottato nel 16° sec. dai navigatori portoghesi (feitiço) per designare gli idoli e gli amuleti che comparivano nelle pratiche cultuali di popoli indigeni africani, fu esteso successivamente a qualsiasi oggetto ritenuto immagine, ricettacolo di una forza invisibile sovrumana”. Chi ne subisce il fascino è, tecnicamente, un feticista, chi ne amministra il culto uno stregone. Il primo è, tutto sommato, un manipolato; il secondo un consapevole manipolatore che, facendosi considerare legato a forze sovraumane, alimenta un ingannevole sistema di credenze. Ecco, attraverso il feticcio del cacciabombardiere si sta realizzando il più gigantesco inganno sistematico ai danni dei cittadini italiani e della loro Costituzione. Da lunedì 15 luglio comincerà al Senato della Repubblica la discussione delle mozioni sul programma degli F-35 che porterà ad un nuovo voto, già stato dichiarato inutile dal Consiglio supremo di difesa. Da giovedì 18 luglio comincerà a Cameri di Novara l’assemblaggio del primo feticcio, ma la cerimonia di inaugurazione intorno al totem è stata rinviata dagli stregoni a data da destinarsi.
Pasquale Pugliese
sabato 13 luglio 2013
Ineleggibile, incompatibile, forse interdetto... E intanto Berlusconi è sempre lì
Un gruppo di deputati del Pd ha messo a punto un disegno
di legge che modifica la vecchia legge del 1957 sulle cause di
ineleggibilità al Parlamento, della quale si parla molto in questo 2013 (
a soli 56 annidi distanza dalla approvazione) per capire se riguardi
oppure no il caso di Berlusconi (nel frattempo eletto in Parlamento solo da
una ventina di anni, che volete che sia). Nel
dubbio, questo gruppo di deputati Pd vorrebbe sostituire il principio
della "ineleggibilità" con quello della "incompatibilità", cucito su
misura di Berlusconi, per evitare altri venti anni di incertezze e diatribe
interpretative.
L'iniziativa ha provocato divisioni e polemiche all'interno del Pd, come avviene regolarmente su ogni materia dello scibile umano. Qualcuno sospetta che si tratti di uno strattagemma per superare le precedenti divisioni e polemiche interne al Pd sulla "ineleggibilità" di Berlusconi. Se non addirittura di un sostanziale favore al Banana, che - invece di una eventuale decadenza immediata - otterrebbe un anno di tempo per scegliere tra il Parlamento e le proprie aziende.
Ma, secondo me, il punto non è quello: fosse davvero questione di un anno, ce ne potremmo fare una ragione. Perfino per cacciare dal Parlamento il pluricondannato sotto-banana Previti c'è voluto di più. Il punto è che, dopo decenni di polemiche contro le leggi ad personam in favore del Banana, ora si ricorrerebbe a una legge ad personam per sbarazzarsi del Banana. E in ogni caso, come sarebbe mai possibile che un provvedimento comunque mirato aBerlusconi - un "esproprio proletario", lo hanno già definito alcuni seguaci di Berlusconi - venisse approvato dalla maggioranza che sostiene il governo delle "larghe intese", cioè anche da Berlusconi medesimo?
Presumibilmente, non se ne farà nulla. Tanto per cambiare.
Stefano Morselli
L'iniziativa ha provocato divisioni e polemiche all'interno del Pd, come avviene regolarmente su ogni materia dello scibile umano. Qualcuno sospetta che si tratti di uno strattagemma per superare le precedenti divisioni e polemiche interne al Pd sulla "ineleggibilità" di Berlusconi. Se non addirittura di un sostanziale favore al Banana, che - invece di una eventuale decadenza immediata - otterrebbe un anno di tempo per scegliere tra il Parlamento e le proprie aziende.
Ma, secondo me, il punto non è quello: fosse davvero questione di un anno, ce ne potremmo fare una ragione. Perfino per cacciare dal Parlamento il pluricondannato sotto-banana Previti c'è voluto di più. Il punto è che, dopo decenni di polemiche contro le leggi ad personam in favore del Banana, ora si ricorrerebbe a una legge ad personam per sbarazzarsi del Banana. E in ogni caso, come sarebbe mai possibile che un provvedimento comunque mirato aBerlusconi - un "esproprio proletario", lo hanno già definito alcuni seguaci di Berlusconi - venisse approvato dalla maggioranza che sostiene il governo delle "larghe intese", cioè anche da Berlusconi medesimo?
Presumibilmente, non se ne farà nulla. Tanto per cambiare.
