Michele Bonforte
La crisi che dura ormai da 6 anni non è finita, ed anzi si avvita. Renzi sembra dare la colpa “a chi rema contro”, che poi lui chiama gufi. Ancora una volta la situazione di difficoltà economica non sarebbe reale ma percepita, e dunque i pessimisti la aggravano, e gli ottimisti la migliorano. Peccato che tanto ottimismo sia buono a raccogliere consenso, ma si dimostri incapace di incidere sui fattori reali che stanno alla base delle difficoltà dell’economia.
Renzi sa bene che occorrerebbe una svolta nella politica economica europea che, superando le politiche di austerity, crei lavoro buono e ben remunerato con un piano di investimenti europei e nazionali. Ma la sua accettazione del quadro delle compatibilità della Merkel lo porta inesorabilmente dal piano della realtà a quello della finzione e della sceneggiata. Dire che la ripresa economica derivi dalle riforme costituzionali, o dalla legge elettorale ipermaggioritaria è come dire che la pioggia dipende dalla danza dello sciamano.
La crisi ha la sua principale causa nella diseguaglianza sociale.
Per anni i ricchi si sono ulteriormente arricchiti, ed i poveri ulteriormente impoveriti. Il lavoro da anni viene remunerato sempre meno, mentre le attività speculative sono premiate.
Per uscire dalla crisi occorre invertire questa tendenza. Più lavoro, meglio retribuito, meno evasione fiscale per i ricchi, più welfare per i poveri. Per sapere se si sta operando contro la crisi e le sue cause bisogna guardare le conseguenze dei diversi provvedimenti sull’acuirsi od il ridursi della diseguaglianza sociale.
Spiace constatare che i provvedimenti concreti del governo Renzi (ma anche di Monti e Letta) aggravano la crisi perché aumentano la diseguaglianza. Gli economisti usano un indice che la misura: il coefficiente di Gini. A questo guarderei e non solo al PIL che si riduce.
Renzi dirà che siamo gufi. Allora anche papa Francesco va ascritto ai gufi, perché da mesi ripete che è la bramosia del denaro di pochi che causa la crisi per tutti. Il suo è un discorso morale, che ci tocca e che condividiamo.
Ma c’è anche un aspetto politico: la diseguaglianza non è solo ingiusta, è anche inefficiente.
La diseguaglianza impedisce ai lavoratori di acquistare beni e servizi sul mercato interno deprimendo così l’economia e riducendo i posti di lavoro. La diseguaglianza accumula troppi soldi in mano ai ricchi, che li impiegano prevalentemente nella finanziaria, alimentando le bolle speculative che poi gettano sul lastrico intere nazioni.
La diseguaglianza impedisce la circolazione delle competenze e la migliore allocazione delle risorse umane, perché induce ad una compartimentazione a caste del mercato del lavoro, dell’accesso all’alta formazione. Se sei figlio della casta dei ricchi sarai destinato a comandare anche se non ne hai alcuna capacità o attitudine, se sei un paria allora entrerai nell’inferno del lavoro precario e sottopagato, anche se magari avresti le potenzialità per inventare e scoprire nuovi mondi nella scienza o nella cultura.
Dalla crisi si può uscire solo a sinistra. Il problema è che oggi la sinistra è divisa e frantumata. Lo è sul piano politico. Ma lo è anche sul piano culturale ed ideologico. Per troppi anni abbiamo subito l’ideologia folle del liberismo. Sarebbe ora che le voci della sinistra nel mondo della cultura e della ricerca prendessero coraggio e parola.
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