Tutti gli anni
le Nazioni Unite celebrano dal 24 al 30 ottobre la "Settimana
per il disarmo". La giornata di avvio della Settimana non è
casuale ma è il giorno in cui cade l'anniversario della fondazione
delle stesse Nazioni Unite, il 24
ottobre 1945. La
"Settimana per il disarmo" è stata istituita dal'Assemblea
Generale nel 1978,
con
un documento
nel quale si richiama l'attenzione di tutti gli Stati sull'estrema
pericolosità della corsa agli armamenti e
si incoraggiano a compiere gli sforzi per porvi fine e a
sensibilizzare l'opinione pubblica sull'urgenza del disarmo. Oggi la
corsa agli armamenti è di gran lunga più grave e accelerata del
1978 e le spese militari globali hanno raggiunto la somma astronomica
di oltre 1.700 miliardi di dollari annui – cifra mai raggiunta, in
termini reali, nella storia dell’umanità – che corrisponde a più
di 4,6 milardi di dollari al giorno, "somma che da sola è quasi
il doppio del bilancio delle Nazioni Unite di un anno”, ha
denunciato, inascoltato, Ban Ki Moon Segretario generale dell'ONU lo
scorso 30 agosto. Il disarmo oggi è, dunque, ancora più urgente di
quando la Settimana fu istituita ed essa non può esaurirsi in mero
pretesto per dichiarazioni retoriche, ma – se vogliamo davvero
costruire la pace - deve diventare la settimana dell'impegno di tutti
per il disarmo.
I governi nel
loro insieme non hanno mai speso tanto per la guerra, neanche nel
periodo della cosiddetta "corsa agli armamenti". Nel
decennio 2002-2011 le spese militari sono anzi aumentate di oltre il
50 % ed hanno ampiamente superato il picco raggiunto durante la
"guerra fredda". Gli armamenti sono una tragedia in atto
sia quando vengono usati, perché producono guerre, morte e
distruzione, sia quando vengono accumulati perché sottraggono
preziose risorse pubbliche alle spese civili. Cioè alla vera
sicurezza. Lo afferma con autorevolezza anche il Segretaio generale
delle Nazioni Unite:
"Gravi problemi di
sicurezza possono sorgere a causa di tendenze demografiche, povertà
cronica, disuguaglianza economica, degrado ambientale, pandemie,
crimine organizzato, repressione e altri processi che nessuno Stato
può controllare da solo. Le armi non sono in grado di risolvere tali
problemi"(30 agosto 2012).
Il riarmo è sempre una sciagura per
l'umanità, ma lo è in maniera estremamente più grave, quando
avviene nel pieno di una gravissima crisi economica come l'attuale.
Si veda il caso della Grecia dove è previsto anche per il 2012 un
aumento del 18 % delle spese militari (che ormai rappresentano il 3 %
del PIL) rispetto all'anno precedente, mentre 400.000 bambini in età
scolare hanno problemi di malnutrizione (dati UNICEF), senza alcuno
scandalo delle autorità monetarie europee che invece chiedono
ulteriori e crescenti tagli ai salari, alle pensioni, alla sanità,
al lavoro. Eppure, il tema del riarmo in atto è competamente rimosso
dalle agende politiche nazionali e internazionali. Gli stessi appelli
del Segretario generale delle Nazioni Unite - quando sostiene che
"tali armi sono inutili contro le minacce odierne alla pace e
alla sicurezza internazionali. La loro stessa esistenza è
destabilizzante: più sono pubblicizzate come indispensabili,
maggiori sono gli incentivi alla loro proliferazione"(30 agosto
2012) - cadono nel vuoto, nel silenzio dei mass media,
nell'indifferenza dei governi.
Altrettanto rimosso è il tema speculare del
disarmo. Mentre durante il confronto armato Est-Ovest la politica,
gli intellettuali, i giornali avevano all'ordine del giorno delle
proprie agende la preoccupazione attiva per il disarmo; oggi, di
fronte alle molte guerre in atto ed in preparazione, e seduti sulla
più grande polveriera globale mai accumulata – convenzionale e
nucleare - e della quale i conflitti in corso sono pericolosissime
micce accese, nessuno si preoccupa più dell'urgenza del disarmo.
Eppure, anche in Italia - come in Grecia - a fronte degli
innumerevoli tagli alla spesa pubblica, civile e sociale, l’unico
settore di spesa immune alle forbici continua ad essere quello,
incivile e asociale, delle spese militari. Senza che nessun governo
si impegni seriamentre a ridurle per destinare le cifre risparmiate
alla difesa della Patria dalle vere minacce in atto: disoccupazione,
povertà, mafie, degrado ambientale...Anzi, lo stesso Ministero della
Difesa - in un palese quanto taciuto conflitto d’interessi - è
attualmente nelle mani di un Ammiraglio della Marina Militare che
difende, costi quel che costi, la scellerata decisione dell’acquisto
dei caccia F-35. I cacciabombardieri d’attacco JSF (Joint
Strike Fighter) F-35, invisibili ai radar e capaci di trasportare
testate nucleari, sono il più grande progetto di riarmo offensivo
della nostra storia. Il cui costo reale – maldestramente tenuto
nascosto dai militari anche al Parlamento italiano – pur con la
riduzione da 131 a 90 esemplari si aggira intorno ai 15 miliardi di
euro, che si aggiungono agli annuali 23 miliardi di euro per le spese
militari “ordinarie”. Con l’equivalente di uno solo di questi
mostri si potrebbero mettere in sicurezza 500 scuole, o con
l'eqiovalente del costo di sette ali si potrebbero ricostruire gli
ospedali di Mirandola, Carpi e Finale Emilia colpiti dal
terremoto...L’ottusa ostinazione all’acquisto da parte del
Governo, sordo a tutti gli appelli del popolo della pace, è dunque
immorale, antieconomica e anticostituzionale.
Come se non bastasse questo dispendio di risorse pubbliche per la guerra, l’Italia è anche campione della produzione e del commercio delle armi – tra i primi dieci paesi al mondo - attraverso la multinazionale Finmeccanica, controllata al Governo italiano che ne è l’azionista di maggioranza. Ciò significa che mentre il nostro Paese si riarma pesantemente, e mentre da vent’anni è impegnato continuativamente in guerre in in giro per i mondo - nel pieno ripudio della Costituzione formale (ma in ossequo a quella tacitamente riscritta) - le armi italiane, pesanti e leggere, sparano e uccidono, ogni giorno, in tutte le guerre del Pianeta, in nome e per conto del popolo italiano.
Troppe volte nella storia dell’umanità abbiamo visto le crisi economiche internazionali sfociare in guerre regionali o mondiali. L’attuale fase di riarmo non prelude a niente di buono. La fame, la siccità, la desertificazione che avanzano in molte aree del Pianeta preparano gravi scenari di crisi. L’unica risposta possibile è quella indicata dal presidente Pertini: “svuotare gli arsenali strumenti di morte e colmare i granai strumenti di vita”. Cioè il rovesciamento della vecchia massima “se vuoi la pace prepara la guerra” in quella nuova e nonviolenta, proposta da Aldo Capitini, “se vuoi la pace prepra la pace”.
Pasquale Pugliese