Stefano Morselli
venerdì 12 luglio 2013
L’aereo
Joint Strike Fighter (F35) è un cacciabombardiere di quinta
generazione, capace di trasportare ordigni nucleari con
caratteristiche stealth e net rilevabilità da parte dei sistemi
radar e capacità di interazione
con
tutti i sistemi di comunicazione presenti sullo scenario di guerra,
che decolla ed atterra in verticale e viaggia a velocità
supersoniche;
il
progetto per la realizzazione di questo velivolo è frutto di un
accordo tra gli Stati Uniti e 8 Paesi partner, tra cui l’Italia,
che prevede la realizzazione di 3.173 velivoli per un costo
complessivo stimato di 396 miliardi di dollari, anche se nessuno,
allo stato attuale, è in grado di quantificare il costo finale
dell’intero progetto e quindi di ogni singolo aereo, comunque oggi
stimato intorno ai 190 milioni di dollari;
La
mobilitazione della Rete Italiana Disarmo e della campagna “taglia
le ali alle armi” ha costretto il Parlamento ad affrontare
pubblicamente la spinosa questione degli F35. I partiti di
maggioranza ne avrebbero fatto volentieri a meno, nascondendosi
dietro a scelte già fatte nel passato ma
la
mozione presentata dall’intergruppo parlamentare per la pace e il
disarmo, primo firmatario il deputato Giulio Marcon di SEL, ha
chiesto una chiara scelta di campo:
sì
o no all’abolizione dell’intero progetto Joint Strike Fighter.
Il
governo ha rinviato di 6 mesi la scelta, affidando alle
commissioni parlamentari un’indagine conoscitiva che, peraltro, è
già stata fatta in questi ultimi quattro anni dalla Rete Italiana
Disarmo, supplendo alle negligenze e alle omertà dei vari governi e
del Ministero della Difesa che hanno sempre tentato di nascondere
cifre e verità. Le schede sugli F35 della campagna “Taglia le ali
alle armi” sono a disposizione di chiunque le voglia consultare,
deputati compresi”.
Tutto ciò
mentre in una scuola italiana su 3 mancano i certificati di
sicurezza, migliaia di italiani vivono su territori a rischio
sismico o idrogeologico, gli Enti locali non hanno più i fondi per
la manutenzione, gli effetti conseguenti ai cambiamenti climatici,
sono tali che gli eventi estremi hanno subito un aumento
esponenziale. Spendere 14 miliardi di euro per comprare aerei con
funzioni d’attacco, capaci di trasportare ordigni nucleari, mentre
non si trovano risorse per il lavoro, la scuola, la salute e la
giustizia sociale è una scelta incomprensibile che il Governo deve
rivedere.
I
parlamentari di Sel hanno chiesto al Governo:
- di sospendere immediatamente la partecipazione italiana al programma di realizzazione degli aerei F35.
- di procedere in tempi rapidi ad una ridefinizione del modello di difesa nel rispetto della Costituzione italiana
- di destinare le somme risparmiate per un programma di investimenti pubblici riguardanti la messa in sicurezza delle scuole, del territorio, a favore del lavoro, dei giovani, del welfare e delle misure contro l’impoverimento dell’Italia e degli italiani
Nonostante
le prese di posizione della maggioranza di governo e del Consiglio
supremo di Difesa, l’obiettivo resta quello della rinuncia totale
agli F35 per investire quel denaro in opere di difesa sociale e
costruzione della pace.
Sinistra Ecologia Libertà - Reggio Emilia
mercoledì 10 luglio 2013
Diciamo basta al femminicidio
E’ una vera cronaca di guerra.
Ancora
oggi una giovane donna è stata ammazzata dall’ex compagno, dopo il suo no e 6
denuncie per stalking, alla fine un’altra
vittima. Come nei giorni scorsi.
Dopo la fine della relazione,
la donna si era trasferita a casa dei genitori. Secondo gli investigatori la
giovane avrebbe denunciato il presunto aggressore ben sei volte per stalking.
Ed è qui che questa mattina l'ha raggiunta l'ex convivente che non si era
rassegnato alla separazione. L'uomo ha provato un'ennesima riconciliazione. La
discussione è però presto degenerata e Rosi è stata raggiunta da diverse
coltellate ed è morta sul colpo.
Solo
nel 2012 sono state uccise 128 donne in Italia.
Tutto
questo nonostante sia stata approvata alla Camera la Convenzione di
Istanbul.
*con 545 voti a favore su 545, il ddl che
prevede "prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne
e la violenza domestica", passa ora al Senato per l'approvazione. L'Italia
è la quinta nazione a ratificarlo dopo Montenegro, Albania, Turchia e
Portogallo. Perché sia applicato dovrà essere sottoscritto da almeno 10 Stati,
di cui almeno 8 del Consiglio d'Europa*
La proclamazione del
risultato è stata fatta dal presidente Laura Boldrini. Il ddl di ratifica passa
ora al Senato per l'approvazione defintiva.
