venerdì 5 ottobre 2012

Primarie e concorsi di bellezza


L’iniziativa di 30 deputati PD, capeggiati da Fioroni, critici verso la candidatura di Vendola alle primarie, pone un problema reale, anche se con modalità decisamente rudi. Una coalizione che si candidi a governare il paese deve formulare un perimetro programmatico che tenga insieme tutti, e assicuri una navigazione tranquilla al futuro governo. E’ questo un problema che si pone sia con le coalizioni fra partiti distinti, che dentro partiti, come il PD, che sembrano contenitori di diverse tendenze.
Fioroni tende a risolvere il problema con un sillogismo inaccettabile: il PD ha un proprio programma, ed esso è di fatto il programma di colazione; chi lo condivide fa parte della colazione e dunque si può candidare alle primarie.
Noto come tale posizione non sia quella di Renzi (e di quanti lo sostengono nel PD) che dice “il programma si fa nelle primarie, chi vince propone il suo programma e il suo schema di alleanze”. Per cui secondo Renzi si può partecipare a primarie di coalizione con chi non ti vuole in coalizione.

C’è già da farsi venire il mal di testa.
Bersani propone un’altra variante; la coalizione condivide un programma minimo, i candidati propongono anche diverse letture programmatiche, ma dopo chi vince vincola tutti ad un programma comune. E se poi vi saranno divergenze su temi sensibili, tutto si risolve convocando l’assemblea dei parlamentari della coalizione e decidendo anche con un voto.
E se il mal di testa non vi era venuto sinora, adesso è assicurato.
Avessero dato ascolto a Vendola, che almeno da un anno chiede l’indicazione di un percorso per le primarie per la costruzione del programma su basi ampiamente democratiche, oggi non saremmo a questo punto: candidati che corrono, senza regole e date certe.
Ma siccome si fa con quel che c’è, meglio primarie dell’ultimo minuto, che decisioni calate dall’alto. Meglio che discutano e decidano milioni di cittadini del centrosinistra, che poche decine di dirigenti di partito.
Chiederei solo a Bersani (e Fioroni) di garantire agli elettori di centrosinistra gli stessi diritti democratici previsti dallo statuto del PD per i propri iscritti. E cioè che sulle grandi questioni su cui vi possono essere diverse posizioni dentro la coalizione, si preveda il referendum fra degli elettori. Come le primarie, ma in questo caso non sui nomi ma su singoli temi.
Un esempio per tutti. Cosa sarebbe successo se su acqua bene comune e nucleare si fosse deciso in una assemblea di parlamentari, o si fosse assunto il punto di vista che il PD aveva in quel momento?
Non vi sarebbe stata una fondamentale vittoria e una maturazione del senso comune su questioni che fanno oggi la differenza fra la cultura della sinistra e quella della destra.
Per questo oggi i referendum sul lavoro sono uno strumento a disposizione di tutto il centrosinistra per discutere con il proprio popolo un tema centrale nella crisi economica e sociale che stiamo attraversando. Più che demonizzare le posizioni altrui bisognerebbe avere il coraggio delle proprie idee, sottoponendole al vaglio di una discussione e di una decisione democratica.
Perché se c’è una cosa che la crisi della politica e dei partiti ci manda a dire è che i cittadini vogliono contare e decidere in prima persona, ampliando la sfera della democrazia partecipata e riducendo quella della democrazia delegata.
E le primarie, come i referendum, sono alcuni degli strumenti a disposizione dei cittadini per farlo.


Michele Bonforte