giovedì 31 gennaio 2013

Sel e Pd unica speranza di una politica progressista

Luciano Gallino «Dopo le prime assemblee il progetto arancione ha preso una direzione che non condivido Movimenti importanti ma partiti fondamentali» «Un cortese distacco». Così il professor Luciano Gallino definisce il suo addio a tutta l`operazione che oggi va sotto il nome di Rivoluzione civile o lista Ingroia. In realtà, al di là dei modi compassati e gentili che gli sono propri, la sua è una bocciatura politica senza appello. Tanto più rilevante perché viene da uno dei padri fondatori di Cambiare Si Può, anzi dal primo firmatario dell`appello, oltre che da uno degli studiosi italiani più quotati a livello internazionale di capitalismo e relazioni sociali, con un curriculum che parte dal centro studi di Adriano Olivetti, passa per l`università di Stanford e approda all`Accademia dei Lincei.

Professore lei ha detto a MicroMega che voterà SEL. Come ha maturato questa svolta rispetto a precedenti collocazioni? «È successo che ci sono state alcune belle assemblee, molto stimolanti, alle quali ho partecipato. Ma che poi, quando il progetto nato lì come Cambiare Si Può si è calato nella discussione sulle liste e sulle alleanze, la prospettiva si è complicata e ha preso una direzione che personalmente non mi sento di condividere. C`è stata anche una votazione in cui io e altri tra i primi firmata- ri dell`appello non abbiamo condiviso la scelta, approvata a maggioranza, di accettare di proseguire il cammino indicato da Ingroia. A quel punto avevo delle scelte limitate: non votare, chiedere asilo politico in Tasmania oppure appoggiare una forza che, pur minoritaria, tutto sommato è una voce che dice qualcosa d`interessante sulla finanza e il lavoro, cioè sui temi ai quali ho dedicato gli ultimi 15 anni di studio».
Parla di "Sinistra Ecologia Libertà"? «Sì».
È tra i delusi dell`eccessiva presenza di partiti nella lista Ingroia? «No, guardi, pur sottolineando l`importanza dei movimenti, ritengo che la forma partito sia fondamentale, proprio per portare le istanze dei movimenti in Parlamento. Solo non è esattamente moderno ciò che vedo in quella lista, nelle persone che ci sono. Ingroia e i suoi non mi pare abbiano cose interessanti da dire sui temi di cui mi occupo come la riforma delle banche a livello europeo. Non è un rimprovero e non faccio questioni di persone, si occupano di altro, è un fatto di ruolo e di attenzione del tutto legittimo. Ma non mi interessa».
Mi risulta che abbia anche sottoscritto un appello a sostegno di Giulio Marcon, ex portavoce di Sbilanciamoci, insieme ai suoi colleghi Saskia Sassen, Richard Sennett e a intellettuali italiani come Fofi, Castellina e altri. «Sì, voterei volentieri per Marcon, purtroppo non solo non ci sono le preferenze ma si presenta in Veneto e io voto a Torino. L`ho incontrato a qualche convegno ma soprattutto il sito di Sbilanciamoci è uno dei pochi, uno o due in Italia, che si leggono con profitto».
Dunque sceglie il centrosinistra. Cosa dovrebbe fare secondo lei per farci uscire dalla crisi? «Siamo di fronte ad un bivio e qualcuno ha già deciso quale strada prendere, una strada che ritengo sbagliata. Se Sel e il Pd riusciranno a ottenere l`autono- mia in Parlamento è probabile una politica un po` più progressista. Se invece si dovrà ricorrere ad una alleanza con Monti temo che il tasso di apertura del Pd si possa restringere e che abbia la meglio l`ala più conservatrice, più sensibile alle politiche di austerità europee, anche se con un minimo di attenzione in più di Monti rispetto alle problematiche del lavoro».
II suo è dunque un ragionamento sul voto utile? «L`idea del voto utile non mi è mai piaciuta. Inoltre credo che se Sel riesce comunque a portare in Parlamento una parte dei suoi candidati mi auguro che questi potranno fare dichiarazioni, prese di posizione contro il taglio del welfare e le politiche di austerità, contro il patto fiscale che il Pd sostenendo il governo Monti ha approvato con una modifica costituzionale disastrosa. Il pareggio di bilancio nella Costituzione porterà ad una inaudita cessione di sovranità, significa che la nostra politica fiscale sarà fatta a Bruxelles. Un suicidio perché le ricette adottate fin dal 2010 spingeranno i Paesi con strutture meno solide come l`Italia verso un decennio di recessione».
Lei non crede nella ripresa economica a partire dalla seconda metà del 2013? «Sono anni che si fanno previsioni di riprese e ripresine che poi sono ben poca cosa. E anche nel caso questa ripresina ci fosse, se non fondiamo lo sviluppo su altre basi, su una crescita meno forsennata e disastrosa in termini ecologici, finalizzata a beni utili, ad esempio su un`industria meno vorace in termini energetici, non avremo fatto nulla».
Per I`llva, come per Mps, pensa a un salvataggio statale? «Mps fa tanto scalpore ma è uno dei casi della finanza-casinò, per usare un termine di Keynes. Certo, hanno trovato in un giorno 3,9 miliardi per Mps e non i 4 miliardi che servono per avviare la bonifica e la riconversione di Taranto, che interessa centinaia di migliaia di persone, lavoratori e famiglie».