Si tratta del primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea
un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di
violenza, e che promuove "la concreta parità tra i sessi, rafforzando
l'autonomia e l'autodeterminazione delle donne".
Bisogna andare avanti anche
al Senato, sollecitare altri Stati e soprattutto costruire tavoli di ascolto
territoriali per evitare episodi così agghiaccianti.
Non possiamo essere ciechi e
sordi a questi episodi che accadono sempre più spesso fra le mura domestiche e
non sottovalutare le grida di aiuto che vengono dalle donne che spesso nemmeno
la famiglia riesce ad intercettare. Salvo poi chiedersi e chiedere giustizia.
Nessun familiare può credere
che si arrivi a tanto, togliere la vita, per amore. E’ possesso è rabbia è
tante cose che sono inumane.
Solo ieri il grido di dolore
dei familiari e amici di Tiziana di Rubiera, che vogliono giustizia ed rapido
processo, a cui va il nostro appoggio ed il nostro incoraggiamento.
Teresa Debbi
Ed è qui che questa mattina l'ha raggiunta l'ex convivente che non si era rassegnato alla separazione. L'uomo ha provato un'ennesima riconciliazione. La discussione è però presto degenerata e Rosi è stata raggiunta da diverse coltellate ed è morta sul colpo.
*con 545 voti a favore su 545, il ddl che prevede "prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica", passa ora al Senato per l'approvazione. L'Italia è la quinta nazione a ratificarlo dopo Montenegro, Albania, Turchia e Portogallo. Perché sia applicato dovrà essere sottoscritto da almeno 10 Stati, di cui almeno 8 del Consiglio d'Europa*
Si tratta del primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza, e che promuove "la concreta parità tra i sessi, rafforzando l'autonomia e l'autodeterminazione delle donne".
Noi, giovani vecchi.
Chi sono i giovani vecchi? Sono tra noi, invisibili e talvolta timorosi di raccontare la propria esperienza. E' la generazione sfortunata, si dice in giro. E' chi non avrà mai una pensione, dicono altri. Ma di questo passo, la pensione pare proprio l'ultimo dei pensieri dei giovani vecchi.
Da piccoli, avevano individuato una vocazione, un ambito in cui erano bravi e in cui si volevano cimentare, impegnando anni di studio e fatica. Quindi, una volta superata la grande ultima faticata chiamata laurea, e sentendosi quindi splendidamente gratificati, erano pronti e pieni di energia per la ricerca del lavoro tanto desiderato. Ma i giovani vecchi, presto, si sono resi conto che tutto il loro impegno per ottenere una laurea non era sufficiente, allora venne integrato il tutto con un master più specifico, imparare tante lingue (perché all'epoca, si diceva ai giovani vecchi: le lingue sono fondamentali per avere subito un lavoro!) e volare all'estero per fare ottima gavetta. Ora si dice che siano troppo qualificati, però.
Il giovane vecchio è colui il quale si trova intrappolato in uno strano limbo, è troppo giovane per essere assunto (gli si dice) e troppo vecchio per cercare un altro tipo di impiego, ahimè, estraneo alla sua formazione o accedere ad un certo tipo di bandi. Si dice, al contempo, che siano anche altamente qualificati, questi giovani vecchi.
Certo che, per il giovane vecchio, è molto umiliante e mortificante il fatto di passare intere giornate, mesi e talvolta anni a consegnare a mano il proprio curriculum meticolosamente curato o spedirlo alle offerte che si trovano su internet, senza quasi mai ricevere risposte.
Certo che, per il giovane vecchio, è molto umiliante e mortificante il fatto di passare intere giornate, mesi e talvolta anni a consegnare a mano il proprio curriculum meticolosamente curato o spedirlo alle offerte che si trovano su internet, senza quasi mai ricevere risposte.
Il giovane vecchio viene però spesso contattato per fare dei tirocini formativi o stage, raramente retribuiti. Colto da una sorprendente voglia di fare, dopo mesi di assopimento e semi-depressione trascorsi a spedire curriculum, il giovane vecchio spesso accetta la proposta di stage. In tanti si chiederanno il motivo di tale decisione. Egli la accetta perchè questa proposta spezza il periodo avvilente di invio smodato di curriculum, ma soprattutto perché vige la speranza che, dando il veramente massimo, forse un giorno potrà palesarsi un contratto, la tanto attesa assunzione. Dicono anche che la speranza sia l'ultima a morire.
Talvolta accade che durante lo stage, il nome del giovane vecchio non venga ricordato, e le sue competenze non siano nemmeno conosciute. Lui sta lì però, e lavora come se fosse sotto contratto, fino alla fine. Fino all'ennesima mortificazione, parola che stranamente fa rima con gratificazione. A volte succede che possa avere ottime idee ed iniziative, ma non vengono considerate perché non lo si conosce a fondo. A volte succede che il giovane vecchio finisce il suo periodo di stage e quasi nessuno ne è al corrente. Forza lavoro gratis ed oltretutto anonima, dico io.
