Michele Bonforte
La diffusione della criminalità organizzata ha delle pesanti conseguenze per la vita della comunità che abita in quel territorio. Quando non insinua la paura, di certo distorce la vita economica, corrode le relazioni sociali, inquina la vita quotidiana e la allontana dalle istituzioni democratiche. Ecco perché è impossibile non accorgersi di quanto stava avvenendo. Ed ecco perché la politica se ne deve occupare prima che inizi il lavoro dei magistrati e della polizia, che intervengono ad accertare reati dopo che gran parte dei danni sono già accaduti.
Avere la consapevolezza che la ‘ndrangheta a Reggio Emilia c’è stata, e c’è tuttora, significa accettare che vi è stato una corruzione del corpo vivo della nostra comunità, e che occorre porvi rimedio prima che i danni siano ben maggiori.
Significa essere consapevoli che determinate decisioni, a prescindere che siano più o meno giuste, creano le condizioni favorevoli per l’ingresso del crimine organizzato.
Le grandi opere (come la TAV) e l’accento posto sull’espansione edilizia negli anni passati hanno realizzato queste condizioni. Anche se come sinistra siamo stati fortemente critici di quella stagione, non pensiamo affatto che chi era a favore fosse un sostenitore della criminalità organizzata. Ma aver ignorato quanti segnalavano che quelle erano occasioni ghiotte per il crimine organizzato, perché si diceva, Reggio Emilia aveva gli anticorpi, è stato un errore. E nel campo della sicurezza l’errore peggiore è quello di sentirsi immotivatamente sicuri, lasciando campo aperto ed inosservato all'azione dei “cattivi”.
La criminalità organizzata prospera se vi sono determinate condizioni.
Serve un fiorente settore dell’economia criminale da cui ricavare ingenti rimesse (droga, prostituzione, racket, usura, scommesse). Questo settore a Reggio Emilia c’è, ed è stata finora insufficiente sia l’azione di repressione, che la comprensione che occorre sottrarre al crimine organizzato questi mercati, legalizzando droghe e prostituzione. Chi finora si è opposto a questi provvedimenti ha di fatto dato alla criminalità organizzata la condizione ideale per insediarsi.
Serve poi un modo per investire e ripulire questi proventi. A Reggio Emilia l’edilizia facile è stata per 20 anni la lavatrice dei fondi neri della criminalità. Chi ha avviato questa stagione del mattone facile, proprio mentre a livello nazionale si allentavano i controlli sui cantieri e sugli appalti, ha creato il terreno di coltura ideale per l’espansione della ‘ndrangheta. Decine di professionisti ed imprenditori reggiani sono stati reclutati per costruire l’impalcatura legale di questo sistema, la superficie di contatto “presentabile” fra il tumore criminale e l’economica locale.
Ma la differenza fra una banda di criminali pura e semplice e il fenomeno mafioso come lo conosciamo in Italia, è nell'insediamento sociale, nell'esistenza di un’area grigia che non commette necessariamente reati, ma che ricava indirettamente un beneficio e può esprimere sostegno e consenso. Una parte, anche se piccola, della popolazione di provenienza cutrese, è stata interessata. Migliaia di persone e centinaia di piccole imprese sono state coinvolte, più o meno inconsapevolmente, nella catena di estrazione di soldi dall'economia criminale e di riciclaggio ed investimento nell’attività economica legale. La presenza di cittadini che provengono da Cutro data da molti decenni, ma la relazione fra queste persone ed il resto della città è stata subito incanalata in un rapporto fra entità distinte e diverse, sia per l’atteggiamento dei reggiani che degli stessi cutresi.
In un gioco degli specchi si è così favorita la crescita di una subcultura che si vede e viene vista come una specie di etnia, con una sua antropologia “altra”, una comunità separata ed incistata dentro quella reggiana. Tutto ciò ha favorito la presa della criminalità organizzata sulla parte più fragile di questa popolazione.
L’errore più grande della politica reggiana è stata proprio quello della etnicizzazione della questione cutrese, del farne un bacino di consenso separato e riservato a rappresentanti di comunità.
A colpire i crimini, dopo anni di sottovalutazioni, ci penserà finalmente la magistratura. Alla politica rimane il compito non di commentare cosa fanno i magistrati o discettare quanto sia grave il coinvolgimento penale dell’uno o dell’altro. Alla politica rimane da fare il suo mestiere: creare le condizioni perché tutto ciò non si ripeta. E dunque occorre discutere di come legalizzare il mercato della droga e del sesso, di come rendere preventivo il controllo delle imprese che agiscono nelle opere pubbliche, nei subappalti e nell'edilizia, di come si sostiene chi viene risucchiato nel giro dell’usura, di come circoscrivere l’area del gioco d’azzardo, ecc.
Per queste cose ci vorrà tempo, ci vorrà sopratutto una azione decisa del governo nazionale che finora pare disinteressato alla materia.
Ma da subito possiamo smettere di trattare i cittadini reggiani che provengono da Cutro come figli di un dio minore. Non servono le processioni a Cutro dei politici locali a dare spettacolo spesso senza capire quali messaggi stanno veicolando.
Serve invece parlare con i cittadini reggiani, ivi inclusi quelli di origine cutrese, dei problemi che vivono a Reggio Emilia.
Possibilmente facendolo a Reggio Emilia.
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