di Laura Vezzosi
Vi regalo qui il pensiero di don Paolo Cugini (di Reggio) che condivido, e ringrazio per la schiettezza.
Una riflessione che parte dalle comunità di base del Brasile e arriva al Concordato tra stato e chiesa tutto made in Italy.
Laura Vezzosi
FEDE E VITA
La dimensione politica e sociale della fede è stato
il tema che mi ha accompagnato nei circa quindici anni di esperienza
missionaria in Brasile. Come dice Theobald la dimensione politica
della fede è stata una delle risonanze del Vangelo che ho trovato,
ascoltato e accolto nella realtà che ho incontrato. La lettura del
Vangelo fatto nelle piccole comunità di base (Cebs), ma soprattutto
nei tanti gruppi di giovani incontrati sia nelle comunità della zona
rurale che nei quartieri poveri, mi ha mostrato come davvero il
Vangelo possa restituire la fiducia nella vita, in quella vita spesso
spezzata e maltrattata dalle strutture sociali e politiche di morte.
Quante famiglie ho incontrato ai bordi delle strade dei grandi
latifondi, vivendo in piccole capanne, lavorando e lottando per anni
per conquistare quel piccolo pezzetto di terra che permetterebbe una
vita migliore.
Quante sofferenze causate dall’arroganza dei
potenti di turno che se ne infischiano della dignità delle persone,
soprattutto povere, che sistematicamente umiliano, ho dovuto
ascoltare, accompagnare. E allora è vero che .....non c’è vita umana senza fede, soprattutto quella fede che sgorga dalla fiducia nell’altro, nelle persone vicine che diventano compagno e compagne di viaggio, che aiutano a lottare e soffrire insieme per vincere la tentazione di cadere nella disperazione. Quante volte ho incontrato nei volti dei poveri sofferenti la fiducia estrema nella vita, l’aggrapparsi a denti stretti ai brandelli di vita strappati in contesti di grande difficoltà. Credo che sia per questo fatto, e cioè per una dimensione antropologica della fede che è stimolata dalle situazioni di grande precarietà nelle quali le persone incontrate si trovano a vivere, che diviene facile, direi quasi spontaneo accogliere non una qualsiasi fede, ma la fede in Cristo, nella sua proposta, “la fiducia in colui che più di ogni altro riusciva a generare vita nell’altro, a generare fiducia nella vita”.
Il legame tra la vita vissuta, quella vita fatta
spesso e volentieri da umiliazioni, ma anche di conquiste e di lotte
– penso soprattutto alle famiglie che riuscirono ad ottenere le
terre dopo anni passati sotto tendoni o capanne di paglia – e la
fede nel Signore della vita è visibile nelle liturgie. Chi partecipa
ad una Messa o ad una celebrazione della Parola in una CEB non
assiste a qualcosa di staccato dalla vita, ma trova in essa delle
chiavi di lettura per il vissuto quotidiano. I canti, le preghiere, i
commenti iniziali e conclusivi e poi i balli di ringraziamento: è la
via che è celebrata e trasformata nella fede in Cristo, nel Signore
della vita. E’ stato in contesti come questo che ho compreso
l’importanza della liturgia per la vita, il significato profondo
del celebrare per lasciarsi consegnare i contenuti necessari ad
affrontare quel quotidiano spesso fatto di umiliazioni e durezze.
Liturgia quindi, non come proposta alienante, come fuga dalla dura
realtà, ma come chiave di lettura per comprenderla, per cogliere il
segno dei tempi più vero ed autentico che abbiamo: la fede nel
Signore risorto, presente nei fratelli e nelle sorelle sfigurati dal
dolore, dall’umiliazione. Liturgia come forza che la comunità
riceve per affrontare la vita e come luce per leggere e interpretare
i segni dei tempi. Sono questi contesti che hanno maturato in
me un amore crescente per la Chiesa che, come dice Theobald, “è
prima di tutto il luogo concreto, infinitamente sobrio,
dell’ospitalità contagiosa”.