Talvolta accade che durante lo stage, il nome del giovane vecchio non venga ricordato, e le sue competenze non siano nemmeno conosciute. Lui sta lì però, e lavora come se fosse sotto contratto, fino alla fine. Fino all'ennesima mortificazione, parola che stranamente fa rima con gratificazione. A volte succede che possa avere ottime idee ed iniziative, ma non vengono considerate perché non lo si conosce a fondo. A volte succede che il giovane vecchio finisce il suo periodo di stage e quasi nessuno ne è al corrente. Forza lavoro gratis ed oltretutto anonima, dico io.
Quindi chi è veramente il giovane vecchio, questa creatura sfuggente? E' solo di passaggio, come un viaggiatore. Ed è forse giunta l'ora di viaggiare per noi giovani vecchi, ed ottenere le meritate gratificazioni al momento negate, in questo posto.
Alessandra Ligabue
martedì 9 luglio 2013
S.O.S. 194: gli attacchi alla Legge non sono mai cessati nonostante abbia consentito la riduzione degli aborti
Rompiamo il silenzio che ormai da anni
circonda il tema dell’interruzione di gravidanza per non cadere nella piaga
della clandestinità, diretta conseguenza
dell’aumento dei medici obiettori che ha
raggiunto nel 2010 una percentuale nazionale
del 70%. Obiezione di coscienza che da diritto individuale sta scivolando nell’obiezione di struttura.
L’O.M.S.,
tramite la risoluzione del Consiglio d’Europa, ha ribadito che l’obiezione di
coscienza non deve discriminare le donne ma deve garantire a tutte l’accesso
tempestivo all’intervento, determinando la procedura di infrazione in caso di
mancata applicazione della Legge
RECLAMIAMO
:
-
il rispetto della
Legge 194 che riconosce alla donna il principio di sovranità sul proprio corpo,
senza tentativi di colpevolizzare il principio di scelta
-
la presenza in
tutti gli ospedali e nei centri accreditati di un numero di medici non
obiettori, tale da evitare alle donne i rischi provocati da un’attesa
prolungata, girando da un ospedale all’altro o migrando in un’altra città o
regione o all’estero
-
la garanzia per i
medici non obiettori di non ritrovarsi relegati ad occuparsi quasi
esclusivamente di IVG con il rischio più che concreto di una
dequalificazione professionale e di
conseguenti effetti penalizzanti sulle loro stesse possibilità di carriera
-
la
rivalorizzazione del consultorio familiare quale servizio fondamentale
nell’attivare la rete di sostegno per la procreazione responsabile, istituito
per difendere la salute psicofisica della donna, attraverso una corretta prevenzione-informazione
-
la promozione
dell’educazione affettiva/sessuale nelle
Istituzioni scolastiche e nei consultori
Nella
nostra realtà locale assistiamo ad un aumento preoccupante di medici obiettori:
i numeri parlano chiaro… a Reggio Emilia sono il 66,7% all’Ausl e il 72,2%
all’interno dell’azienda ospedaliera rispetto ad una percentuale regionale che
si ferma al 51,9%.
Nella nostra provincia due ginecologi su
tre sono obiettori.
Non
consola che nella Regione Lazio o in altre regioni la percentuale raggiunga o
superi il 90% .
In Parlamento SEL ha presentato una mozione che chiede la fine dell’abuso dell’obiezione di
coscienza per la Legge 194 e la fine
dell’ostracismo contro la RU486,
pillola del giorno dopo.
Sinistra Ecologia Libertà Reggio Emilia
SU UN TEMA COSI’ IMPORTANTE SEL DI REGGIO EMILIA INVITA PERSONE, ASSOCIAZIONI E ORGANIZZAZIONI INTERESSATE A COSTITUIRE UN COMITATO IN DIFESA DELLA LEGGE 194/78
lunedì 8 luglio 2013
Pippo Civati al bivio tra Pd reale e Pd immaginario
Ho seguito e raccontato per l'Unità il "Politicamp" di Pippo Civati a Reggio Emilia (l'ultimo articolo è sul giornale di oggi). Senza ripetere la cronaca che ho scritto su l 'Unità, propongo qui un paio di considerazioni personali. La prima: Civati mi pare sincero quando dice che un altro Pd è possibile, su posizioni chiare e comprensibili (cioè opposte alla filosofia del "ma anche"), radicalmente diverso da quello attuale e anche da quello che abbiamo conosciuto fin dalla nascita, Mi pare anche che la collocazione e le posizioni indicate da Civati siano largamente condivisibili da coloro che, dentro il Pd e fuori dal Pd, vorrebbero che in Italia finalmente esistesse un "normale" e moderno partito di sinistra, robustamente riformista, ispirato al socialismo democratico, di profilo europeo. Infine, mi pare che Civati e i suoi sostenitori siano effettivamente fuori dal giochi dellle correnti e sottocorrenti (di incerta collocazione ideale) nelle quali si fanno la guerra e poi si dividono quote di potere i gruppi dirigenti del Pd. In questi giochi è ormai entrata a pieno titolo anche la corrente ex "rottamatrice"di Matteo Renzi, che - a dispetto dei continui pianti sulle regole e sui presunti boicottaggi delle altre correnti - comprende già robusti pezzi di apparato.