Intervista a Luciano Gallino, Rachele Gonnelli - L'Unità

lunedì 28 gennaio 2013

Tempo scaduto

Elezioni in Israele

Carissimi... non è farina del mio sacco.
Ho chiesto ad un carissimo amico che ha vissuto molti anni nei Territori Occupati di aggiornarci con il suo sguardo su Palestina e Israele. Lui conosce entrambe le lingue e segue la stampa locale. Ecco il suo primo pezzo. Vi saluto. Laura Vezzosi
ELEZIONI IN ISRAELE
Il partito Yesh Atid (lett. c’è un futuro), divenendo il secondo partito dopo il Likud, è la sorpresa di queste nuove elezioni in Israele. Terzo, è il vecchio partito laburista. Gli osservatori politici pensano che il partito di Mr. Lapid (leader di Yesh Atid) dovrà appoggiare l’attuale leader Netanyahu, ma con un interesse dichiarato per le questioni di politica interna, come la riforma degli alloggi e la riforma dell'istruzione. Anche in Israele è forte la protesta per ottenere riforme sociali come in tanti altri paesi del mondo, protesta che ha trovato nel gruppo Yesh Atid la sua manifestazione. Prima delle elezioni, si pensava che i temi dominanti del nucleare iraniano e della pace con i palestinesi dovessero condizionare le elezioni ma non sembra essere stato così. Il Likud ha perso molto ma non abbastanza, il blocco dei partiti che spingono per lo status quo è ancora molto forte e sembra impossibile che la nuova forza liberale centrista possa ottenere qualcosa sul versante della pace, forse potrà ottenere qualche riforma sociale. Per ricominciare il dialogo di pace, sarebbe necessario un forte cambiamento di pensiero ma anche di uomini, i vecchi mestieranti come Netanyahu, Barak, Peresh e altri hanno già fornito prova di non volere la pace. La risposta del primo ministro israeliano dopo il conferimento ai palestinesi di nazione membro osservatore alle Nazioni Unite non è stata verbale ma tremendamente chiara nei contenuti: si continuerà a costruire insediamenti nelle zone palestinesi, soprattutto a Gerusalemme est. In questo modo il processo di pace (ma quando mai è iniziato veramente?) è inesorabilmente compro-messo.
Ma lo scenario mediorientale, con la primavera araba, è cambiato molto, Israele ha perso I suoi tradizionali alleati: la Turchia e l’Egitto, dove il primo ministro egiziano Morsi ha promesso di rispettare il trattato di pace con Israele ma si adopererà sicuramente nel sostegno ai palestinesi in qualsiasi situazione. Dall’interno, molti conte-stano a Netanyahu di fare una politica d’isolamen-to, soprattutto con la nuova costruzione della cinta di difesa lungo la linea Gaza-Eilat e nel Golan. L’attuale amministrazione USA non è mai stata così lontana dalla politica dei governi israeliani come ora, giacché sta cambiando lo scenario geo-politico dell’area. Israele si sta chiudendo da solo in un ghetto; si impone ora la domanda: può, uno stato isolato e circondato da “nemici”, avere un futuro? Potrà Israele continuare a finanziare un costosissimo stato di polizia con una grave crisi interna che sembra tutt’altro che finita? La politica d’Israele, dal dopo-Rabin a oggi, sembra portare il paese in un vicolo cieco, da cui Israele dovrà uscire da “solo”.

Baruch ha sofèr


giovedì 24 gennaio 2013

Mafie. Si dovrebbe creare una white list degli istituti di credito

Mafie. Si dovrebbe creare una white list degli istituti di credito
Con grande piacere ho partecipato alla presentazione della campagna Io riattivo il lavoropromossa da Cgil, Arci, Libera, Acli, Avviso Pubblico, SoS Impresa, Legacoop per raccogliere le firme a sostegno di una proposta di legge di iniziativa popolare per l’emersione alla legalità delle aziende sequestrate e confiscate e per la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori. E’ una campagna che mi sento di sostenere e promuovere. Considero i dieci articoli della legge indispensabili alla lotta alle mafie poiché il suo portato è sia etico che pratico. Le aziende confiscate alla mafie devono essere non soltanto salvate dal fallimento, non soltanto aiutate ad una rinascita legale, non soltanto si deve tutelarne i lavoratori ma servire anche d’esempio. La criminalità organizzata che troppo spesso funge da artefice di posti di lavoro e da ammortizzatore sociale, che in tempi di crisi è purtroppo ancora più apprezzato, deve invece essere presa per quello che è cioè causa, assieme ad altre economie criminali, della crisi in atto. In particolare l’art. 6 della legge, che prevede l’istituzione di un fondo per fornire garanzie alle banche al fine di non interrompere le linee di credito, penso sia fondamentale; sarebbe auspicabile che si creasse anche una white list degli istituti di credito considerato che purtroppo molti si sono resi complici della Mafia spa elargendo prestiti non garantiti e prestandosi di fatto al riciclaggio.

