giovedì 23 febbraio 2017

Unire la sinistra su un programma per uscire dalla crisi.


Un programma minimo, costruito dal basso, per sfidare Renzi e Grillo sulle idee.


di Michele Bonforte


La rottura nel PD è cosa buona e giusta. Renzi ha portato alla catastrofe quel partito ed il paese. Ha tenuto bloccato per tre anni il paese intorno ad una riforma costituzionale pasticciata e pericolosa, ha regalato miliardi alle imprese senza produrre un posto di lavoro, ha alimentato lo scontento che porta fasce popolari a rivolgersi alla destra.
Per molto meno altri in passato hanno mollato la poltrona di segretario. Ma la mutazione genetica del PD avvenuta in questi anni lo ha trasformato in un partito del capo, dove la gestione del potere lega gruppo dirigente centrale e periferico in un patto inestricabile. Un patto indifferente ai contenuti, purché garantisca la gestione del potere.
Ci vorranno settimane perché si consumi questa rottura, con tutte le ricadute sui territori. Il rischio è che la discussione sulla scissione cancelli il merito: la distanza che la sinistra deve prendere dall’agenda liberista se vuole dare risposte alle situazioni di disagio ed allarme sociale che si diffondono.
Per questo è urgente discutere delle idee di base per portar fuori il paese da questa crisi lunga e devastante. Occorre farlo dal basso, facendo partecipi tutti della costruzione di un tessuto di idee (le uniche che possono unire). Quella discussione di merito che Bersani ha chiesto nel PD e che Renzi ha negato, la dobbiamo fare noi, definendo un percorso che dai territori, da tavoli tematici porti ad una proposta politica della sinistra che possa competere con Renzi e con Grillo.
Non discutiamo ora di contenitori ma di contenuti. Noi di Sinistra Italiana abbiamo cominciato: abbiamo fatto un congresso vero, pieno di idee anche diverse. Ora è il tempo di discuterne insieme tutti, senza steccati e senza tabù.
La sinistra ha le proposte adeguate alla situazione in cui ci troviamo. La destra può solo strumentalizzare la sofferenza sociale prodotta dal liberismo, ma le sue proposte aggravano più che curare la malattia.
Se saremo in grado di fare di questa discussione un’occasione di partecipazione diffusa, allora potremo far vedere la differenza fra la partecipazione e la “gazzebata” delle primarie del PD.

martedì 21 febbraio 2017

Destra, sinistra, sovranismo e globalizzazione.

Michele Bonforte

Il Parlamento europeo ha recentemente approvato l’Accordo economico e commerciale Ue-Canada (Ceta) con ben 408 voti a favore, 254 contrari e 33 astenuti. L’accordo prevede clausole molto preoccupanti che favoriscono gli investitori a scapito dei consumatori, dei lavoratori e degli stessi Stati. Gli investitori possono citare in giudizio gli Stati, ma questi ultimi non possono citare in giudizio gli investitori.
Due clausole destano grande preoccupazione, poiché prevedono in pratica l’irreversibilità delle privatizzazioni e bloccano ogni tentativo di diminuire il livello di privatizzazione già raggiunto nel settore pubblico.
Il Ceta è un accordo fortemente sbilanciato verso le multinazionali e mette in pericolo non solo i consumatori, ma anche le piccole imprese, le regole di protezione ambientali e i diritti dei lavoratori.
E’ importante sapere come hanno votato i parlamentari europei italiani, perché chi ha approvato il CETA sa di peggiorare le condizioni dei lavoratori e dell’ambiente, e di cedere sovranità alle multinazionali.
Se le posizioni contrarie della Lega Nord, del M5S e della sinistra radicale sono quelle che ci si aspettava, è interessante vedere la spaccatura a metà del PD. Una parte guarda a destra, un’altra guarda a sinistra.
Se si vogliono vedere le ragioni profonde dell’esplosione del PD, qui c’è un buon punto di osservazione.
Hanno votato a favore del CETA
  • Fitto – Sernagiotto (Conservatori e riformisti). Comi – Cesa – Cicu – Dorfmann – Giardini – Mussolini – Maullu – La Via – Patriciello Pogliese – Salini (Popolari)
  • Bettini – Bonafe – Costa – DeMonte – Danti – Gualtieri – Kyenge – Pittella – Picierno – Toia – Zanonato – Zoffoli – Morgano – Sassoli (Partito Democratico)
  • Soru (Non iscritto)
Hanno votato contro il CETA
  • Adinolfi – Agea – Aiuto – Beghin – Borrelli – Castaldo – Corrao – D’Amato –  Evi – Tamburrano – Valli – Zullo – Zanni – Ferrara – Pedicini – Moi (Movimento 5 Stelle)
  • Bizzotto – Fontana – Salvi – Borghezio – Ciocca (Lega Nord)
  • Forenza – Maltese – Spinelli (Lista Tsipras/Altraeuropa)
  • Affronte (Verdi)
  • Benifei – Briano – Caputo – Cofferati – Chinnici – Cozzolino – Panzeri – Schlein – Giuffrida – Viotti (Partito Democratico)
Si sono astenuti sul CETA: Cirio (Popolari), Gentile (PD)
Assenti: Matera, Martuscello (Popolari). De Castro,  Mosca,  Bresso, Paolucci, Gasbarra (PD)

venerdì 17 febbraio 2017

Centrosinistra, Campo progressista, nuovo Ulivo, ... prima dimmi cosa vuoi poi con chi vai.