La seconda considerazione: il Pd immaginato da Civati, anche se davvero fosse realizzabile, non sarebbe più il Pd. O meglio: sarebbe un Pd ricostruito dalle fondamenta, una storia completamente nuova rispetto a quella narrata da sei anna a questa parte. L'unica possibilità che ha Civati per chiudere la storia vecchia e avviare quella nuova è vincere il congresso e poi andare avanti come un treno. Se questo accadesse, la storia nuova riguarderebbe non solo il Pd, ma tutto il centrosinistra e l'intera politica italiana. Spero di sbagliarmi, ma dubito molto che possa accadere. Più facile è che Civati ottenga un risultato discreto, una apprezzabile minoranza. Dopo di che, davanti a lui si aprirù un bivio. Una possibile scelta sarà rimanere nella vecchia storia, appena un po' riverniciata, a svolgere un ruolo di testimonanza, magari generosa, ma destinata alla sostanziale irrilevanza politica, come ben sa chi ha vissuto in passato l'esperienza della sinistra Ds, o più recentemente quella dell'area Marino dopo il congresso Pd che elesse segretario Bersani. L'altra possibile strada sarà cercare la nuova storia altrove, insieme ad altri che la stanno cercando da tempo, ancorchè finora con scarso successo.
Può piacere oppure no. Ma le opzioni sono queste. Come dicevano gli antichi latini: tertium non datur.
Stefano Morselli
La seconda considerazione: il Pd immaginato da Civati, anche se davvero fosse realizzabile, non sarebbe più il Pd. O meglio: sarebbe un Pd ricostruito dalle fondamenta, una storia completamente nuova rispetto a quella narrata da sei anna a questa parte. L'unica possibilità che ha Civati per chiudere la storia vecchia e avviare quella nuova è vincere il congresso e poi andare avanti come un treno. Se questo accadesse, la storia nuova riguarderebbe non solo il Pd, ma tutto il centrosinistra e l'intera politica italiana. Spero di sbagliarmi, ma dubito molto che possa accadere. Più facile è che Civati ottenga un risultato discreto, una apprezzabile minoranza. Dopo di che, davanti a lui si aprirù un bivio. Una possibile scelta sarà rimanere nella vecchia storia, appena un po' riverniciata, a svolgere un ruolo di testimonanza, magari generosa, ma destinata alla sostanziale irrilevanza politica, come ben sa chi ha vissuto in passato l'esperienza della sinistra Ds, o più recentemente quella dell'area Marino dopo il congresso Pd che elesse segretario Bersani. L'altra possibile strada sarà cercare la nuova storia altrove, insieme ad altri che la stanno cercando da tempo, ancorchè finora con scarso successo.
Può piacere oppure no. Ma le opzioni sono queste. Come dicevano gli antichi latini: tertium non datur.
Stefano Morselli
sabato 6 luglio 2013
Spaesamenti. Se il Consiglio di difesa offende il Parlamento
Ha avuto un vero e proprio effetto di spaesamento, mentre eravamo intenti a capire la tragica evoluzione del colpo di Stato dei militari egiziani, leggere la nota del Consiglio supremo di difesa italiano che – in risposta alle votazioni alla Camera dei Deputati sugli F-35 – vuole esautorare il Parlamento dalla sovranità deliberativa in materia di spese per gli armamenti. Una nota preoccupante emessa da questo organismo convocato e presieduto dal Presidente della Repubblica, al termine della riunione alla quale ha partecipato, oltre al Capo di stato maggiore della Difesa, anche mezzo governo (ma – si badi – non il ministro Kienge che ha la delega sul Servizio Civile Nazionale, cioè sulla difesa civile della Patria).
L’Italia è una Repubblica parlamentare, dove i nostri rapprentanti esercitano il potere legislativo in nome del popolo italiano (se non in “casi straordinari di necessità e d’urgenza” nel quale questa competenza è assunta temporaneamente dal governo) senza limitazione di temi, anzi – specifica la Costituzione – “ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse”. Non esistono ambiti sottratti alla giurisdizione del Parlamento, nè civili nè militari.