Elena Tagliani
candidata al Senato

coordinatrice Forum Antimafia "Sinistra Ecologia e Libertà"

martedì 22 gennaio 2013

Ma la "generazione della lotta armata" in grande maggioranza era CONTRO la lotta armata

Ho partecipato al funerale di Prospero Gallinari e ho raccontata su l’Unità i fatti che sono accaduti, senza commentarli. Ora provo a dire le mie opinioni. La prima è che non mi sorprende, ma non condivido affatto il filo conduttore politico-ideologico che ha caratterizzato gli interventi commemorativi e l’intera cerimonia. Molti ex protagonisti della lotta armata - e anche altri di una certa “zona grigia” che non vi aderiva, ma neanche si opponeva con nettezza – riconoscono che il loro progetto è stato sconfitto e che “non è ripetibile”. Auto-giustificano però la loro scelta di allora con il “contesto storico". E auto-riducono la loro responsabilità per i morti seminati lungo le strade evocando i “crimini del capitalismo e dello Stato che causano molte più vittime”.
Non riescono ad ammettere, invece, che il loro progetto era sbagliato in radice, dannoso – uso le parole di Adelmo Cervi, che ho riferito nella mia cronaca – per la sinistra e per l’Italia. Non dicono ciò che è del tutto evidente, tranne che per chi vuole coprirsi gli occhi: Brigate Rosse e dintorni sono state sconfitte non solo sul piano militare, dalla polizia, dai carabinieri, ma anche e soprattutto sul piano politico, in primo luogo dalla opposizione di quei lavoratori che i gruppi armati pretendevano di rappresentare, autonominandosene abusivamente avanguardia. E’ questa, per loro, la sconfitta più bruciante, la cui assimilazione potrebbe forse portare, se non a un “pentimento”, a una più completa e radicale rielaborazione autocritica di un percorso politico collettivo. Il quale è stato anche un insieme di percorsi di vita individuali, spesso pagati con la morte, o con lunghi periodi di carcere. Cosa che rende più difficile riconoscere di essersi spesi per un progetto non solo “sconfitto”, ma appunto sbagliato in radice.
Sarebbe poi molto opportuno – sul piano storico, ma anche pensando ai giorni nostri, ad esempio ai giovani che erano presenti al funerale di Gallinari – ricordare sempre che l’esperienza della lotta armata non è affatto l’esperienza di una intera generazione. Chi a quella generazione appartiene, sa perfettamente che la grande maggioranza dei giovani di allora ha rifiutato e contrastato, senza se e senza ma, l’ideologia e la pratica delle Brigate Rosse. Se vogliamo parlare di Reggio Emilia, città nella quale è nato un nucleo storico delle Br, dobbiamo anche raccontare delle tante e grandi manifestazioni che portavano le bandiere rosse e scandivano slogan inequivocabili, molto duri contro i gruppi armati. I quali anche per questo sono stati "sconfitti". Non bisogna stancarsi di dirlo e di ripeterlo.


Stefano Morselli

http://www.unita.it/italia/gallinari-storia-di-un-funerale-br-tra-pugni-chiusi-e-cattivi-maestri-1.479621

