martedì 24 maggio 2016

Sinistra Italiana: interventi

ELOGIO DELLA STORIA Breve lettura gramsciana
intervento di Lorenzo Capitani

Carissimo Delio,
mi sento un po’ stanco e non posso scriverti molto. Tu scrivimi sempre e di tutto ciò che ti interessa nella scuola. Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi non può non piacerti più di ogni altra cosa. Ma è così? Ti abbraccio.

Antonio Gramsci
[Delio era nato a Mosca nel 1924, dopo due anni vissuto a Roma con i genitori, sarà cresciuto a Mosca dalla famiglia materna]


Pur nella sua brevità, è una delle più note e intense lettere di Antonio Gramsci al figlio Delio, alle prese con i primi passi della vita scolastica di ragazzo un po’ distratto e discontinuo nei suoi interessi.
Le Lettere dal carcere, dove Gramsci trascorre gli anni dal 1926 al 1937, rappresentano ancora oggi, per il lettore non distratto, uno straordinario deposito di idee e di sentimenti, una “chiave di lettura fondamentale” per avvicinare l’insieme poderoso delle analisi proposte dai Quaderni.
Nonostante il carattere a volte privato, familiare , sorvegliato per non incappare nelle mire del censore, emerge con pienezza un tratto fortemente distintivo del pensiero di Gramsci: nella sofferenza del carcere, il leader sconfitto si viene convincendo che la sconfitta stessa, così tragica e drammatica, sia stata favorita da uno scarto di cultura politica del proletariato e soprattutto da una debolezza cronica nella conoscenza profonda dei mali antichi della storia d’Italia, in particolare delle sue forze intellettuali.
La storia, la cultura, la politica: in questo orizzonte si profila la grandezza di Antonio Gramsci, emblema vivente della duplice complessità, quella della cultura e della politica, che egli delinea all’interno di una visione assai articolata, fatta di fattori storici e psicologici.
[Da questo punto di vista le lettere “appaiono come il momento di registrazione di un’evoluzione di pensiero lungo un faticoso cammino di riflessione politica … che vede Gramsci impegnato nel duplice fronte dell’analisi e dell’indicazione degli strumenti necessari per promuovere la trasformazione civile e sociale” (Salvo Mastellone)]
In questa sede solo una sottolineatura. Anche rileggendo, con attenzione, le parole rivolte da Gramsci al figlio Delio.
Al centro di tutto, anche nel richiamo, direi quasi nel rimprovero paterno, ben espresso da quello stesso punto interrogativo conclusivo, la storia, la storia vista nella sua concretezza, “letta e considerata al plurale, vale a dire come scenario che registra molteplici presenze e non esclusivamente animato da un secco dualismo tra una classe che domina ed una sottoposta che subisce” (Salvo Mastellone).

La storia, che non accetta semplificazioni e tanto meno la scorciatoia del fatalismo o del determinismo, alla ricerca di leggi generali, magari prodotto di un mal digerita metafisica idealistica. La storia di soggetti sociali che si incontrano e che si scontrano, senza esiti scontati.

Tuttavia la storia , come ci ha insegnato una delle menti critiche più acute e radicali del pensiero occidentale, può anche rappresentare una vera e propria malattia, prorio quando si distacca dal contatto con la vita, alimentando aridità e conservazione.

Infatti può dar luogo a false analogie tra passato e presente (monumentale- il passato come esempio e modello per l’azione presente), può degenerare in erudizione (antiquaria-conservare il passato come base solida e sicura per sorreggere i valori costitutivi della nostra civiltà, che viene via via mummificata), può prendere le forme di una storia critica ( critica- contro le consuetudini cristallizzate in cui il passato paralizza il presente).

Solo quest’ultimo atteggiamento sembra poter contribuire a liberare gli uomini dagli eccessi dello storicismo deteriore, teso a giustificare il nostro come il migliore dei modi possibili.

Ma Nietzsche ci avverte che la vera possibilità di aprire una strada nuova sta nella ricerca di un equilibrio, sempre precario, tra queste varie forme di approccio alla dimensione storica. Il “monumento”, l’”archivio”, l’”esercizio critico” : come trovare la più fertile combinazione?

E Gramsci riprende, una lettura ambiziosa e sofferta, in condizioni dolorose e tra non poche diffidenze, della storicità intesa come condizione specifica dell’umanità, fatta di conflitti e di trasformazioni, che vanno lette, interpretate, vissute. Non è solo per ragioni di censura, del resto, che al pensiero di Marx egli alluda sempre con l’espressione di filosofia della prassi.

Si è dimenticato in una espressione molto comune [materialismo storico] che occorreva posare l’accento sul secondo termine “storico”e non sul primo di origine metafisica. La filosofia della prassi è lo “storicismo” assoluto, la mondanizzazione e terrestrità assoluta del pensiero, un umanesimo assoluto della storia. In questa linea è da scavare il filone della nuova concezione del mondo. (Q. 1437, Gerratana)

Nel momento in cui ci interroghiamo sulla crisi del nostro mondo segnato dalla egemonia neo- liberale e liberista, che ci parla ancora una volta di un unico modello di società possibile, nonostante le sue sempre più acute contraddizioni, per non parlare degli straordinari processi di disuguaglianza che produce, non mi sembra inutile l’eco di parole come queste, che appartengono alla nostra migliore e più sofferta tradizione.

Sempre naturalmente che siamo in grado di renderle vive e non di relegarle nei monumenti o nelle collezioni. Del resto, proprio la cronaca di queste ore ci dice quanto la storia possa essere fonte di manipolazione. Perfino Enrico Berlinguer, una coscienza critica, drammatica e interrogativa per la vicenda della sinistra e dei suoi limiti, che ha speso le sue ultime energie per gettare l’allarme sui rischi di una crisi della democrazia italiana, ancora tanto fragile, viene oggi arruolato “dall’illiberale piglio governativo in materia di riforma costituzionale”. Elogio della storia, certo, non dello storicismo strumento di giustificazione dell’esistente. Con le armi della critica e della libertà di pensiero.

Qui si gioca la credibilità del nuovo cammino che intendiamo avviare, non senza dubbi e fragilità. E che mi auguro abbia i caratteri della massima apertura e disponibilità con le voci più diverse e più sincere.

Ci sia di aiuto una cultura politica più solida e più rispettosa di coloro che hanno saputo guardare in profondità.
Anche con leggerezza. Come quella manifestata da Antonio Gramsci, in un piccolo passaggio divertito, dedicato ai tanti cantori della contemporaneità.

Quante volte nel discorso pubblico sentiamo ancora oggi rivolgerci il rimprovero di non essere “contemporanei”, cioè al passo con i tempi?

Ma in ogni tempo c’è stato un passato e una contemporaneità e l’essere “contemporaneo” è un titolo buono solo per le barzellette. (Si racconta l’aneddoto di un borghesuccio francese che nel suo biglietto da visita aveva fatto stampare appunto “contemporaneo”: credeva di non essere nulla e un giorno scoperse di essere qualcosa invece, proprio un “contemporaneo”). (Q. 1417, Gerratana)

Lorenzo Capitani

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