Michele Bonforte

Un'orgia politicista sta sommergendo quanti (pochi?) si interessano del destino della sinistra in Italia. L’implosione del PD di Renzi sta facendo esplodere ogni altro progetto politico collaterale. Il proscenio è occupato da protagonisti che si auto propongono come federatori, pontieri e veri unitari, che si sbizzarriscono nelle formule politiche. Chi recuperandole dalla discarica della storia, chi dal cestino della cronaca, chi inventando formule agricole. Il tutto nel totale vuoto di idee sul che fare, e nella bizzarra rimozione di quanto è successo non dico negli ultimi anni, ma negli ultimi mesi.
Il governo Renzi, sulla scia dei governi che lo hanno preceduto, ha applicato la solita politica liberista in economia: liberare le azienda da qualunque vincolo sull’uso del fattore lavoro per avviare la ripresa. Ci ha aggiunto l’uso di una nuova spesa pubblica in deficit (concessagli da una accondiscendente commissione europea) per acquisire il consenso alla costruzione della propria leadership sulle macerie della Costituzione.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti. In tre anni di governo Renzi può vantare all’attivo solo il provvedimento sulle unioni civili. Catastrofico il suo operato invece nella politica economica e sociale, con l’Italia ultima in Europa per PIL ed occupazione (persino dietro la Grecia!). Tonfo del grande disegno di modifica autoritaria della Costituzione, malgrado un anno di campagna elettorale con uso monopolistico della TV e della grande stampa.
Ma se Renzi ha perso sul fronte esterno, ha invece vinto su quello interno del PD. Lo ha trasformato in un suo strumento personale con una linea politica centrista, lontano mille miglia dalla storia della sinistra, e vicino all’eredità del primo Berlusconi. Se ne accorta la sinistra interna al PD, che ora è costretta ad una scissione per l’impraticabilità del campo interno al PD.
Diventa oggi evidente a tanti quello che è stato evidente per anni a pochi: la nascita del PD ha subordinato la sinistra all’egemonia politica del centro. E lo ha fatto non in anni recenti, ma fin dalla nascita dell’Ulivo, quando i governi di centrosinistra erano impegnati a smantellare tutte le difese del lavoro dalla globalizzazione, e a liberalizzare i movimenti dei capitali.
La sinistra deve oggi recuperare umiltà ed autonomia.
L’umiltà di capire che anche grazie ai propri errori si è creato uno spazio politico oggi riempito dal M5S che da rappresentanza alla delusione di parte rilevante di quello che era stato il suo elettorato. Uno spazio grande che oggi ha una sua cultura politica con cui occorre confrontarsi, e che è indispensabile per costruire l’alternativa nel nostro paese.
L’autonomia soprattutto dal centro renziano, che non è un possibile interlocutore ma un probabile avversario politico. La sinistra deve costruire una propria proposta per uscire dalla crisi sociale e economica di questo ultimo decennio.
Lo deve fare riprendendo con coraggio il proprio bagaglio di proposte, con decisione e tenacia: tobin tax e ripristino di controlli sui movimenti di capitali, tassa patrimoniale per ridurre le tasse sui redditi bassi e varare un piano di investimenti sulla manutenzione del territorio per creare lavoro, incentivi alla riduzione dell’orario di lavoro per dare uno sbocco alla disoccupazione tecnologica, piano marshall per il mediterraneo per dare una risposta alla fuga dalla guerra e dalla miseria di milioni di immigrati, rivoluzione ecologica per adattare il nostro sistema di vita alle conseguenze prossime del riscaldamento globale.
Per mettere mano ad un piano simile occorrerà toccare i privilegi fiscali dei ceti benestanti.
Da 40 anni la tutela del diritto all’evasione fiscale sta alla base di tutte le alleanze politiche che hanno avuto accesso al governo. Governi di destra e di sinistra, chi rivendicandolo chi no, hanno di fatto contribuito a spostare i redditi dal basso verso l’alto. Nel mercato con la riduzione delle retribuzioni e l’esplosione dei bonus dei manager, nella politica con le tasse sugli ultimi e gli sgravi e l’impunità fiscale sui primi.
Per realizzare questa svolta occorre una formula politica che non si basi sul consenso di quei 5-6 milioni di italiani benestanti che nella crisi ci hanno guadagnato, così come banchettavano ai tempi della spesa pubblica facile.
Una formula politica che escluda il “centro moderato” dall’area del governo. Che faccia perno su una sinistra rinvigorita e che guardi ai “radicali di centro”, come Bersani ha definito il M5S, per realizzare una rivoluzione in italia: quella di far pagare le tasse anche ai benestanti e di usare quei soldi per tirare fuori dai guai il paese, e non per alimentare le solite corruttele.

venerdì 3 febbraio 2017

La vecchia guardia ha nuove idee? Bersani, D’Alema e i conti con la storia.