Leggere il Vangelo nelle piccole comunità di base e
nei gruppi giovani in un contesto nel quale tutti i giorni si tocca
con mano l’umiliazione che i poveri subiscono dai potenti, ma
soprattutto le dinamiche di dipendenza messe in atto dai sistemi
corrotti dei politici locali, mi ha spinto ad impegnarmi nei
movimenti sociali, soprattutto quelli di lotta contro la corruzione.
La realtà ascoltata e interpretata nelle piccole comunità di base
alla luce del Vangelo ci ha condotto a fare delle scelte, a decidere
di fare qualcosa per tentare di rompere le dinamiche di morte messe
in atto dai sistemi politici corrotti. L’impegno nel Movimento Fede
e Politica, sorto negli anni Ottanta in Brasile e diffusosi
rapidamente in tutti i paesi dell’America Latina, ci ha permesso di
trovare argomenti e mezzi per sostenere le nostre lotte. Ricordo la
settimana di esercizi spirituali fatta con un gruppo di trenta
persone meditando sui testi dei profeti, scoprendo assieme il loro
coraggio e, allo stesso tempo, il desiderio i riprodurlo nel nostro
contesto sociale. Cosa che poi di fatto è avvenuta quando, scoprendo
le leggi contro la corruzione elettorale approvate nel 1999 dopo una
campagna promossa dai settori sociali della Chiesa Cattolica, ci
siamo impegnati per farla conoscere e, poi per metterla in pratica.
Theobald mette in evidenza lo scollamento in atto nel
contesto di scristianizzazione dell’Occidente tra la fede in Cristo
e il tessuto sociale, scollamento che si manifesta nell’incapacità
dei cristiani di essere fermento nel mondo, come auspicava il
Concilio. Forse i cristiani stanno pagando il prezzo di una fede nel
Signore, che non ha saputo produrre cammini di profetismo, di
denuncia contro i sistemi corrotti e i mercanti di morte responsabili
delle continue crisi economiche e, di conseguenza, delle migliaia di
poveri che aumentano anche nel mondo Occidentale. Una comunità
cristiana che non denuncia, ma al contrario, che per non perdere i
propri privilegi economici derivati dal Concordato, rimane in
silenzio o, peggio, che appoggia più o meno velatamente dei governi
pieni zeppi di politici corrotti, che spesso e volentieri sono degli
autentici avanzi di galera, non può pretendere granché. La
scristianizzazione denunciata da Theobald, ma che in Francia era già
denunciata e analizzata dal grande poeta e filosofo Charles Péguy
all’inizio del secolo scorso, è anche il frutto di un modo di
essere presente nel mondo. Quando si preferisce andare a braccetto
con il potere per aver una contropartita in denaro o per contare
qualcosa nella società, non si può pretendere poi di essere segno
profetico, stimolo per le nuove generazioni. Lo svuotamento delle
chiese e l’insignificanza sempre crescente della Chiesa nel nuovo
contesto culturale è, a mio avviso, il vero segno dei tempi che
dev’essere interpretato per cambiare decisamente rotta. Non si può
perpetuare per sempre un modello che non funziona. Se l’epoca della
cristianità è finita e, grazie a Dio, non tornerà più, ciò
significa che è ora più che mai di prendere un’altra strada.
Forse è per questo che l’attuale Papa Francesco piace così tanto,
soprattutto a coloro che sono fuori dalla Chiesa, o che se ne erano
andati per i motivi sopra descritti.
Il “metodo dell’assenza”, come lo
chiama Theobald, vale a dire l’assenza di un cammino spirituale
dettato dal Vangelo, può forse provocare il desiderio di qualcosa di
più autentico ed evangelico. Come c’insegna il detto popolare: non
tutto il male viene per nuocere. A meno che non siamo recidivi e
continuiamo a farci del male. don Paolo Cugini, 1 dicembre 2013
Riflessioni a partire dal libro di C. Theobald,
Trasmettere un Vangelo di Libertá, EDB, 2010
Nessun commento:
Posta un commento
L'inserimento dei commenti su questo blog implica l'accettazione della policy.