La sentenza della Corte Costituzionale ripristina lo stato di diritto. Il pronunciamento popolare avvenuto con i referendum sull'acqua pubblica ha posto un punto fermo, che non è aggirabile con decreti del governo. Non lo poteva fare il governo Berlusconi, non lo dovrà fare quello attuale, che invece sta cercando di limitare il ricorso a società in house per la gestione dei servizi locali. Parte del decreto legge sulla spending review' è dunque platealmente incostituzionale. Per questo chiediamo che il Parlamento ne prenda atto, cancellando l'art 4 che ha come unico effetto l'espropriazione delle comunità locali dal diritto di decidere come gestire l'acqua e gli servizi locali, la disoccupazione per migliaia e migliaia di lavoratori delle societa' in house.
Il senso del referendum, al di là dei tecnicismi, è stato quello di contrapporsi ad una tendenza più che decennale di privatizzazione dei servizi locali, e fra questi del ciclo idrico. I cittadini ad una domanda politica hanno risposto con un mandato politico: l'acqua andava gestita al di fuori della logica di mercato, dentro quella della garanzia di accesso di tutti ad un bene comune e vitale.
Il mandato ricevuto è questo, ed i tentativi molteplici di "girarci intorno" o con l'ossequio solo formale al quesito referendario, o con un vera e propria opera di svuotamento normativo, altro non sono che operazioni di sovversione istituzionale contro la volontà popolare.
Per venire al nostro territorio, abbiamo salutato con favore l'istituzione del "Forum sull'acqua" da parte della Provincia con esperti provenienti da diverse esperienze ed ispirazioni. Ma pensiamo che il forum debba essere chiamato ad indicare quale strada giuridica e infrastruttura istituzionale e societaria sia la più adeguata a realizzare la gestione pubblica del ciclo idrico.
Va separata nettamente la gestione dei servizi che originano dal territorio, come quello della gestione dei rifiuti e del ciclo idrico, da quelli distribuiti sul territorio, come quelli del gas. Anche con un approccio creativo alla questione societaria, prevedendo un ruolo attivo non solo degli enti locali, ma anche degli utenti e delle associazioni.
Se poi si analizza la questione all'interno della discussione su una possibile creazione di una multiutility del nord che vada oltre l'attuale Iren, allora la strada dello scorporo da possibile diventa indispensabile.
Rimane tutta la perplessità sui motivi di fondo che dovrebbero portare a questa multiutility del nord. Già la nascita di IREN non si è tradotta in quel successo sperato, ma in una mezza catastrofe. Il gigantismo non realizza economie di scala, anzi crea costi con la creazione di strutture direttive sempre più lunghe e dispendiose. E invece appare certo l'allontanamento della capacità decisionale dai territori.
Tutte cose queste ampiamente dette al tempo dell'istituzione di IREN, e derise dai proponenti (fra cui la presidente della provincia e gran parte dei sindaci) come vecchie ed inconsistenti rispetto alle prospettive luminose dell'andata in borsa.
L'unico argomento con qualche fondamento, pare essere quello del far massa nell'acquisto di gas sul mercato internazionale, o di avere politiche attive sulla promozione dell'energia verde. Ma in ambedue i casi occorrerebbero iniziative anche di scala maggiore, direi nazionale, che passino da una ridefinizione dei compiti e della mission di ENI ed ENEL.
21/7/2012
Bonforte Michele