Matteo Sassi
Vicesindaco di Reggio Emilia
L'attualità del dibattito sulla cosiddetta maternità surrogata ci rimanda alla necessità d'una riflessione sul rapporto tra l'uomo e la vita nel tempo del dominio della tecnica. Il nodo del ragionamento a me pare consista in un quesito: la riproduzione e la tutela della vita è ascrivibile anche alla volontà dell'uomo - e dunque della sua intelligenza – o è un fatto unicamente e intangibilmente biologico?
E' questo un interrogativo che investe non solo le fasi estreme della vita – la nascita e la morte – ma tutto il suo corso. Taluni, in riferimento alla maternità surrogata, hanno evocato il rischio dell'avvento di un tempo eugenetico. Ritengo fuorviante questo riferimento poiché evoca inevitabilmente, sul piano storico e politico, i folli intenti nazisti sull'affermazione della superiorità “ariana”. Si tratta quindi di un termine “armato” che allude ad un'identità e ad un destino comune di un gruppo di “eletti” e che dunque mal si presta ad una discussione serena. Ne è testimonianza il fatto che, ad un'interpretazione più o meno stringente, possono ricondursi all'eugenetica le terapie rivolte a limitare la trasmissione di gravi malattie ereditarie; obiettivo a cui è lecito tendere senza per questo essere considerati dei filonazisti.
Il centro della discussione torna dunque ad essere quello del rapporto tra la volontà dell'uomo e la vita. A questo punto non possiamo non cogliere una contraddizione palese che attraversa il pensiero conservatore – e segnatamente le gerarchie ecclesiastiche che spesso lo ispirano – circa questo rapporto. Mi riferisco al fatto che, per ragioni che sfuggono alla comprensione razionale, muti drasticamente il giudizio circa il ricorso a dispositivi tecnici applicati alla vita a seconda delle convenienze e del dogma. Da un lato, assistiamo infatti alla demonizzazione e alla negazione d'ogni supporto alla nascita e di conseguenza anche alla maternità e alla paternità: pensiamo alla legge 40 che ha reso impraticabile la fecondazione assistita in Italia e leso diritti fondamentali di autodeterminazione delle donne come le sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Strasburgo hanno evidenziato. Dall'altro lato, assistiamo invece al trionfo e al sistematico ricorso alla tecnica quando si tratta di mantenere artificialmente in vita – anche contro la loro volontà - persone che altrimenti sarebbero destinate alla morte.
Si ha dunque la pressoché certezza che a determinare una condotta così altalenante sia l'avversione ideologica (o teologica) ad ogni principio di volontaria autodeterminazione dell'uomo sulla riproduzione della vita e sui destini del Sè di ogni individuo.
E' questo un tratto liberticida tipico di uno Stato etico, ovvero di un ordine fondato sulla mortificazione dell'uomo e sulla negazione del principio di libertà, a cominciare dalla possibilità di disporre del proprio corpo e della propria vita senza per questo ledere diritti altrui.
Credo che a questa preoccupante e tutt'altro che inedita visione del mondo e dello Stato debba essere contrapposta la fiducia nella ragione umana e nella sua capacità di costruire uno spazio del diritto, ovvero un luogo in cui diritti e doveri reciproci vengono sanciti. Ciò implica la negazione dell'esistenza di un ordine naturale aprioristico, a maggior ragione se costruito ad immagine e somiglianza di questa o quella visione del mondo.
Nell'immenso libro della natura il monologo condotto anche dalla più fulgida delle intelligenze o dalla più possente delle dottrine religiose o politiche appare piccola e insignificante cosa. Dell'ordine naturale fanno parte tutti, nessuno escluso.
Qualsivoglia gesto d'amore - che implica cura, dedizione e responsabilità verso l'Altro - nasce dalla volontà e dal desiderio dell'uomo, vere forze creatrici del nostro mondo. Ogni maturo e sereno dibattito su maternità surrogata, adozioni gay, così come su ogni altra questione che investa la sfera delle libertà personali e dei relativi limiti, dovrebbe partire da qui: dalla centralità dell'amore di cui gli uomini e le donne sono capaci e dalla fiducia nella ragione che sa farsi legge e diritto. La mortificazione delle molteplici possibilità dell'essere e la chiusura pregiudiziale verso ogni differenza non sono solo porte indebitamente chiuse in faccia a tante persone ma anche testimonianza di un'umanità insensibile, intollerante e deprivata che promette poco di buono per il bene comune.
Nessun commento:
Posta un commento
L'inserimento dei commenti su questo blog implica l'accettazione della policy.