Ho partecipato al funerale di Prospero Gallinari e ho raccontata su l’Unità i fatti che sono accaduti, senza commentarli. Ora provo a dire le mie opinioni. La prima è che non mi sorprende, ma non condivido affatto il filo conduttore politico-ideologico che ha caratterizzato gli interventi commemorativi e l’intera cerimonia. Molti ex protagonisti della lotta armata - e anche altri di una certa “zona grigia” che non vi aderiva, ma neanche si opponeva con nettezza – riconoscono che il loro progetto è stato sconfitto e che “non è ripetibile”. Auto-giustificano però la loro scelta di allora con il “contesto storico". E auto-riducono la loro responsabilità per i morti seminati lungo le strade evocando i “crimini del capitalismo e dello Stato che causano molte più vittime”.
Non riescono ad ammettere, invece, che il loro progetto era sbagliato in radice, dannoso – uso le parole di Adelmo Cervi, che ho riferito nella mia cronaca – per la sinistra e per l’Italia. Non dicono ciò che è del tutto evidente, tranne che per chi vuole coprirsi gli occhi: Brigate Rosse e dintorni sono state sconfitte non solo sul piano militare, dalla polizia, dai carabinieri, ma anche e soprattutto sul piano politico, in primo luogo dalla opposizione di quei lavoratori che i gruppi armati pretendevano di rappresentare, autonominandosene abusivamente avanguardia. E’ questa, per loro, la sconfitta più bruciante, la cui assimilazione potrebbe forse portare, se non a un “pentimento”, a una più completa e radicale rielaborazione autocritica di un percorso politico collettivo. Il quale è stato anche un insieme di percorsi di vita individuali, spesso pagati con la morte, o con lunghi periodi di carcere. Cosa che rende più difficile riconoscere di essersi spesi per un progetto non solo “sconfitto”, ma appunto sbagliato in radice.
Sarebbe poi molto opportuno – sul piano storico, ma anche pensando ai giorni nostri, ad esempio ai giovani che erano presenti al funerale di Gallinari – ricordare sempre che l’esperienza della lotta armata non è affatto l’esperienza di una intera generazione. Chi a quella generazione appartiene, sa perfettamente che la grande maggioranza dei giovani di allora ha rifiutato e contrastato, senza se e senza ma, l’ideologia e la pratica delle Brigate Rosse. Se vogliamo parlare di Reggio Emilia, città nella quale è nato un nucleo storico delle Br, dobbiamo anche raccontare delle tante e grandi manifestazioni che portavano le bandiere rosse e scandivano slogan inequivocabili, molto duri contro i gruppi armati. I quali anche per questo sono stati "sconfitti". Non bisogna stancarsi di dirlo e di ripeterlo.
Stefano Morselli
http://www.unita.it/italia/gallinari-storia-di-un-funerale-br-tra-pugni-chiusi-e-cattivi-maestri-1.479621