La giustificazione che và per la maggiore è che ci siamo indebitati perché siamo un popolo
sprecone. Una comunità che ha vissuto al di sopra delle proprie
possibilità usando i soldi degli altri per garantirci il diritto
alla salute, all'istruzione, alla previdenza sociale. Quest'idea è
talmente radicata, che nessuno (o quasi) osa contestare le politiche
lacrime e sangue che oggi ci impongono. Anzi le salutiamo come la
giusta punizione per i peccati commessi. Peccato, però, che il
peccato non esista e lo dimostra una ricostruzione effettuata dal
Centro Nuovo Modello di Sviluppo sulla finanza pubblica degli ultimi
30 anni.
Nel 1980, il debito
pubblico italiano ammontava a 114 miliardi di euro pari al 56% del
Pil. Quindici anni dopo lo troviamo cresciuto di 10 volte, più
esattamente a 1150 miliardi di euro. Effetto dei nostri sprechi? In
parte sì perché questo è un periodo in cui le spese per servizi e
investimenti pubblici sono state superiori alle entrate fiscali. Ma
solo per 140 miliardi. Se il nostro eccesso di spese fosse stata la
causa di tutti i mali, il debito pubblico avrebbe dovuto raddoppiare,
non decuplicare. E allora cosa ha contributo alla crescita
incontrollata del debito? Risposta: gli interessi che in quel periodo
oscillavano fra il 12 e il 20%. Bisognò attendere il
1996
per vederli scendere al di sotto del 9%. In parte l'Italia pagava per
le scelte di Reagan che aveva bisogno di soldi per finanziare lo
scudo spaziale. Non volendo alzare le tasse, si finanziava
richiamando capitali dal resto del mondo con alti tassi di interesse.
Gli
altri paesi assetati di prestiti non avevano altra scelta che offrire
di più.
La
politica di spese per servizi superiori alle entrate durò fino al
1992 e in ogni caso procurò un disavanzo complessivo inferiore 6%
Poi, con l'eccezione del 2009-2010, la spesa per servizi è rimasta
sempre al di sotto delle entrate, permettendo un risparmio
complessivo di 633 miliardi di euro. Una cifra sufficiente ad
assorbire non solo i disavanzi precedenti, ma anche il debito di
partenza e continuare ad avere un avanzo di 370 miliardi. Ma
nonostante la politica da formichine, il nostro debito è cresciuto
all'astronomica cifra di 2000 miliardi. Solo per colpa degli
interessi che nel trentennio ci hanno procurato un esborso pari a
2141 miliardi di euro.
Dal
che risulta che non siamo un popolo di spreconi, ma un popolo di
risparmiatori spennati. Il tasso di risparmio privato degli Italiani è tra i più elevati al mondo.
Siamo polli finiti in una macchina infernale messa
a punto dall'oligarchia finanziaria per derubarci dei nostri soldi,
con la complicità della politica. E poiché la politica è eletta da
noi , ci troviamo nella situazione assurda in cui scegliamo i nostri
estorsori e li autorizziamo a sottoporci a ogni forma di angheria per
servire meglio gli interessi degli strozzini. Una follia possibile
solo perché viviamo nell'inganno dell'ignoranza.
Per questo il
Centro Nuovo Modello di Sviluppo ha messo a punto un kit formativo (simpatiche slides in pdf) e ha lanciato la campagna “Debito pubblico, se non
capisco non pago” con lo scopo di promuovere una corretta
informazione e la nascita di gruppi locali che si dedichino alla
formazione. Ulteriori dettagli sul sito www.cnms.it [Testo e link della campagna stessa]
La campagna, insieme ai movimenti affini italiani ed europei, mira a creare gruppi popolari di AUDIT (revisione) del debito negli enti locali e società a capitale pubblico sull'urlo del fallimento.
"Il problema degli enti locali in dissesto, infatti, è ancora più grave
di quel che si pensa se si considera che in aggiunta agli oltre 400
comuni già falliti, ci sono, poi, ben 1.242 enti strutturalmente
deficitari tra i quali alcuni potrebbero fallire da un momento
all’altro. Di questi enti, sette sono amministrazioni provinciali e gli
altri sono comuni. Se considerate che in Italia i comuni sono in tutto
8047, comprenderete che il problema è estremamente serio. Tra enti in
dissesto e strutturalmente deficitari si supera il 20% dei comuni e non è
poco." [Gaetano Montefusco]
Laura Vezzosi