
Il disegno di legge, a firma Di Paola, è fondato su due principi: l’invarianza (o meglio la non riducibilità) della spesa complessiva, per cui tutte le risorse che saranno risparmiate con un taglio dell’abnorme struttura del personale (in cui – unico esercito al mondo – i comandanti sono più dei comandati) dovrà essere reinvestito in spesa per armamenti; la flessibilità del bilancio, che fornisce alle Forze Armate il privilegio assoluto della discrezionalità sull’uso della montagna di risorse pubbliche annualmente assegnate. Introducendo, inoltre, il principio del “silenzio-assenso” del Parlamento rispetto all’emanazione governativa dei decreti attuativi della legge, ossia un ammiraglio solo al comando senza possibilità di controllo.
Non a caso, secondo il Rapporto 2013 della campagna Sbilanciamoci, nei prossimi tre anni, il ministero della Difesa aumenterà del 5,3% le proprie risorse, pari a più di un miliardo di euro, superiore ai pochi tagli previsti dalla spending review per lo stesso ministero. E, come se non bastasse, la “riforma” prevede che gli Enti Locali – già fortemente taglieggiati – paghino di tasca propria all’esercito gli interventi richiesti in caso di calamità naturali. E’ il colmo. E’, di fatto, una ritorsione per aver votato in massa mozioni e ordini del giorno contro i caccia F-35.
I parlamentari democratici che martedì voteranno questa “legge delega” – vera e propria riforma a mano armata – possono astenersi dal partecipare alla prossima Marcia della pace perché sono già iscritti d’ufficio a sfilare, inquadrati e al passo dell’oca, alla prossima Parata militare.
Pasquale Pugliese