domenica 20 gennaio 2013

Gentile Pierluigi Bersani, Segretario nazionale del Partito Democratico


sono rimasto stupito del suo sostegno esplicito al governo Monti anche nella scelta di agevolare l’avventura bellica francese in Mali.
Il governo italiano in carica – che ha operato in questi mesi drastici tagli alle protezioni sociali confermando, invece, le folli spese militari, mettendole al sicuro per i prossimi anni – chiude la sua esperienza politica, in modo coerente con questa impostazione bellicista, concedendo addestratori e “supporto logistico al trasferimento militare” per l’intervento armato della Francia in Mali. Si tratta di un governo che con questa scelta ripudia, ancora una volta, la Costituzione repubblicana. La cui politica estera è dunque, a sua volta, da ripudiare, piuttosto che avallare.
Con essa, è necessario ripudiare una politica internazionale che ha visto anche il nostro Paese ingaggiato, dal 2001 ad oggi, in interventi armati, in giro per il mondo, con il pretesto della lotta al terrorismo: dall’Iraq all’Afghanistan alla Libia. Gli unici risultati ottenuti con lo strumento militare sono stati il proliferare e l’estendersi del terrorismo internazionale, la crescita incontrollata della spesa pubblica per gli armamenti – che oggi superano, globalmente condiderate, di gran lunga il picco della “corsa agli armamenti” della guerra fredda – gli incrementi vertiginosi dei profitti delle multinazionali delle armi, che non conoscono crisi economica, e le innumerevoli vittime civili, delle quali nessuno tiene neanche più i conteggi. Come denuncia da tempo inascoltato il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon, oggi si spende per le armi in un solo giorno il doppio del bilancio dell’ONU di un intero anno.
E’ necessario dunque ripudiare questo meccanismo perverso attraverso il quale le potenze militari, da un lato, impediscono alle Nazioni Unite di poter operare efficacemente e preventivamente e, dall’altro, si sostituiscono ad esse militarmente, svuotando i loro arsenali dall’alto dei cieli (per riempirli subito dopo riammodernati) e posizionandosi negli scacchieri strategici a vantaggio delle proprie risorse energetiche.
Questo è esattamente il caso del Mali, dove da decenni la democrazia e i diritti umani sono calpestati da regimi corrotti, largamente sostenuti dal governo francese, il quali oggi – nel nome degli stessi diritti umani – interviene a supporto militare del governo locale (nato da un colpo di stato), si sostituisce alle Nazioni Unite che chiedevano la protezione delle popolazioni civili a cura di truppe africane, e corre, di fatto, a proteggere militarmente le riserve di uranio necessarie alle proprie le centrali nucleari, aumentando così la gravità della crisi umanitaria in corso. Ciò il nostro Paese non può avallarlo.
Tuttavia ha ragione, Segretario, a dire che la Francia non può essere lasciata da sola, infatti essa va aiutata a ricondursi a ragione, perché come scriveva Papa Giovanni – ben presente nel suo Pantheon personale – nell’enciclica “Pacem in terris”, “alienum est a ratione bellum”, la guerra è una follia!
Infatti, la guerra, la sua preparazione e le sue conseguenze, non è la soluzione, ma la causa prima della violazione dei diritti umani nel mondo. Per attrezzarsi a proteggere davvero i dititti di uomini, donne e bambini è necessario ridare autorevolezza e capacità di intervento diretto alle Nazioni Unite, attraverso la costituzione di una vera forza di polizia internazionale e, insieme, di un corpo civile di interposizione non armato, messi in grado operare efficacemente, sia in fase di prevenzione dei conflitti, che di mediazione tra le parti, che di riconciliazione successiva agli eventi bellici.
Un politico di razza come Mohandas K. Gandhi diceva che in politica il compromesso è necessario (con gli alleati e anche con gli avversari) sugli aspetti secondari, ma non è mai possibile sui principi fondamentali. Si dà il caso che l’art. 11, che ripudia la guerra non solo come “strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, ma anche come “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, sia proprio un “principio fondamentale” della nostra Costituzione. Ossia un valore non negoziabile.
Dunque, non è possibile costruire un’Italia e un mondo più giusti, e più sicuri, senza ripudiare davvero la guerra, piuttosto che la sua Costituzione. Agendo politicamente di conseguenza.
Cordiali saluti.
Pasquale Pugliese
Segretario nazionale del Movimento Nonviolento
(candidato indipendente nella lista di SEL Emilia Romagna)

sabato 19 gennaio 2013

un anno in Palestina e Israele

Mi è stato chiesto di scrivere qualcosa sul conflitto tra israeliani e palestinesi, qualcosa di attuale, un punto di vista sui fatti non filtrato dall'ANSA o dalle altre agenzie di stampa di sistema.
La trovo un'ottima idea. Io ho vissuto un anno in Palestina e Israele nel 2006/2007 come volontaria, e posso offrire il mio umile contributo.

Inizio dicendovi da che parte sto.

Non sto dalla parte dei palestinesi. Non sto dalla parte degli israeliani. Sto dalla parte dei nonviolenti che siano palestinesi o israeliani. Sto dalla parte delle vittime, ed in particolare delle vittime che decidono di non vendicare il dolore con altra violenza. Quindi neutrale rispetto alle parti, ma non neutrale rispetto alle violenze.
Ho conosciuto ebrei israeliani o israeliani non credenti stupendi, dei veri eroi. Ho conosciuto israeliani svuotati completamente della capacità di leggere la realtà, vittime della propaganda di guerra, e dunque svuotati di umanità. La stessa cosa vale per i palestinesi.
La stessa cosa vale per noi italiani.

Ero volontaria del corpo nonviolento di pace Operazione Colomba. I progetti erano a sostegno della resistenza nonviolenta del villaggio palestinese di At-Tuwani e di Aboud.
Il paese di At-Tuwani è stato “adottato” e quindi curato, seguito come un figlio da diverse associazioni pacifiste israeliane come Ta'ayush, Rabbis for Human Rights, Yesh Din sin dal 2001. Sono state loro nel 2004 a chiedere a noi italiani di andare a vivere ad At-Tuwani.
Quel paese e tutti i dintorni erano minacciati da espropriazioni di terreni ed evacuazioni forzate di interi villaggi da pare dei coloni estremisti ebrei e dell'esercito israeliano.
Il paese di Aboud, metà cristiano e metà musulmano, era minacciato dalla costruzione del muro pur essendo molti km interno alla linea verde. Il Patriarca Latino di Gerusalemme Michel Sabbah nel 2003 ci chiese di vivere là per denunciare le vessazioni dell'esercito israeliano, e per stimolare e sostenere la nascita di un comitato nonviolento contro la costruzione del muro che avrebbe rubato metà dei terreni coltivati a ulivo e soprattutto la cisterna dell'acqua. Siamo rimasti fino al 2006.

