Su l'Unità di oggi, il neo direttore Luca Landò scrve un editoriale sul Pd. E' un editoriale lucido e anche severo sui numerosi errori ed autogol, passati e presenti, di quel partito. Ultimi in ordine di tempo i tesseramenti gonfiati e i congressi taroccati in alcuni (non così pochi) circoli e città. Però, c'è un "però" - lo ripeto spesso ad amici del Pd incazzati per come vanno le cose nel loro partito - che fa rimanere "sospese nel vuoto" le (pur sacrosante) critiche impostate in quel modo.
Il "però" è che manca sempre un pezzo di ragionamento, secondo la logica ancora prima ancora che secondo la politica. Certe dinamiche deteriori si ripetono continuamente, instancabilmente, fin dalla nascita del Pd. Semmai, con il passare degli anni, tendono ad aggravarsi, acquisiscono contorni grotteschi. Nonostante gli abbandoni (dal cofondatore Rutelli all'incredibile graduato della prima ora Calearo, passando per parecchi altri), nonostante le svolte, nonostante i frenetici avvicendamenti di segretari (Veltroni, Franceschini, Bersani, Epifani, tra poco probabilmente Renzi). Possibile che tutto ciò dipenda soltanto da un personale politico inadeguato, inaffidabile, opportunista, quando non addirittura "traditore"? Anche se aspetti di questo genere hanno un loro peso, la risposta, ovviamente, è no: non è possibile.
Scartando anche l'ipotesi che la colpa sia allora del destino cinico e baro, bisognerebbe finalmente prendere nella dovuta considerazione l'idea - ma più che una idea, a me pare un fatto evidente - che, nella sostanza, tutti gli sviluppi successivi dipendano proprio da come è stato concepito e fondato il Pd. Dal suo "DNA costitutivo", programmaticamente privo di un progetto politico condiviso e di una identità politica riconoscibile. Se il problemna è strutturale, di fabbricazione, i guasti continui e le continue revisioni hanno una spiegazione. Altrimenti? Questo è esattamente il punto di fronte al quale molti critici interni al Pd si fermano, come se procedere oltre significasse varcare un confine proibito: Come se stesse scritto: non aprite quella porta. .
A mia conoscenza, nell'attuale dibattito congressuale del Pd, solo Civati in qualche momento ha fatto capire che bisognerebbe avventurarsi proprio oltre quel confine, aprire quella porta. Ragionare non di un'altra e precaria manutenzione, ma di una radicale e coraggiosa ricostruzione. Poi, purtroppo, anche Civati rischia di affondare nelle sabbie mobili di regolamenti demenziali, tesseramenti sospetti e poi sospesi, congressi contesi non tra opzioni politiche ma tra cordate di potere. In ogni caso, poichè Civati NON diventerà il segretario del Pd, la prospettiva più probabile è proprio quella di una ennesima manutenzione. Magari travestita da rottamazione, ma tra gli applausi di molti presunti rottamandi.
C'è il tempo, c'è la possibilità di andare invece al fondo della questione politica vera, cioè la ricostruzione - ovviamente non per un astratto puntiglio accademico, ma in relazione alle tematiche reali dell'Italia e dell'Europa di oggi - diuna adeguata rappresentanza politica della sinistra italiana? Non lo so, ho molti dubbi. Ma la questione resta quella. Per chi - dentro il Pd e fuori del Pd - abbia ancora l'nteresse e la passione di affrontarla.
Stefano Morselli