Mi è stato chiesto di scrivere
qualcosa sul conflitto tra israeliani e palestinesi, qualcosa di
attuale, un punto di vista sui fatti non filtrato dall'ANSA o dalle
altre agenzie di stampa di sistema.
La trovo un'ottima idea. Io ho vissuto
un anno in Palestina e Israele nel 2006/2007 come volontaria, e posso
offrire il mio umile contributo.
Inizio dicendovi da che parte sto.

Ho conosciuto ebrei israeliani o
israeliani non credenti stupendi, dei veri eroi. Ho conosciuto
israeliani svuotati completamente della capacità di leggere la
realtà, vittime della propaganda di guerra, e dunque svuotati di
umanità. La stessa cosa vale per i palestinesi.
La stessa cosa vale per noi italiani.
Ero volontaria del corpo nonviolento di
pace Operazione Colomba. I progetti erano a sostegno della resistenza
nonviolenta del villaggio palestinese di At-Tuwani e di Aboud.
Il paese di At-Tuwani è stato
“adottato” e quindi curato, seguito come un figlio da diverse
associazioni pacifiste israeliane come Ta'ayush, Rabbis for Human
Rights, Yesh Din sin dal 2001. Sono state loro nel 2004 a chiedere a
noi italiani di andare a vivere ad At-Tuwani.
Quel paese e tutti i dintorni erano
minacciati da espropriazioni di terreni ed evacuazioni forzate di
interi villaggi da pare dei coloni estremisti ebrei e dell'esercito
israeliano.
Il paese di Aboud, metà cristiano e
metà musulmano, era minacciato dalla costruzione del muro pur
essendo molti km interno alla linea verde. Il Patriarca Latino di
Gerusalemme Michel Sabbah nel 2003 ci chiese di vivere là per
denunciare le vessazioni dell'esercito israeliano, e per stimolare e
sostenere la nascita di un comitato nonviolento contro la costruzione
del muro che avrebbe rubato metà dei terreni coltivati a ulivo e
soprattutto la cisterna dell'acqua. Siamo rimasti fino al 2006.
Ho imparato che la nonviolenza
funziona. Non è la scelta dei “conigli” ma richiede molto più
coraggio della violenza, e soprattutto è l'unica vera soluzione.
Perchè la violenza non porta ad un equilibrio stabile, ma crea altre
vittime e quindi altri potenziali nemici. La vittoria della
nonviolenza non è quella di annullare i nemici, ma di trasformare i
nemici in amici.
Al giovane israeliano è stato
detto: “Io so che tu sei stato qui, che hai svolto il servizio
militare in questa zona, come puoi vedere senza divisa la gente ti
guarda con occhi diversi.
Ora non sei un soldato, ma un nostro
ospite, e sarai sempre benvenuto,
sarete sempre benvenuti, questo è
anche il vostro villaggio”. Questo è anche il nostro villaggio.
Laura Vezzosi