Ho imparato che la nonviolenza funziona. Non è la scelta dei “conigli” ma richiede molto più coraggio della violenza, e soprattutto è l'unica vera soluzione. Perchè la violenza non porta ad un equilibrio stabile, ma crea altre vittime e quindi altri potenziali nemici. La vittoria della nonviolenza non è quella di annullare i nemici, ma di trasformare i nemici in amici.

Al giovane israeliano è stato detto: “Io so che tu sei stato qui, che hai svolto il servizio militare in questa zona, come puoi vedere senza divisa la gente ti guarda con occhi diversi. 
Ora non sei un soldato, ma un nostro ospite, e sarai sempre benvenuto, 
sarete sempre benvenuti, questo è anche il vostro villaggio”. Questo è anche il nostro villaggio. 


Laura Vezzosi 

martedì 15 gennaio 2013

I ricatti del centro … e l’autolesionismo della sinistra

Casini e Fini vanno dicendo da alcuni giorni quella che sembrerebbe un’ovvietà: per vincere Bersani deve prevalere sia alla Camera che al Senato. Ma questa ovvia regola della democrazia varrebbe solo per la coalizione di centrosinistra. Difatti loro pensano di vincere anche se vengono battuti alla Camera e arrivano terzi o quarti al Senato.
In questo caso vorrebbero di nuovo Monti come premier, che così passerebbe alla storia come l’unico divenuto capo del governo dapprima per nomina regia, e poi per essere arrivato buon ultimo alle urne.
L’ideale della democrazia per Casini e soci, è prendere tutti i voti che si può raccontando qualsiasi cosa all’elettorato, per decidere dopo chi governerà e che cosa farà, liberi dall’impaccio di un preciso mandato democratico. L’avversario da battere non è dunque il centrosinistra in se, ma la sua natura democratica e partecipata, quello della carta d’intenti e dei 3 milioni di partecipanti alle primarie.
E’ stata questa spinta popolare che ha spostato il centrosinistra a sinistra, vicino ai disagi ed al dramma sociale di chi la crisi la sta pagando tutta in prima persona. Monti vuole tagliare le ali e ridurre al silenzio Fassina e Vendola, per impedire al centrosinistra di volare, per togliere la parola al suo popolo.
Sara bene esserne consapevoli: il giorno dopo le elezioni quello che sarà decisivo è se il centrosinistra avrà vinto anche al Senato, ed anche se “Sinistra Ecologia Libertà” avrà avuto un buon risultato. Tutto il resto (quanti grillini andranno in parlamento, quanti voti Ingroia sarà riuscito ad attrarre, quanti si asterranno) andrà in secondo piano. In queste elezioni si decide se il paese può avere un’alternativa al liberismo, o se dobbiamo rimanere sotto tutela, impossibilitati a scegliere che direzione prendere.
Certo, chi è arrabbiato per tutto quello che il PD ha votato in quest’ultimo anno è ampiamente giustificato se accarezza l’idea dell’astensione, o del voto di protesta. Ma si tratta di pensare che, dopo, con un centrosinistra sotto ricatto di Casini e Fini le cose andranno peggio. Per la condizione di ognuno di noi certamente, ma purtroppo anche per chi verrà dopo di noi, per i nostri figli o nipoti.
Perché il liberismo farà un deserto dei diritti e della dignità delle persone. Conterà solo quanti soldi hai e di che classe sociale sei. Il liberismo ha creato questa crisi inneggiando alla diseguaglianza come motore del progresso. Non è capace di tornare indietro da questa strada. La percorrerà fino in fondo, fino alla estreme conseguenze per la nostra civiltà.
Contro la possibilità di un governo di centrosinistra autonomo, si stanno mobilitando le retrovie dei poteri forti. Oggi fa più paura una sinistra che vuole governare che una rassegnata all’opposizione.
Anzi il liberismo ha bisogno di una opposizione incapace di incidere, per darsi così una parvenza di democraticità.
Oggi possiamo vincere e cambiare le sorti del paese. Non facciamoci sfuggire questa occasione, rischiamo di rimpiangerla in futuro.