E’ semmai il Parlamento che, da sempre, è fin troppo timido nei confronti delle questioni della Difesa, avallando – spesso senza discussione – decisioni militari già prese altrove: dal rituale rifinanziamento delle missioni di guerra (non dimentichiamo che truppe italiane occupano ancora, manu militari, una porzione di territorio afghano) alla consueta protezione del comparto militare dai tagli alla spesa pubblica, dalle spese per il riammodernamento dei sistemi d’arma all’acquisizione di nuovi, micidiali e costosi strumenti di morte, fino alla diversificazione dei budget finalizzati ai militari anche su capitoli civili come lo “sviluppo economico” e la “ricerca”. Sottraendo comunque, a questo scopo, preziose risorse altrimenti disponibili per la difesa dei diritti civili e sociali costituzionali, costantemente sotto la minaccia dalla precarietà, dalla povertà, dalla disoccupazione, dalle mafie e così via.
Eppure la Costituzione parla chiaro: l’”Italia ripudia la guerra” sotto qualunque forma. Dunque sono proprio le spese militari, “mezzo” e “strumento” di guerra, per loro natura sul filo di una dubbia costituzionalità, che dal Parlamento andrebbero esaminate minuziosamente, vagliate accuratamente una per una, bocciando senza appello almeno quelle a chiara vocazione offensiva, proprio come i cacciabombardieri F-35, capaci di trasportare (invisibili ai radar) armi nucleari in territori lontani. Il più minaccioso e gigantesco progetto di riarmo mai realizzato, attentato permanente alla pace.
Per troppo tempo nel nostro Paese (e non solo) si è verificato il meccanismo descritto dal politologo tedesco Ekkehat Krippendorff ne “Lo stato e la guerra” (Gandhi edizioni, 2008) secondo il quale i cittadini nell’osservare i sistematici preparativi bellici dei global player si sono cullati “nell’illusione ingenua che i nostri capi di Stato e i loro, intelligentissimi e, dal punto di vista tecnico, qualificatissimi aiutanti militari, non intendevano seriamente i loro progetti” ma si muovevano, appunto, da giocatori in una partita per il prestigio globale. Oggi, mentre “la storia dello Stato e della guerra ci insegna piuttosto il contrario”, ossia che nell’82 % dei casi la corsa agli armamenti conduce alla guerra, e una crisi economica senza precedenti sta facendo precipitare consistenti fasce di popolazione nella povertà, gli stessi cittadini chiedono di poter andare a fondo nelle questioni controverse e capire perché si debba spendere per la guerra piuttosto che per la pace.Grazie alla campagna Taglia le ali alle armi, nel nostro Paese una generica invettiva anti-casta sta diventando progressivamente una specifica e consapevole opposizione alla maggiore e più ingiustificabile di tutte le spese, quella per gli armamenti. E una parte importante del nuovo Parlamento sta provando a recepire e rispondere.
Questa novità il complesso militare-industriale non l’aveva prevista. Da questo risveglio di attenzione nel Paese si sente minacciato al punto che, in un corto circuito istituzionale, il Consiglio superiore di difesa offende direttamente il Parlamento, cioè il principale organo democratico costituzionale che è preposto a difendere. Un completo e pericoloso spaesamento. Al quale bisogna rispondere con la fermezza nella verità, la forza della nonviolenza, l’obiezione di coscienza personale (alla quale invita anche il Movimento Nonviolento) per consentire al Parlamento di votare liberamente – senza intimidazioni e condizionamenti – le mozioni per la cancellazione del programma degli F-35 che il Paese sta aspettando. A cominciare dalla prossima votazione del 10 luglio al Senato della Repubblica.
Scriveva Mohandas K. Gandhi, che di campagne politiche se ne intendeva, che “ogni lotta nonviolenta per la giustizia passa per la prova di cinque fasi: indifferenza, ridicolo, calunnia, repressione, rispetto”. Probabilmente siamo ad un passaggio di fase.
Pasquale Pugliese
mercoledì 3 luglio 2013
Quei disarmati facitori di pace (che non vivono in un pub)
Ho letto La conta dei salvati. Dalla Grande Guerra al Tibet: storie di sangue risparmiato, l’ultimo importante lavoro della storica Anna Bravo (Edizioni Laterza, giugno 2013), proprio nei giorni in cui alla Camera dei Deputati si discuteva sui caccia F-35, si votava quella che è stata definita l’ipocrita mozione della maggioranza di governo e si ascoltavano le deliranti dichiarazioni del ministro della difesa sull’armare la pace per amare la pace. E’ stato un salutare antidoto di lucidità. Ed anche un punto riferimento ulteriore, a partire dal quale misurare la lontananza culturale tra chi ha il mandato di gestire i temi fondamentali della vita e della morte (armi e guerre, comunque aggettivate, fatte o risparmiate, di questo trattano) puntando sugli armamenti e i facitori di pace (per dirla, come fa la Bravo, con Alex Langer) cioè tutti coloro che nel Novecento e dopo, in tutte le latitudini, noti o sconosciuti, hanno operato ed operano – dal basso e disarmati – per risparmiare il sangue. E costruiscono storia, perché costruiscono futuro.
