venerdì 26 settembre 2014

Cosa c'è dietro il nuovo attacco all'art 18?

Michele Bonforte

Si potrebbe pensare che il nuovo attacco all’art. 18 sia uno strumento di distrazione di massa dai problemi veri del paese, dalla disoccupazione che aumenta, dalla recessione che si aggrava, dai tagli alla spesa sociale imposti dall’Europa governata dalla destra.
In effetti l’art. 18 è stato modificato solo due anni fa, senza aver visto nessuno dei benefici attesi, anzi. Molti economisti si adoperano, spesso inascoltati, per far capire che non esiste nessun legame fra meno diritti e più occupazione, anzi forse è vero il contrario. Persino la Confindustria si vede trascinata di nuovo su questo terreno senza averlo chiesto, e ovviamente gradisce, ma vorrebbe discutere d’altro.
Ho paura invece che la situazione sia peggiore di come appaia.
Non avendo il coraggio di affrontare i problemi veri del paese (evasione fiscale, corruzione, criminalità organizzata, riduzione degli investimenti, caduta della produttività) che toccano interessi e bacini elettorali che si vogliono tutelare ed attrarre, mi pare che si scelga con decisione di imboccare l’uscita “bassa” dalla crisi economica.
L’uscita “bassa” è quella di ricollocare il sistema economico e sociale del paese parecchi gradini più in basso nella graduatoria internazionale, con retribuzioni MOLTO più basse di oggi, in modo da esportare merci a prezzi bassi. Competere sui prezzi e non sulla qualità, e dunque avvicinare il nostro sistema economico e sociale a quello indiano (o greco per parlare di un paese europeo).
In Grecia oggi le retribuzioni medie nel pubblico impiego sono intorno ai 700 euro, e nel settore privato non va meglio. Diciamo che la media delle retribuzioni è più bassa che in italia di circa il 40%.
In Italia in effetti da anni le retribuzioni si abbassano in termini reali. Anno dopo anno siamo cioè più poveri; negli ultimi 10 anni si stima che si sia perso il 10% del potere di acquisto.
Facciamo forse fatica ad accorgercene perché alcune merci “feticcio” in effetti costano sempre meno (i computer, i telefonini, i tablet) poiché legati all’evoluzione tecnologica, ma quelle essenziali costano incredibilmente di più. L’esempio da manuale è che 12 anni fa si mangiava la pizza e la birra con meno di 10.000 lire, oggi non bastano 10 euro, quasi il doppio. Per molti beni comuni il rincaro è stato enorme, e poiché questo aumento del costo della vita non è stato pienamente o per niente compensato dall’aumento delle retribuzioni, registriamo un lento impoverimento dei lavoratori.
Ma la recessione è così profonda, la contrazione dei consumi così vistosa, che pur di vendere le imprese ed i commercianti abbassano i prezzi, ed ora abbiamo una inflazione vicina allo zero o negativa, e così l’effetto di lento impoverimento si blocca, o persino si inverte.

A mio parere l’attacco all’articolo 18 serve a permettere una riduzione nominale delle retribuzioni di una quantità significativa. Come tutti gli effetti percepiti, un conto è impoverirsi piano piano (come la rana che non si accorge di essere nella pentola a fuoco lento) un conto è subire un netto ridimensionamento della busta paga.
E’ da mettere in conto una reazione da parte dei lavoratori, che finora è mancata. L’attacco all’art. 18 serve a disarmare i lavoratori, a indebolire il sindacato, a portare ad una fuga dai ruoli di delegato nelle aziende, per il rischio di incorrere in licenziamenti che oggi vengono tutelati dall’art. 18.
Senza un sindacato efficace (e senza le leggi tedesche di sostegno alla cogestione aziendale), senza una capacità di rinnovare i contratti nazionali, i lavoratori verrebbero lasciati soli a contrattare individualmente al ribasso, la propria retribuzione e le proprie mansioni.

Senza l’art. 18 i lavoratori avranno meno diritti, ma penso che avranno anche meno soldi.

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