Michele Bonforte
Un'orgia politicista sta sommergendo quanti (pochi?) si interessano del destino della sinistra in Italia. L’implosione del PD di Renzi sta facendo esplodere ogni altro progetto politico collaterale. Il proscenio è occupato da protagonisti che si auto propongono come federatori, pontieri e veri unitari, che si sbizzarriscono nelle formule politiche. Chi recuperandole dalla discarica della storia, chi dal cestino della cronaca, chi inventando formule agricole. Il tutto nel totale vuoto di idee sul che fare, e nella bizzarra rimozione di quanto è successo non dico negli ultimi anni, ma negli ultimi mesi.
Il governo Renzi, sulla scia dei governi che lo hanno preceduto, ha applicato la solita politica liberista in economia: liberare le azienda da qualunque vincolo sull’uso del fattore lavoro per avviare la ripresa. Ci ha aggiunto l’uso di una nuova spesa pubblica in deficit (concessagli da una accondiscendente commissione europea) per acquisire il consenso alla costruzione della propria leadership sulle macerie della Costituzione.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti. In tre anni di governo Renzi può vantare all’attivo solo il provvedimento sulle unioni civili. Catastrofico il suo operato invece nella politica economica e sociale, con l’Italia ultima in Europa per PIL ed occupazione (persino dietro la Grecia!). Tonfo del grande disegno di modifica autoritaria della Costituzione, malgrado un anno di campagna elettorale con uso monopolistico della TV e della grande stampa.
Ma se Renzi ha perso sul fronte esterno, ha invece vinto su quello interno del PD. Lo ha trasformato in un suo strumento personale con una linea politica centrista, lontano mille miglia dalla storia della sinistra, e vicino all’eredità del primo Berlusconi. Se ne accorta la sinistra interna al PD, che ora è costretta ad una scissione per l’impraticabilità del campo interno al PD.
Diventa oggi evidente a tanti quello che è stato evidente per anni a pochi: la nascita del PD ha subordinato la sinistra all’egemonia politica del centro. E lo ha fatto non in anni recenti, ma fin dalla nascita dell’Ulivo, quando i governi di centrosinistra erano impegnati a smantellare tutte le difese del lavoro dalla globalizzazione, e a liberalizzare i movimenti dei capitali.
La sinistra deve oggi recuperare umiltà ed autonomia.
L’umiltà di capire che anche grazie ai propri errori si è creato uno spazio politico oggi riempito dal M5S che da rappresentanza alla delusione di parte rilevante di quello che era stato il suo elettorato. Uno spazio grande che oggi ha una sua cultura politica con cui occorre confrontarsi, e che è indispensabile per costruire l’alternativa nel nostro paese.
L’autonomia soprattutto dal centro renziano, che non è un possibile interlocutore ma un probabile avversario politico. La sinistra deve costruire una propria proposta per uscire dalla crisi sociale e economica di questo ultimo decennio.
Lo deve fare riprendendo con coraggio il proprio bagaglio di proposte, con decisione e tenacia: tobin tax e ripristino di controlli sui movimenti di capitali, tassa patrimoniale per ridurre le tasse sui redditi bassi e varare un piano di investimenti sulla manutenzione del territorio per creare lavoro, incentivi alla riduzione dell’orario di lavoro per dare uno sbocco alla disoccupazione tecnologica, piano marshall per il mediterraneo per dare una risposta alla fuga dalla guerra e dalla miseria di milioni di immigrati, rivoluzione ecologica per adattare il nostro sistema di vita alle conseguenze prossime del riscaldamento globale.
Per mettere mano ad un piano simile occorrerà toccare i privilegi fiscali dei ceti benestanti.
Da 40 anni la tutela del diritto all’evasione fiscale sta alla base di tutte le alleanze politiche che hanno avuto accesso al governo. Governi di destra e di sinistra, chi rivendicandolo chi no, hanno di fatto contribuito a spostare i redditi dal basso verso l’alto. Nel mercato con la riduzione delle retribuzioni e l’esplosione dei bonus dei manager, nella politica con le tasse sugli ultimi e gli sgravi e l’impunità fiscale sui primi.
Per realizzare questa svolta occorre una formula politica che non si basi sul consenso di quei 5-6 milioni di italiani benestanti che nella crisi ci hanno guadagnato, così come banchettavano ai tempi della spesa pubblica facile.
Una formula politica che escluda il “centro moderato” dall’area del governo. Che faccia perno su una sinistra rinvigorita e che guardi ai “radicali di centro”, come Bersani ha definito il M5S, per realizzare una rivoluzione in italia: quella di far pagare le tasse anche ai benestanti e di usare quei soldi per tirare fuori dai guai il paese, e non per alimentare le solite corruttele.