“E’ un’idea malsana che quando c’è guerra c’è storia, quando c’è pace no. Il sangue risparmiato fa storia come il sangue versato”. In fondo è proprio questa idea malsana, questo paradigma culturale nel quale siamo tutti – più o meno – immersi, per cui gli armati fanno la storia e gli inermi non possono che subirla che viene smontato, pezzo dopo pezzo (anzi, esempio dopo esempio, individuali e collettivi) da Anna Bravo, richiamandosi esplicitamente alla cultura che, almeno da Gandhi in avanti, costruisce facendolo un paradigma alternativo.
Eppure, ci tiene a precisare l’autrice, non si tratta di uno studio specifico sulla genealogia della nonviolenza –nonostante richiami le ricerche di Erica Chenoweth e Maria J.Stephan della Columbia University, che dimostrano come tra il 1900 e il 2006 siano state proprio le resistenze civili ad essere di gran lunga più “vittoriose” sul pianeta rispetto a quelle armate – ma sulla più ampia genealogia del sangue risparmiato, cioè delle micro o macro pratiche di riduzione della violenza. Genealogie in parte coincidenti. “La prima entra nella modernità con Gandhi. La seconda con quei soldati della Grande Guerra che si accordavano con il nemico per salvare la propria vita, e la sua, grazie all’autolimitazione della distruttività; e prosegue con i resistenti antinazisti senza armi, i soccorritori dei più vulnerabili, alcuni (criticati) leader politici, i mediatori improvvisati che si interpongono fra i contendenti”. Sono questi, molti, “i titolari del sangue risparmiato, e nella storia della nonviolenza, che ne è la prima intestataria, rientrano per questa via”, anzi, rientrano per questa via nella Storia tout-court. Non solo – e qui sta il punto – sono proprio i facitori di pace i protagonisti della storia che ci interpellano maggiormente, perché dimostrano che ciascuno di noi può esserlo. Eppure (o proprio per questo?), le loro storie sono, per lo più, ampiamente ignorate sia dalla storiografia – per esempio nelle storie della resistenze europee al nazismo o dei conflitti risolti senza l’uso delle armi – sia dai decisori politico-militari – per esempio la lotta nonviolenta del popolo kosovaro, prima dei bombardamenti della NATO o quella in corso in Tibet contro la colonizzazione cinese.
Riscoprire i loro esempi, anche grazie a questo lavoro di Anna Bravo, ha dunque un doppio valore.
Da un lato è un riconoscimento dell’invito implicito al “fai come me”, ad assumere ed allargare tutte le resistenze: “è l’invito che l’attivista civile può estendere enormemente al di là del partigiano in armi”. E’ la dimostrazione che la resistenza efficace può diventare “praticabile in molti più luoghi e forme, guadagna una fisionomia più ricca in termini di genere, età, religione, etnia, condizione socioeconomica ma anche di abilità operative e di risorse fisiche”.
Dall’altro decostruisce ancora una volta sul piano storico – mentre nel nostro Paese è più che mai in auge sotto forma di pervasiva ideologia politica, debitamente foraggiata – l’idea che la pace si generi dalla armi. A partire dallo Grande Guerra, che apre e connota il secolo breve, “la corsa agli armamenti funziona come un piano inclinato: l’aumento degli arsenali bellici in un paese provoca un aumento in altri, il che spinge il primo a rafforzarsi ulteriormente…Questo inseguimento non è un effetto perverso: è la conseguenza prevedibile del principio si vis pacem para bellum“ . Questo principio, ripetuto dall’attuale ministro della difesa fino all’ossessione – e, quel che è peggio, senza tema di essere dimissionato o quantomeno di apparire anacronistico – già ad un deputato britannico liberale ottocentesco come Wilfred Lawson sembrava ridicolo, come dire ad un ubriaco “se vuoi essere sobrio, vivi in un pub.
”Anna Bravo, a proposito della resistenza disarmata dei danesi durante l’occupazione nazista (e del salvataggio, quasi totale, degli ebrei danesi da parte dei connazionali), cita la filosofa Hannah Arendt che, neLa banalità del male, ha scritto che quella vicenda dovrebbe essere studiata nei corsi universitari di scienze politiche, per dare un’idea delle possibilità della resistenza nonviolenta “anche se l’avversario è violento e dispone di mezzi infinitamente superiori”. Ecco, penso che l’affermazione della Arendt valga oggi, a sua volta, per questo lavoro di Anna Bravo. Lo indicherei, inoltre, senz’altro tra gli studi preliminari che dovrebbero visionare i parlamentari italiani, che si sono dati sei mesi per decidere sull’acquisto dei cacciabombardieri F-35, i quali – oltre ad un serio ripasso dei “principi fondamentali” della Costituzione italiana – farebbero bene a leggere e meditare proprio La conta dei salvati e poi decidere se vogliono continuare a vivere come ubriachi in un pub o provare a rinsavire ed essere ricordati come facitori di pace, inseriti nelle storie del “sangue risparmiato”.
