Le guerre locali e i terrorismi di questa nuova guerra mondiale non derivano dal nulla, non sono frutto della cattiva sorte, ma l’esito nefasto di tre decenni di interventi militari occidentali in medioriente e nella sponda sud del Mediterraneo. E’ una nemesi storica: ciò che è stato spacciato per stabilizzatrici “missioni di pace” – ma contraddittoriamente condotte con mezzi di guerra – ritorna sotto forma di fanatismo pseudo religioso, di scontri tra bande criminali, di esodo biblico di profughi…ossia con il massimo di instabilià possibile…E, come se non bastasse, i produttori internazionali di armi negli ultimi anni hanno moltiplicato i profitti dell’industria bellica, traendo sommo guadagno dal moltiplicarsi dei teatri di guerra.
Questa mappa proposta dal SIPRI (l’autorevole Istituto di ricerche per la pace di Stoccolma) indica i venti Paesi maggiormente esportatori di armi negli ultimi cinque anni. L’Europa è un fitto di spilli rossi che indicano – oltre a USA, Russia e Cina – i maggiori profitti nazionali di chi guadagna spacciando armi che sparano sulle vite delle persone e lacerano i popoli: Germania, Francia, Regno Unito, Spagna, Italia, ottava nell’ordine. Sono esattamente i Paesi sulle cui frontiere premono i migranti, quando non finiscono come mangimi per i pesci del Mediterraneo o impigliati nei fili spinati dei muri dell’Unione Europea.
Per questo – al di là degli slanci di generosità che aprono temporaneamente qualche frontiera, per andare incontro all’emotività dell’opinione pubblica – quello che sta avvenendo ai confini dell’Europa è un vero e proprio crimine contro l’umanità. Il bambino arenato sulla spiaggia della Turchia – la cui immagine ha suscitato un’ondata di indignazione internazionale – non è solo vittima di assurde e criminali politiche dell’immigrazione ma è, tecnicamente, il prodotto di scarto dell’industria bellica mondiale che – in questo primo quindicennio del secolo – ha raggiunto profitti mai visti nella storia dell’umanità. Per questo, respingere chi scappa dalle conseguenze delle nostre guerre e dalle nostre armi è un crimine contro l’umanità. Per questo, se non si affrontano in modo radicalmente differente i conflitti internazionali, rispetto a come si è fatto fino ad ora, approntando strumenti di intervento civili, non armati e nonviolenti – anziché strumenti incivili, armati e violenti – da questo circolo vizioso guerre-terrorismi-profughi non se ne potrà uscire.
L’11 settembre è anche l’anniversario del lancio della prima lotta nonviolenta della storia recente, quando un giovane avvocato indiano, laureato a Londra ed immigrato in Sudafrica, propose dal Teatro imperiale di Johannesburgh, nel 1906, di rispondere alla violenza della segregazione razziale – anche nei confronti dei molti immigrati indiani – con gli strumenti della nonviolenza. E delle marce. E forse non è un caso se lo scorso 10 settembre – il giorno prima delle marce “delle donne e degli uomini scalzi” – la Campagna “Un’altra difesa è possibile” – la cui legge popolare per i corpi civili di pace e la difesa civile, non armata e nonviolenta è stata consegnata lo scorso maggio al Parlamento – ha incontrato la presidente della Camera, Laura Boldrini per chiedere che la discussione in Aula proceda celermente. La nonviolenza è in cammino, nonostante tutto. Adesso tocca alle parlamentari ed ai parlamentari – alcuni dei quali a Reggio Emilia hanno anche marciato a piedi scalzi – fare i loro necessari passi di pace nelle Istituzioni.
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