mercoledì 29 aprile 2015

La restaurazione renziana: ora tocca alla scuola

Michele Bonforte

La manomissione continua delle leggi che regolano la scuola, è una delle cause dell’attuale collasso dell’istruzione. Ogni due-tre anni improvvisati riformatori pensano di poter porre il loro segno su un sistema che, invece richiede ascolto, progettazione, sperimentazione e verifiche. Tutte cose che richiedono tempo, cosa rara oggi in politica.
Chi ha avuto la pazienza di elaborare un organico progetto di riforma in anni di lavoro e confronto fra esperti e lavoratori è il Comitato per il sostegno alla Lip scuola, ed oggi si sta battendo per bloccare l’assalto di Renzi alla scuola pubblica, ottenendo anche alcuni risultati nei lavori parlamentari.
La gran parte del disegno di legge di Renzi sulla scuola è una delega del parlamento al governo, come nelle migliori tradizioni antidemocratiche, contro le quali – ai tempi della Moratti, si battevano anche coloro che stanno oggi facendo lo stesso.
Renzi ricatta: “prendere o lasciare” sulla pelle dei precari che da settembre stanno aspettando l’attuazione della sentenza della Corte Europea che ha condannato l’Italia per la reiterazione dei contratti precari oltre i 3 anni (senza questa sentenza oggi non si parlerebbe affatto di stabilizzazione dei precari).
Per il resto la proposta è la concretizzazione della scuola come azienda.
Il dirigente sarà l’unico arbitro della chiamata e della gestione del personale, ed anche della valutazione dei docenti e – infine – della didattica, prerogativa fino ad oggi del collegio dei docenti. Il collegio non avrà più sovranità in quell’ambito, ma – come il consiglio di istituto – verrà solo “consultato”: fine degli organi collegiali e della democrazia scolastica.

domenica 19 aprile 2015

#AltraDifesaPossibile: la Campagna di primavera della “periferia onesta, pulita e nonviolenta”

di Pasquale Pugliese

E’ un vero risveglio di primavera quello che sta accadendo in queste ultime settimane utili per la Campagna Un’altra difesa è possibile. Dalla Sicilia alla Val d’Aosta, ogni giorno decine di banchetti di raccolta firme e di iniziative di riflessione stanno portando tenacemente avanti la proposta di legge di iniziativa popolare per la difesa civile, non armata e nonviolenta. Sono attivi comitati locali, a cura degli importanti soggetti nazionali che aderiscono alle Reti promotrici, ma anche piccoli, sorprendenti gruppi spontanei, come le signore di Anzola Emilia o le studentesse di Carpi o i volontari civili di Piacenza (faccio esempi emiliani che conosco direttamente in quanto coordinatore regionale della Campagna, ma è così in tutto il Paese). E’ un dispiegamento, quasi da manuale, di quella che Aldo Capitini definiva la “prima fase del potere” il potere dal basso senza il governo, fatto “di allargamento delle aperture, di addestramento alle tecniche della nonviolenza, di miglioramento della zona in cui si vive (perché da un periferia onesta, pulita, nonviolenta, avverrà la resurrezione del mondo), di lavoro educativo, di impostazione di continue solidarietà con altri nella rivoluzione permanente per la democrazia diretta, connessa intimamente con la nonviolenza” (Omnicrazia potere di tutti, 1968) .

sabato 18 aprile 2015

Un errore per Renzi isolare Tsipras. Perchè dopo la Grecia viene l’Italia

Michele Bonforte

La vittoria di Tzipras in Grecia non è stata affatto digerita dalla tecnocrazia europea. Dopo le dichiarazioni di facciata, è cominciato un lavoro concertato per isolare, sterilizzare e sconfiggere le speranze del popolo greco. La tecnocrazia europea ha aiutato la destra greca, prima al governo, ad occultare lo stato disastrato dei conti pubblici. Invece di appoggiare Syriza che ha cacciato i politici che hanno truffato e rubato, la Germania della Merkel cerca di stringere Tsipras con le spalle al muro, non concedendogli nessun margine di tempo per risanare una situazione che ha bisogno di tempo e fiducia.
La chiusura degli spazi finanziari e la rigidità sui termini di pagamento del debito hanno un solo nome: ricatto.
Non il ricatto del creditore ansioso di riavere il suo capitale, ma all'opposto quello politico di chi è pronto anche alla catastrofe, anche a rimetterci dei soldi, pur di dimostrare che non esistono alternative al liberismo e all'austerity.
E gli altri Governi europei? Zitti, tutti zitti e il nostro in testa, per vantaggio, vigliaccheria e opportunismo.
Ma per i circoli internazionali della finanza, la Grecia può essere solo un antipasto. Una volta sedutasi a tavola ed assaporato il gusto di una incrinatura nell’euro, i piatti forti saranno l’Italia e la Spagna.

Se la Grecia affonda, cui prodest?

lunedì 13 aprile 2015

Riforme o controriforme? La restaurazione renziana

INTRODUZIONE di Lorenzo Capitani

Le immagini che scorrono, inquietanti, nel corso stesso delle ultime ore, in ogni ramo della rete comunicativa, ci parlano, prepotentemente, dei limiti fortissimi che segnano l’agire politico non solo nel nostro angusto teatrino nazionale. Penso alle stragi degli studenti cristiani in Kenia, alla nuova tragedia palestinese a Yarmouk, alla difficoltà di imprimere una svolta positiva ai conflitti internazionali aperti, con gli interessi che si intrecciano e si aggrovigliano, ad una Europa ancora alquanto sorda rispetto alla urgenza di nuovi paradigmi.

E qui, da noi? Siamo presi tra slanci propagandistici e puntuali disillusioni, anche se accuratamente rimosse. Di cosa ci parla l’Italia di oggi?
Forse in primo luogo di una semplice, e per certi versi drammatica, contraddizione:
  • da un lato propositi roboanti di cambiamenti fondati sulla velocità, sulla decisione, sul fare, sulla insofferenza per quanti, individualmente o collettivamente, si permettono di richiamare più i contenuti che i tempi, le necessarie relazioni e composizioni tra interessi diversi, tipici di una società complessa e soprattutto oggi più disuguale che mai, la inevitabile profondità di scelte di governo o istituzionali che non hanno certo bisogno di eccessi di semplificazioni o palesi unilateralismi 
  • dall’altro le “dure repliche della storia”, come meccanismi economici che stentano, nonostante la propaganda e le speranze, a profilare orizzonti accettabili, specie per la piaga della disoccupazione (in primis giovanile e femminile), provvedimenti riformatori che, presentati come fortemente innovativi, mostrano subito la loro inefficacia, alimentando nuovi disagi e nuovi pesanti interrogativi (il caso della cosiddetta “buona scuola” o, per fare un altro esempio significativo, la difficoltà di sostenere adeguatamente la pluralità dei centri antiviolenza, nonostante l’approvazione della Convenzione di Istanbul …)