mercoledì 18 marzo 2015

Il jobs act, il ministro Poletti e l'eterna favola dell'interesse "di tutti"



Stefano Morselli






Ieri sera, al Teatro Pedrazzoli di Fabbric, ho seguito con attenzione il ragionamento del ministro del lavoro Giuliano Poletti sul jobs act. Si tratta di un ragionamento serio, nel senso che sottende una "filosofia" organica, in materia di lavoro e non solo: la filosofia del pensiero unico, sedicente oggettivo, che non contempla l'esistenza di interessi diversi, a volte conflittual. E che, quindi, propone le proprie scelte - in realtà marcatamente "di parte", esempio lampante appunto la vicenda del jobs act - come "interesse del Paese". Cioè "di tutti". Cioè anche di coloro che, al contrario, ci rimettono.


  Giuliano Poletti, ex presidente di Legacoop, è anche un ex comunista. Quindi sa benissimo come funziona quel meccanismo ideologico e propagandistico. Così come lo sanno parecchi altri ex comunisti, per averlo a lungo contrastato quando da altri veniva contrapposto alle lotte dei lavoratori per il miglioramento delle loro condizioni, e più in generale alle istanze di cambiamento della società. C'erano le leggi immutabili dell'economia, l'ordine sociale stabilito, la tradizione, ecc. ecc. Del resto mia cara di che si stupisce, anche l'operaio vuole il figlio dottore e pensi che ambiente che può venir fuori, non c'è più morale, Contessa... (cit. Paolo Pietrangeli).


 A volte, nella pur giusta foga di criticare e combattere quella ideologia, ai contestatori capitava anche di prendere abbagli, sostenere castronerie, affidarsi ad altre dogmatiche ideologie. Adesso, invece, certi ex comunisti - folgorati sulla via del o liberismo, senza nemmeno ammettere, almeno, di avere allora sbagliato quasi tutto nella loro precedente vita politica - riciclano la filosofia del pensiero unico, inevitabile, necessario. Ovviamente ridipinta con i colori dei nostri tempi: "Lo vuole l'Europa", ' ha ammonito Poletti a proposito del jobs act.

Dopo di che, è abbastanza naturale che a guidare questa radicale trasmigrazione politica e ideologica siano soprattutto altri, più omogenei alla vecchia-nuova ortodossia di quanto non possano essere gli ex comunisti, relegati a funzioni di supporto e di fidelizzazione nei confronti di un certo bacino elettorale di sinistra. O addetti alla "riduzione del danno", come ha ammesso l'on. Antonella Incerti, deputata reggiana, spiegando (sempre durante l'incontro a Fabbrico) gli sforzi della minoranza Pd per rendere meno indigeribile il jobs act. Ma se di danno si tratta, per di più causato dal proprio stesso partito, ci si può accontentare di "ridurlo"?

Penso, tuttavia, che non serva nemmeno stramaledire le donne, il tempo ed il governo (cit. Fabrizio De Andrè). Cioè rimpiangere la sinistra che fu e considerare "traditori" coloro che hanno scelto di abbandonare - legittimamente, al netto degli immancanili opportunismi e trasformismi - non la "vecchia sinistra", ma l'idea stessa che possa esistere una sinistra, certo moderna e di governo ma di cambiamento dello stato presente delle cose e delle gerarchie di interessi sociali. . Poletti e Renzi facciano la loro strada, ad altri - se ci sono, se ne sono capaci - il compito di costruirme una diversa e alternativa.




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