Michele Bonforte
La legge di stabilità (ex finanziaria) è ormai consegnata al dibattito pubblico. Ci sono provvedimenti simbolici, e quelli di dura sostanza economica e sociale. Ad oggi l’attenzione si è concentrata maggiormente sull’elevamento a 3.000 euro dei tetto per i pagamenti in contanti. Questa misura non produce infatti rilevanti effetti economici, ma ha un alto valore simbolico. Renzi dice a tutti: fate affari, anche evadendo, purché riprenda a girare l’economia. Una misura politica con cui si chiama a raccolta l’esercito degli evasori per sostenere il governo e per esserne legittimati politicamente. Una misura scandalosa, che sembra però oscurare le parti della legge di stabilità ispirate ad un feroce attacco ai ceti più deboli.
La sanità è fra queste.
Dopo tanto parlare si rinuncia alla spending review, cioè all’idea che la spesa possa essere risanata intervenendo sulle singole voci che la determinano, e si torna ai tagli lineari che colpiscono soprattutto le regioni più virtuose.
Il Fondo sanitario nazionale viene tagliato rispetto a quanto pattuito con il “patto per la salute” con le regioni di almeno 4 miliardi. L’Emilia Romagna, che sino ad ora è riuscita a stare nella parità di bilancio, rischia ora di andare in disavanzo o di dover tagliare i servizi essenziali resi ai cittadini.
Ma le regioni rischiano di dover ridurre da un’altro versante la spesa sanitaria. Difatti la legge di stabilità prevede il “Concorso delle Regioni alla finanza pubblica” con un taglio di 8 mld per il 2016, 4 mld per il 2017 e 5,5 mld sia per il 2018 che per il 2019. Le Regioni cioè devono risparmiare decidendo loro come e dove, ed essendo la sanità la loro principale voce di spesa, è facile prevedere dove si andrà a parare.
Non bastassero i tagli imposti alle regioni, si prevedono meccanismi di taglio della spesa dal “basso”, cioè da parte delle ASL, con l’imposizione dei “prezzi base”. I “prezzi base” riguardano farmaci e dispositivi medici, e in genere sono i prezzi di riferimento più bassi, e non il loro valore mediano. Per risparmiare si obbligano gli operatori ad impiegare per la cura delle malattie non i mezzi più appropriati al malato ma quelli meno costosi. E’ la famosa favola della siringa che costa diversamente da regione a regione. Ma come ben sa chi fa la spesa al supermercato, dello stesso prodotto vi sono quelli di fascia alta, media, ed il “primo prezzo”. Provate con le mozzarelle e sicuramente troverete una bella differenza di qualità. Ora le medicine ed i dispositivi medici non hanno differenze di sapore, ma probabilmente differente capacità di cura.
Last but not least, si prevede l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (Lea). E’ lecito sospettare che ciò avverrà non adeguandoli a moderni standard sulla salute dei cittadini (a quando le cure odontoiatriche nel SSN per tutti?), ma al ribasso, come nel caso del recente decreto sull’appropriatezza che ha limitato di fatto le prestazioni diagnostiche gratuite. Queste prestazioni sarebbero interamente a carico del cittadino.
Il diritto alla salute esce profondamente intaccato da questa manovra finanziaria, come mai era stato fatto in passato da governi di destra o di sinistra che fossero.
Occorre mettere in campo una iniziativa di contrasto che coinvolga tutti, associazioni professionali, sindacati, utenti.
Ci vorrebbe uno sciopero generale a difesa del diritto alla salute.
Se non ora, quando?
La sanità è fra queste.
Dopo tanto parlare si rinuncia alla spending review, cioè all’idea che la spesa possa essere risanata intervenendo sulle singole voci che la determinano, e si torna ai tagli lineari che colpiscono soprattutto le regioni più virtuose.
Il Fondo sanitario nazionale viene tagliato rispetto a quanto pattuito con il “patto per la salute” con le regioni di almeno 4 miliardi. L’Emilia Romagna, che sino ad ora è riuscita a stare nella parità di bilancio, rischia ora di andare in disavanzo o di dover tagliare i servizi essenziali resi ai cittadini.
Ma le regioni rischiano di dover ridurre da un’altro versante la spesa sanitaria. Difatti la legge di stabilità prevede il “Concorso delle Regioni alla finanza pubblica” con un taglio di 8 mld per il 2016, 4 mld per il 2017 e 5,5 mld sia per il 2018 che per il 2019. Le Regioni cioè devono risparmiare decidendo loro come e dove, ed essendo la sanità la loro principale voce di spesa, è facile prevedere dove si andrà a parare.
Non bastassero i tagli imposti alle regioni, si prevedono meccanismi di taglio della spesa dal “basso”, cioè da parte delle ASL, con l’imposizione dei “prezzi base”. I “prezzi base” riguardano farmaci e dispositivi medici, e in genere sono i prezzi di riferimento più bassi, e non il loro valore mediano. Per risparmiare si obbligano gli operatori ad impiegare per la cura delle malattie non i mezzi più appropriati al malato ma quelli meno costosi. E’ la famosa favola della siringa che costa diversamente da regione a regione. Ma come ben sa chi fa la spesa al supermercato, dello stesso prodotto vi sono quelli di fascia alta, media, ed il “primo prezzo”. Provate con le mozzarelle e sicuramente troverete una bella differenza di qualità. Ora le medicine ed i dispositivi medici non hanno differenze di sapore, ma probabilmente differente capacità di cura.
Last but not least, si prevede l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (Lea). E’ lecito sospettare che ciò avverrà non adeguandoli a moderni standard sulla salute dei cittadini (a quando le cure odontoiatriche nel SSN per tutti?), ma al ribasso, come nel caso del recente decreto sull’appropriatezza che ha limitato di fatto le prestazioni diagnostiche gratuite. Queste prestazioni sarebbero interamente a carico del cittadino.
Il diritto alla salute esce profondamente intaccato da questa manovra finanziaria, come mai era stato fatto in passato da governi di destra o di sinistra che fossero.
Occorre mettere in campo una iniziativa di contrasto che coinvolga tutti, associazioni professionali, sindacati, utenti.
Ci vorrebbe uno sciopero generale a difesa del diritto alla salute.
Se non ora, quando?
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