Pasquale Pugliese
lunedì 1 luglio 2013
Il voto sugli F35: per favore, le favole no
Chiedo scusa se torno per un momento sulla questione del voto alla Camera a proposito degli F35. Ma sulla Gazzetta di Reggio c'era un intervento in perfetto stile politichese della parlamentare reggiana del Pd Antonella Incerti. La quale, dopo aver firmato insieme ad alcuni altri del suo partito la mozione Sel-M5S contro l'acquisto degli F35, ha poi votato non la mozione da lei sottoscritta, bensì quella della maggioranza Pd-Pdl che rinvia la decisione tra sei mesi.
Antonella Incerti, come chiunque altro, ha il diritto di cambiare idea. Potrebbe però almeno evitare di arrampicarsi sugli specchi, raccontandoci (adesso) che la mozione Sel-M5S anche da lei firmata (prima) era "un semplice seppur condivisibile (bontà sua) slogan per lo stop agli F 35". Mentre la mozione Pd-Pdl sarebbe invece il felice esito di una "fertilissima discussione che ha saputo essere momento di crescita politica", nonchè rendere "parziale e superata" la mozione da lei stessa in precedenza firmata; nonchè rappresentare "confronto di idee, dialettica e mediazione virtuosa laddove vi sia un reale sforzo ad elevare la qualità della propria proposta"; nonchè trattare "del ruolo del nostro Paese rispetto a un concetto di difesa più ampio". Eccetera, eccetera, eccetera.
Nuvole di fumo. Non c'è bisogno di essere un fine politologo per capire che la vera e sostanziale ragione della mozione approvata dalla maggioranza Pd-Pdl è il disaccordo interno. Quindi, il rinvio di una questione sulla quale - tanto per cambiare - la maggioranza è divisa tra coloro che sono favorevoli all'acquisto degli F35 (ad esempio, il ministro della difesa Mauro, che li ritiene utili come strumento di pace; ad esempio il pd Boccia, che li crede elicotteri per la protezione civile) e coloro che sono contrari (come la stessa Antonella Incerti, almeno fino a qualche giorno fa). C'è da scommettere che, tra sei mesi, dopo l'immancabile "indagine conoscitiva", le divergenze rimarranno tali e quali. Ma intanto - come diceva la buonanima di Andreotti - meglio tirare a campare che tirare le cuoia. Antonella Incerti, che sta in Parlamento, ovviamente lo sa meglio di noi. Ma perché pretende che noi crediamo invece alle favole?
Stefano Morselli
Antonella Incerti, come chiunque altro, ha il diritto di cambiare idea. Potrebbe però almeno evitare di arrampicarsi sugli specchi, raccontandoci (adesso) che la mozione Sel-M5S anche da lei firmata (prima) era "un semplice seppur condivisibile (bontà sua) slogan per lo stop agli F 35". Mentre la mozione Pd-Pdl sarebbe invece il felice esito di una "fertilissima discussione che ha saputo essere momento di crescita politica", nonchè rendere "parziale e superata" la mozione da lei stessa in precedenza firmata; nonchè rappresentare "confronto di idee, dialettica e mediazione virtuosa laddove vi sia un reale sforzo ad elevare la qualità della propria proposta"; nonchè trattare "del ruolo del nostro Paese rispetto a un concetto di difesa più ampio". Eccetera, eccetera, eccetera.
Nuvole di fumo. Non c'è bisogno di essere un fine politologo per capire che la vera e sostanziale ragione della mozione approvata dalla maggioranza Pd-Pdl è il disaccordo interno. Quindi, il rinvio di una questione sulla quale - tanto per cambiare - la maggioranza è divisa tra coloro che sono favorevoli all'acquisto degli F35 (ad esempio, il ministro della difesa Mauro, che li ritiene utili come strumento di pace; ad esempio il pd Boccia, che li crede elicotteri per la protezione civile) e coloro che sono contrari (come la stessa Antonella Incerti, almeno fino a qualche giorno fa). C'è da scommettere che, tra sei mesi, dopo l'immancabile "indagine conoscitiva", le divergenze rimarranno tali e quali. Ma intanto - come diceva la buonanima di Andreotti - meglio tirare a campare che tirare le cuoia. Antonella Incerti, che sta in Parlamento, ovviamente lo sa meglio di noi. Ma perché pretende che noi crediamo invece alle favole?
Stefano Morselli
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