Michele Bonforte
“Il PD che conoscevo non c’è più”.
Lo dicono quanti a sinistra nel PD vedono la realizzazione passo dopo passo del “Partito della nazione”, cioè dell’involuzione centrista del PD. Già pochi mesi fa, alle elezioni in Emilia Romagna, era accaduto un tale tracollo della partecipazione al voto, che per evitare di vedere, si è preferito rimuovere. Eppure più della metà dell’elettorato del PD non è andato a votare proprio in critica alla deriva renziana sulle questioni del lavoro. Ora quella esigenza di “separazione” passa dal popolo di sinistra ad alcuni rappresentanti della sinistra PD.
Ciò è un bene. Su legge elettorale, scuola e costituzione, alcuni parlamentari PD hanno voluto manifestare il proprio dissenso differenziandosi nel voto ed arrivando, nel caso di Civati e Fassina, ad annunciare l’intenzione di lasciare il PD.
Non si tratta dunque di singoli temi, ma del disegno politico sottostante.
Renzi ha preso il PD cavalcando una esigenza comprensibile di ricambio della classe dirigente che ha portato il paese alla attuale disastrata situazione, e lo ha fatto proponendo una nuova agenda europea, una alternativa all’austerity. Finora ha fatto l’esatto opposto di quanto promesso, allestendo una proposta programmatica che man mano ha disvelato la sua natura conservatrice.
Ha attaccato i diritti dei lavoratori, la scuola pubblica, la costituzione democratica, per fare della sua proposta politica il punto di attrazione dei voti di quello che fu il blocco sociale che aveva sostenuto Berlusconi.
Messaggio peraltro subito recepito. Non a caso tutte le pratiche di gestione corrotta della cosa pubblica e del consenso si sono subito riorientati dal centro destra al PD.
Se a Renzi riesce questo gioco, verrebbe archiviata la stagione dell’alternanza fra centro destra e centro sinistra degli ultimi 20 anni, per tornare allo schema della prima repubblica: un grosso partito centrista che a destra e a sinistra ha due aree politiche tagliate fuori dall’accesso al governo (Lega e M5S). Con in più una legge elettorale che realizza gli effetti delle legge truffa di antica memoria: ridurre la presenza delle opposizioni in parlamento a mero diritto di tribuna.
L’unico modo per bloccare una tale involuzione è quello di far nascere uno spazio politico a sinistra capace di rappresentare i sentimenti e gli interessi di coloro che oggi fuggono dal voto e dal PD. In molti guardano con attenzione a questa possibilità: parti politiche, sindacali, culturali ed associative. Nelle prossime elezioni regionali del 31 maggio ci saranno alcuni test utili per verificare la praticabilità di questo percorso.
Ma io rimango dell’avviso che si debba partire dalle idee e dalla condizione sociale, più che dalle alchimie politiche. Una nuova sinistra può nascere se si presenta nelle piazze con proposte in grado di contrastare le peggiori riforme renziane. Lo può fare con pratiche di coalizione sociale, come dice Landini, praticando forme di sindacalismo conflittuale.
Ma anche varando a Settembre un pacchetto di referendum sui temi della democrazia, delle legge Fornero, della scuola pubblica, ad esempio. Spostando l’attenzione del paese dall’agenda di Renzi ad una agenda alternativa che sappia dare risposte e speranza alla sofferenza sociale che da anni si accumula e corrode la coesione sociale del paese e la sua stessa tenuta democratica.
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