Stefano Morselli
Diciamola chiara: la minoranza Pd pretende l'impossibile. Pretende che Renzi non sia Renzi. Pretende, addirittura, che il Pd sia un partito "di sinistra", nonostante siano passati ben sette anni da quando il primo segretario - Veltroni, mica Renzi - chiarì con apprezzabile ma largamente ignorata sincerità che il Pd doveva essere un "partito riformista MA NON di sinistra". Si può discutere se la prima enunciazione (riformista) abbia avuto concretamente un seguito adeguato, ma è indiscutibile che la seconda (non di sinistra) corrisponda a ciò che è accaduto, fino alle estreme conseguenze odierne, che forse vanno anche al di là di ciò che Veltroni immaginava e annunciava.
Dunque, che senso ha ripetere, un giorno si e l'altro pure, "saremo leali, ma pretendiamo autonomia" (Cuperlo); ""Basta nemici immaginari, segretario devi ringraziarc" (D'Attorre); "Stiamo cambiando idendità, stiamo cambiando funzione politica. Stiamo diventando il partito dell'establishment che mette in atto l'agenda della Troika" (Fassina); "Se Renzi si presenta con il jobs act... se Renzi continua così... si costituirà un partito a sinistra del Pd" (Civati). Eccetera, eccetera.
Non che si voglia rovinare la suspence attorno a tutti quei"se" e quei "ma". però non c'è bisogno di ricorrere al mago Otelma per prevedere che sì, Renzi continuerà ad essere Renzi, il Pd continuerà ad essere un partito "non di sinistra", le alleanze continueranno ad essere da una parte con Alfano, dall'altra con il Banana. Come ha ben chiarito lo stesso Renzi, anche lui con apprezzabile sincerità: il segretario sarò io fino al 2017, il governo sarà questo fino al 2018. Salvo che, ovviamente, i "dissidenti" non decidano di prendere atto della realtà e trarne le debite conseguenze. Altrimenti, bisognerà concludere con quel vecchio adagio popolare: non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.
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