Michele Bonforte 

Lo ammetto, mi piacciono le frasi zen-emiliane di Bersani e la sagacia pungente di D’Alema. La grande esposizione mediatica della coppia è una delle poche ragioni che mi tengono seduto davanti ai talk show. Ma appunto guardo i due come uomini di quel particolare spettacolo che è oggi la politica. E a personaggi dello spettacolo non si chiede coerenza ma brio.
Approcciare ai discorsi di D’Alema e Bersani partendo dalla coerenza tra quel che dicono oggi e quel che hanno fatto ieri, può privarci del gusto dell’ascolto, ed offuscare la comprensione di quello che pare essere una rinascita del pensiero.
Certo i due narrano della gravità della situazione attuale, partendo chi dalla situazione economica mondiale (Bersani) chi dalle novità a sinistra nella famiglia del socialismo europeo (D’Alema), senza dire nulla del ruolo che hanno avuto ambedue nel modo in cui la globalizzazione si è realizzata in Italia o nella parabola liberista della sinistra moderata europa.
Il punto apprezzabile è che i due vedono con occhiali molto simili ai miei l’attuale realtà sociale e politica, sdoganando un concetto che fino a pochi mesi fa sembrava isolato nella ridotta della sinistra radicale: senza un rinsavimento della sinistra dalla sbornia liberista, la rabbia sociale di chi sta subendo la crisi economica degli ultimi 10 anni potrebbe guardare alla nuova destra “sovranista”, mettendo a rischio l’assetto democratico del paese.
Il discorso, a voler essere seri, diventa fragile quando si passa dalla denuncia alla proposta.
Per tirar fuori il paese (e l’europa) dai guai in cui siamo, ci vorrebbe un nuovo piano Marshall. Un piano di investimenti pubblici sia indirizzato all’interno del paese, per dare lavoro al 40% di giovani che sono disoccupati. Sia indirizzato verso i paesi del mediterraneo, per arginare una migrazione che unendo fuga dalla guerra con la fuga dalla miseria e dalla desertificazione causate dalla riscaldamento globale, può assumere proporzioni mai viste, che nessun muro potrà arginare. A meno di essere disposti a perdere se stessi ed ad uccidere (e a farsi uccidere) per fermare masse di disperati.
Ma diversamente dal piano marshall originario, difficilmente sarà possibile finanziarlo in deficit. Da un lato l’euro ci lega le mani, dall’altro l’ultimo governo PD ha sciupato 30 miliardi di debito pubblico (la famosa flessibilità concessa dall’europa) per tentare di comprare il consenso al referendum costituzionale senza peraltro riuscirci.
Per mettere mano ad un piano simile occorrerà toccare i privilegi fiscali dei ceti benestanti, applicando una tassazione dei patrimoni e dei redditi che si ispiri ai pur moderati criteri della germania o di altri paesi del nord.
Ma qui casca l’asino e si torna alla politica. Da 40 anni la tutela del diritto all’evasione fiscale sta alla base di tutte le alleanze politiche che hanno avuto accesso al governo. Governi di destra e di sinistra, chi rivendicandolo chi no, hanno di fatto contribuito a spostare i redditi dal basso verso l’alto. Nel mercato con la riduzione delle retribuzioni e l’esplosione dei bonus dei manger, nella politica con le tasse sugli ultimi e gli sgravi e la tolleranza sui primi.
Per realizzare una svolta occorrerebbe una formula politica che non si basi sui voti di quei 5-6 milioni di italiani benestanti che nella crisi ci hanno guadagnato, così come banchettavano ai tempi della spesa pubblica facile. Una formula politica che escluda il “centro moderato” dall’area del governo. Che faccia perno su una sinistra rinvigorita e che guardi ai “radicali di centro”, come Bersani ha definito il M5S, per realizzare una rivoluzione in italia: quella di far pagare le tasse anche ai benestanti e di usare quei soldi per tirare fuori dai guai il paese.
Dubito che un tale immane compito politico possa essere affrontato da chi (Bersani) ha perso elezioni già vinte per inseguire Monti, o da chi cercava (D’Alema) a tutti i costi di far nascere un partito di centro con cui allearsi.
Sono tempi duri e nuovi. La vecchia guardia, se vuol dare un contributo fattivo, trovi idee nuove, e ci indichi gli errori da cui guardarci in futuro.