Michele Bonforte

domenica 13 gennaio 2013

intervista a Cinzia Terzi

Cinzia Terzi intervistata da UNDERSTAIRSvideos

L'importanza del voto a Sinistra Ecologia Libertà

A poco più di un mese dal voto del 24 e 25 febbraio, più che in campagna elettorale sembra di essere al Circo Barnum. Berlusconi ripete grotteschi numeri da avanspettacolo, vecchi di vent’anni ma ancora apprezzati da un certo pubblico. Grillo ne mette in scena dei nuovi, spesso altrettanto farlocchi, ma pure essi in grado di trovare audience tra le macerie di un sistema politico in crisi profondissima. Parecchie decine di sigle, gruppi, movimenti  nascono, si scompongono, si ricompongono, turbinano vorticosamente attorno alla definizione delle liste e dei simboli che troveremo nelle schede. Un gran numero di  politici e aspiranti tali sgomita per trovare un posto nelle prime fila, possibilmente in posizione di eleggibilità. Tutti, a partire da quelli più improbabili, dicono naturalmente che lo fanno per servire il popolo, quasi fossero missionari in partenza per sperdute lande africane.
Eppure - almeno per chi sente di condividere idee e sentimenti che, con buona pace dell’eterna anomalia italiana, nel resto d’Europa si chiamano “di sinistra” - tocca armarsi di santa pazienza, evitare la tentazione di mettere tutte le erbe in un fascio da bruciare, cercare di capire che cosa succede sotto il fitto polverone che ammorba la scena politica. Succede che, secondo i sondaggi, la coalizione di centrosinistra, costituita da Pd, Sel e da una formazione capeggiata dal buon Tabacci, potrebbe – ma è prudente mantenere il condizionale - ottenere la maggioranza relativa dei voti e , quindi, la maggioranza assoluta dei deputati alla Camera, mentre per il Senato regna l’incertezza, dato che il meccanismo elettorale è diverso. Ora, ciascuno di noi è senz’altro in grado di formulare, anche nei confronti della coalizione di centrosinistra, una cospicua sfilza di perplessità e di dubbi.  Però, nella gerarchia delle domande, la più urgente è: si vuole giocare questa partita, provare a incidere sul futuro prossimo che si prepara per l’Italia, oppure si preferisce lasciar perdere, magari testimoniare una (presunta) purezza ideologica, o più prosaicamente coltivare un proprio orticello parlamentare all’opposizione, lasciando ad altri la rognosa incombenza di governare?
Se si sceglie la prima opzione, di tutto si può discutere ma si partecipa alle elezioni per vincerle e per governare. Chi sceglie la seconda opzione, dà invece già per scontato che l’Italia debba continuare ad essere governata dalla cosiddetta Agenda Monti (poco importa se con o senza Mario Monti in persona alla guida del governo). Infatti, se chi sta a sinistra del Pd si chiama fuori, spalanca la strada alle componenti montiane interne ed esterne al Pd, quindi a un governo di profilo sostanzialmente centrista. Personalmente ritengo corretta la prima opzione, che è quella di Sel, e pesantemente sbagliata la seconda, scelta dalla Lista Ingroia. Il cui principale, se non unico, obiettivo è l’erosione di consensi all’ala sinistra della coalizione di centrosinistra, cioè a Sel.  La Lista Ingroia, per altro, è divisa al proprio interno tra chi non esclude un dialogo con il centrosinistra e chi al contrario persegue la contrapposizione frontale. E’ comunque evidente che - raggiunga o meno il quorum per ottenere una propria rappresentanza parlamentare - renderà ancora più difficile il conseguimento di una maggioranza autosufficiente al Senato da parte del centrosinistra.  
Se questo ragionamento ha un senso logico e politico, è importante che il voto degli elettori di sinistra si indirizzi verso Sel, per puntare anche in Senato a una maggioranza autosufficiente, in grado di governare autonomamente. La forza  che gli elettori daranno a Sel sarà determinare, sia negli equilibri interni alla coalizione di centrosinistra, sia nel Parlamento. Se il peso di Sel risulterà scarso, ci terremo sostanzialmente l’Agenda Monti. Se risulterà consistente, le prospettive saranno diverse. Questo, almeno, a me pare chiaro. 

Stefano Morselli

sabato 12 gennaio 2013

L'essenziale è (finalmente) visibile agli occhi


L’essenziale è (finalmente) visibile agli occhi, purché non si tengano chiusi.
Ormai tutte le statistiche e gli indicatori internazionali di benessere e di civiltà vedono il nostro Paese colare a picco. Anche l”ultimo  rapporto dell’Unione Europea sulla occupazione e lo sviluppo sociale ci vede dentro l’”enorme trappola della povertà” . L’unica classifica nella quale continuiamo a svettare ai primi posti nel mondo è la folle corsa agli armamenti. Si tratti di cacciabombardieri nucleari, di sottomarini di ultima generazione, di portaerei o di qualunque altro mostro di guerra, non ci facciamo mancare niente. La Costituzione è ribaltata: la sovranità è nella guerra e nella sua preparazione, il ripudio è per tutti i diritti sociali e civili. 
Due trappole invece di una: ci impoveriamo per armarci. 
L’essenziale è (finalmente) visibile agli occhi di tutti. Purché non si tengano chiusi. Ne durante ne dopo la campagna elettorale. Il resto è vuota retorica

