venerdì 5 febbraio 2016

La criminalità organizzata esce allo scoperto perché oggi è ostacolata

Michele Bonforte

La criminalità organizzata a Reggio Emilia c’è da almeno 25 anni. La presenza fu silente perché il clamore dell’opinione pubblica non aiuta un’opera di infiltrazione che, per essere efficace, è lenta e capillare.
Le condizioni favorevoli per l’insediamento della criminalità organizzata si ebbero alla fine degli anni 90 con il boom edilizio e la stagioni delle grandi opere. Chi studia la mafia e la ndrangheta da anni, ha più volte segnalato come i subappalti e la movimentazione terra siano i canali storici della penetrazione in una economia in espansione. A Reggio Emilia (ma anche in altre parti della nostra regione) le politiche di espansioni urbanistica e i grandi appalti come la TAV, sono stati il brodo di coltura della criminalità organizzata. Chi allora fece quelle scelte politiche senza prevedere meccanismi di vigilanza efficaci, ha di fatto, anche senza volerlo, spalancato la città alla criminalità organizzata.
Già allora forze politiche e sindacali, denunciarono questo rischio, anche se non mancarono le sottovalutazioni da parte di chi era al governo della città, pur in presenza di episodi violenti. La nascita della giunta Delrio avvenne proprio intorno alla chiusura della stagione dell’edilizia “facile” che stava distruggendo il territorio. Più volte da parte sindacale si denunciarono le conseguenze negative sui lavoratori di un sistema di subappalti che spesso si basava sul lavoro nero e lo sfruttamento della manodopera.
Non sempre tutti gli attori istituzionali allora ne furono consapevoli. E neanche la cosiddetta società civile.
Oggi l’inchiesta Aemilia fa emergere la capillarità della presenza della ‘ndrangheta. Ma fa emergere anche come non sia riuscita a penetrare in modo efficace nel mondo politico e nella pubblica amministrazione in modo da influenzarne l’operato.

La crisi economica e quella più profonda dell’edilizia, hanno colpito non solo gli operatori normali, ma anche il businnes criminale, con una intensità che ha frastornato i ndranghetisti. I loro tentativi di uscire da quella situazione sono stati spesso inefficaci, anche grazie alla nuova consapevolezza da parte della politica e della società civile. Oggi gli attacchi al Sindaco Vecchi avvengono perché questa giunta è un ostacolo a quegli interessi.
Sarebbe bene non dividersi di fronte alla necessità di combattere un nemico pericoloso. Ciò non vuol dire silenziare le critiche. Se vi sono proposte per cambiare o rendere più efficace l’azione dell’amministrazione comunale contro la criminalità organizzata ben vengano.
Ma è un errore credere che questa sia l’occasione per speculare qualche decimale di consenso puntando ad una generale confusione fra chi è colluso, chi non ha visto e chi invece contrasta la criminalità organizzata.
Così come è un errore criminalizzare i “cutresi” in quanto tale. Non solo si compie un inconcepibile offesa alla dignità di migliaia di persone che vivono e lavorano onestamente. Ma si commette l’errore politico di regalare la rappresentanza politica e la difesa degli interessi di un pezzo consistente della città a chi è disposto a venire a patti con la ndrangheta.
La lotta alla criminalità organizzata si fa vigilando sui settori economici a rischio (come le sale gioco, l’edilizia, i lavori pubblici, ecc) e sostenendo chi subisce in prima persona il ricatto criminale.
Tale lotta è più efficace se si coinvolge la popolazione nella definizione delle priorità di azione, poiché è più facile influenzare pochi isolati decisori, che non migliaia di persone che democraticamente discutono e decidono sul che fare.
Per questo, nel mentre rinnoviamo la solidarietà al Sindaco Vecchi, costretto a vivere sotto vigilanza, lo invitiamo ad approfittare di questo frangente per chiamare la città a discutere.
Così come facemmo nella definizione del programma nella bella e partecipata giornata al Centro Malaguzzi di due anni fa, oggi serve uno scatto democratico.

Perché il tagliando a questa giunta lo devono fare i cittadini, non le lettere di un inquisito, o la baruffa confusa di una politica attenta all’immagine e lontana dalla sostanza.

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