venerdì 15 gennaio 2016

Sul neofascismo e la libertà di parola

Michele Bonforte

Mi batterò perché tu possa dire cose che non condivido, ma ti impedirò di ledere la mia libertà.
Riemergere in Europa ed in Italia il fantasma del neofascismo. La crisi economica e sociale che dura da anni, alimenta la facile ricetta di contrapporre gli interessi di diversi strati della popolazione che sono parimenti vittime di questa crisi.
La mancanza di una risposta sul terreno sociale alla crisi, alimenta la ricerca di risposte sul terreno etnico, religioso, degli stili di vita. La principale responsabilità del governo e dell’Europa è proprio nel non dare una risposta alle forti esigenze di giustizia sociale, di lavoro e di diritti che emergono dentro la crisi.
In questa assenza prosperano i venditori di odio, che indicano nell’esistenza dell’altro la causa dei nostri problemi. E’ un “altro” che di volta in volta viene definito e creato ad arte. Possono essere i “diversi”  che vivono fra noi: diversi negli stili di vita, nelle abitudini sessuali. Possono essere “diversi” perché vengono da fuori, e dunque hanno culture e religioni proprie.
La vigilanza e la lotta contro queste forze politiche e culturali è un tema di questi tempi. Dentro al campo democratico spesso si discute sul tipo di battaglia da dare, in termini culturali, politici e giuridici. Alcuni sostengono la libertà di diffondere idee neofasciste, razziste o sessiste se queste si mantengono nel campo della battaglia delle idee, se cioè non passano da dire al fare. Io credo che queste posizioni siano sbagliate. Se tu neghi a parole la mia esistenza, in quanto gay, rom, immigrato, o quant’altro, prima o poi troverai qualcuno disposto a passare dalle parole ai fatti.
Papa Francesco lo ha sintetizzato bene: “Se tu parli male di mia madre io ti do un pugno”.
Io dirò molto meno: se tu neghi il diritto ad esistere del mio fratello/sorella io ti impedirò di parlare. E’ partendo da queste fondamenta che la nostra costituzione impedisce la ricostituzione del partito fascista. E su queste basi che la nostra legislazione, e quella di altri paesi europei meglio di noi, puniscono la propaganda razzista, sessista, ecc.
C’è a mio modo di vedere uno spazio di “sacralità repubblicana” che va difeso nel discorso pubblico: non si può negare l’esistenza e la dignità di un altro essere umano.
Permetterlo, come manifestazione della libertà di pensiero o di un mal riposto relativismo culturale, significa preparasi a vedersi negare non solo la propria libertà di pensiero, ma quella ad esistere. 

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