Pasquale Pugliese

martedì 8 gennaio 2013

Femminicidio

Nel 2012 i dati ci danno un numero impressionante di vittime nel nostro paese, 118 le donne uccise in quanto donne,  da uomini che spesso hanno condiviso con loro un tratto di vita. Il nostro paese vanta il drammatico record di femminici in Europa con un altissimo numero di violenze consumate tra le mura domestiche. E mentre si discute sulla necessità di una legge che regolamenti le pene per delitti ed abusi contro le donne, messaggi shok arrivano da ambienti vicino alla chiesa. Crediamo che il problema del femminicidio sia solo il la punta di un icesberg. E’ la fine brutale di un pezzo di vita famigliare, di ogni strato sociale, maggiormente riscontrato in quelli più abbienti, fatta di litigi e violenza, di soprusi fisici e psicologici. Le donne, se hanno una colpa, è quella di amare troppo, di tutelare a loro discapito, il compagno di vita fino ad auto convincersi di essere colpevoli di ciò che subiscono, quasi se lo meritassero. Questo in virtù di delicati e complicati meccanismi di rapporti di coppia. Per ciò che riguarda gli uomini, fautori di tali violenze, crediamo debbano ribellarsi, sono stati trattati, al pari delle donne, come esseri dotati solo di istinti, che se vengono provocati reagiscono quasi come reagisce il mondo animale. Trattati come esseri non pensanti che rivendicano il possesso del territorio-corpo e mente della donna. Potremmo cercare di ribattere dicendo che è un problema del parroco, forse c’è bisogno che non sposino solo la chiesa ma anche una donna . Riteniamo che il problema sia ben più complesso e chiami in campo molti attori che debbono ragionare sulla violenza e trovare strumenti di informazione e prevenzione. Si può paragonare ad una dipendenza che non si riesce ad ammettere, una vergogna, una sconfitta. Ci sono anche a Reggio Emilia centri anti violenza che trattano i problemi delle donne maltrattate. Occorre, insieme a chi conosce questi problemi, affrontare il tema per aumentare la consapevolezza nelle donne ma anche negli uomini. In Italia ci sono poi 8 punti di ascolto sulle relazioni dannose, che ascoltano ed aiutano gli uomini nelle relazioni dannose. «Chi manifesta atti di violenza spesso prova vergogna per le proprie azioni, per ciò che accade all’interno della coppia. Il problema è che non riesce ad assumersi le proprie responsabilità. Sembra un paradosso, ma questi uomini pensano di essere vittime e tendono a dare la colpa di ciò che accade alle compagne che, in un drammatico rispecchiamento con tali atteggiamenti, si fanno carico di quanto non funziona nella relazione». Alessandra Pauncz, psicologa, 45 anni, descrive così i passi fondamentali che gli uomini violenti devono fare per uscire dalle relazioni dannose. «Le parole chiave sono due: superamento della vergogna e assunzione di responsabilità. Il percorso da fare per “guarire” gli uomini passa proprio da qui». Noi come donne di SEL vorremmo contribuire al allargare la riflessione.

Antonella Festa, Katia Pizzetti, Teresa Debbi, Piera Vitale, Ernestina Bazzi, Valentina Trizzino, Luciana Caselli.

giovedì 3 gennaio 2013

Sinistra, pace e disarmo: forse è il caso di parlarne


Una riflessione a liste fatte e a mente fredda
Quando la Federazione di SEL Reggio Emilia mi ha proposto la candidatura alle primarie da indipendente – dopo una rapida consultazione con i compagni del Movimento Nonviolento (nel quale sono impegnato nella Segreteria nazionale) – ho deciso di accettare per provare a portare, dal basso e direttamente in campagna elettorale, quei temi che erano rimasti esclusi dalla Carta d’Intenti del centro sinistra: dal taglio delle spese militari al ritiro delle truppe dall’Afghanistan, dalla rinuncia ai caccia F-35 al finanziamento del Servizio Civile Nazionale, dal rispetto dell’art. 11 della Costituzione alla costituzione dei “Corpi civili di pace”.
Portarli in campagna elettorale non come temi a se stanti, aggiuntivi rispetto a quelli sociali tipici di una forza come SEL, da citare perché “fa pacifista”, ma come temi fondanti di un’idea differente dell’agire politico, nel quale il ripudio costituzionale della guerra “come mezzo” e “come strumento” è preso sul serio, come sono presi sul serio i diritti fondamentali del lavoro, dell’uguaglianza, dell’istruzione, della cultura, della difesa dell’ambiente. Per costruire una politica di vera alternativa rispetto ai governi Berlusconi prima e Monti dopo che hanno operato una riscrittura materiale dei nostri “principi fondamentali”, al punto da taglieggiare continuamente i diritti sociali e civili costituzionali e, al contrario, foraggiare insistentemente l’unico disvalore esplicitamente ripudiato: la guerra e la sua preparazione. Al punto che solo poche settimane fa abbiamo assistito alla vera e propria resa della democrazia parlamentare alla sovranità militare, con la delega per la riforma delle Forze Armate al ministro più “tecnico” di tutti, all’ammiraglio Di Paola, volta ad impedire ogni taglio futuro di risorse e a garantire sempre nuovi investimenti sugli armamenti. Una scelta approvata anche da quel Partito Democratico cha nei dibattiti dichiara di seguire politiche di pace e poi in Aula vota regolarmente a favore delle spese militari e delle missioni di guerra.
Dunque ho accettato la proposta di candidatura, seppur con la prospettiva di una “campagna elettorale” dai tempi impossibili, dalla vigilia di Natale alla vigilia dell’ultimo dell’anno. Ed ho già ringraziato le 204 persone che mi hanno votato.
A questo punto – a liste fatte e a mente fredda – oltre a ringraziare SEL per aver avuto questa apertura nei confronti di candidati portatori dei temi della pace e del disarmo, che si è manifestata anche in altri collegi da Nord a Sud – da Francesco Vignarca portavoce della campagna “Taglia le ali alle armi” nel collegio Lombardia 2 a Giuliana Sgrena giornalista pacifista de “il manifesto” nel collegio di Roma ad Angelica Romano esponente di “Un ponte per” a Napoli – non posso non esplicitare un dato di realtà e di preoccupazione: nessuno di questi conosciuti candidati “pacifisti” (tanto meno il sottoscritto) ha avuto un numero sufficiente di consensi da poter essere inserito nelle liste elettorali definitive in posizione eleggibile. Nonostante la centratura tematica dei documenti nazionali e l’impegno degli amministratori territoriali di SEL nel far approvare odg e mozioni contro i caccia F-35 in circa settanta Enti Locali, se queste elezioni primarie volevano essere anche un test per sondare il livello di pacifismo delle liste, ebbene tutti i candidati pacifisti sono stati respinti!
Certo, ciascuna circoscrizione ha caratteristiche locali specifiche e personalmente non amo esercitarmi in analisi di dati (pre)elettorali – scienza che non frequento – ma questa generale debacle di tutti i candidati di area pacifista e nonviolenta non può non saltare agli occhi e porre un problema squisitamente politico: fino a che punto è avvertito come centrale nella cultura politica dalla sinistra in generale, e di SEL in particolare, il tema urgente del disarmo? Fino a che punto è chiara e diffusa la consapevolezza che siamo nel pieno del più grave riarmo della storia dell'umanità? Quanti elettori conoscono il dato che in questo momento di epocale crisi economica e sociale, si spende complessivamente in armamenti in un solo giorno più del doppio di quanto è il bilancio ONU – per tutte le altre attività civili globali – di un intero anno, come denuncia da tempo l’inascoltato Ban Ki Moon? Fino a che punto si sa che in Italia gli stessi liberisti che vogliono privatizzare scuola, pensioni e sanità tengono ben stretto nelle mani dello Stato una multinazionale degli armamenti come Finmeccanica? Fino a che punto si è a conoscenza che la Grecia è stata costretta a svuotare i granai per riempire gli arsenali, dalle stesse potenze che chiedono ai greci continui sacrifici per stare nell’euro? Fino a che punto è chiara la consapevolezza che se non si risolve il buco nero della folle corsa agli armamenti, nazionale e internazionale, non c’è modo di uscire dalla crisi in atto, se non attraverso lo strumento della guerra, come ha tragicamente insegnato la storia del XX secolo? Fino ha che punto, insomma, è presente nella coscienza della sinistra diffusa che il tema del disarmo – oggi più che mai – non è un accessorio fiore all’occhiello ma, come direbbe Aldo Capitini, l’inevitabile ”varco attuale della storia”?
E, si badi, non è solo un problema di SEL: quanti candidati pacifisti saranno collocati in posizioni eleggibili nelle liste arancioni del dott. Ingroia, oltre all’annunciato Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della Pace? L’assalto alla diligenza al quale stiamo assistendo non annuncia niente di buono, neanche da quelle parti….Mentre sarebbe stata una salutare boccata di aria pura, per la sinistra nel suo insieme, una concorrenza virtuosa proprio su questi temi.
Insomma, adesso che la sinistra si candida a governare, mi pare sia tempo di riaprire un ragionamento di cultura politica sul tema del rapporto tra sinistra, pace e disarmo. Come direbbe il movimento delle donne: se non ora quando?
Pasquale Pugliese
P.S. Intanto speriamo (e faremo quanto ci è possibile) che almeno vada bene in Veneto a Giulio Marcon, coordinatore della campagna “Sbilanciamoci”, candidato nel “listino” nazionale di Nichi Vendola, ed in Emilia Romagna alla brava Cinzia Terzi, attivista infaticabile della solidarietà internazionale, arrivata prima tra le donne per la Camera dei deputati.