E’ stato un incontro fatale, per vedere messa in pratica la differenza di genere, quello tra Margherita Dogliani e il Labodif di Gianna Mazzini e Giovanna Galletti, ma anche per Carrara e la fabbrica dolciaria dei Dogliani e un pò anche per noi di 6DonnaPunto. Le abbiamo invitate e sono venute in cinque a Reggio Emilia il 29 maggio, per narrarci la loro esperienza, ed è stata fatale almeno per me che avevo voluto fortemente incontrarle, dopo che mi erano state presentate come “donne che vogliono cambiare il mondo” da Alberto Leiss, relatore a un loro incontro.
Ho capito meglio la loro differenza ascoltandole a Reggio, e mi sono resa conto che tra noi reggiane, da sempre a sinistra, e tra loro toscane, da sempre a sinistra, c’era una profonda diversità nelle pratiche del pensiero e dei fatti.
Loro tutte, parlavano di un attuale lavoro culturale, aperto alla città, organizzato da donne per uomini e donne, dentro i cortili della loro fabbrica, e noi al massimo questo lo vedevamo nei Festival dell’Unità o nelle piazze, organizzato dal partito o dalle amministrazioni pubbliche dentro cui si confondevano, e ancora è così, uomini e donne.
Noi, nel fare politica nel partito, quando parlavamo tra donne, al massimo, per sottolineare la differenza di pensiero tra uomini e donne, parlavamo della capacità femminile di essere “pratiche” nel nostro fare, rispetto a quella maschile, molto teorica, perché come donne avevamo il tempo contato e c’erano da portare a casa i nostri famosi servizi che girano il mondo (anche se non ci sono proprio per tutti/e e ora ce li stanno magistralmente sfilando dalle mani), aiuti comunque importanti per ridurre le nostre fatiche. I servizi, concreti e ben visibili erano il nostro chiodo fisso, la nostra sicurezza per trovare tempo per noi, come donne.
Un tempo, che noi reggiane della sinistra non abbiamo mai deciso che si potesse usare sessuandolo dal punto di vista culturale, come hanno fatto invece a Carrara. Immaginavamo forse che ognuna avesse la capacità di riempirlo e che non ci sarebbe mai stato permesso di invadere la sfera personale con bisogni culturali sessuati. Altri, ma non chiamiamoli neutramente mercato, invece e non ce ne siamo accorte, si sono preoccupati di invaderci con bisogni inesistenti e ambigue proposte, fino ai volti tumefatti dalla chirurgia estetica e ai bicipiti gonfissimi di certi uomini. Imput estranei hanno scelto il consumo del nostro tempo libero, e noi abbiamo forse immaginato che, dopo i servizi, non c’era più nulla per le donne da volere. Al massimo, benemerite cene con imprenditrici per sostenere la Casa delle donne, ma non per proporre un’autonomia e un’autorevolezza femminile, fuori dalla protezione partitica o amministrativa. Donne da liberare sempre… Sempre vittime, anche se al potere, incapaci di liberarsi e liberarci…
Ragionare e basta cercando Altro dalla nostra condizione, era sempre molto complesso. Sembrava improduttivo, intellettualistico, una perdita di tempo. E da questo modello mentale e partitico era praticamente impossibile uscire, oppure, potevi andartene tu... (Fatto).
Loro, le carraresi, ci parlavano di cura del pensiero e delle idee, di simbolico, di relazione tra loro e le e gli altri, di pratiche politiche differenti. Non hanno parlato, a Reggio, di servizi, né di aumenti di stipendio ed erano totalmente fuori dalla più classica contrapposizione capitale lavoro.. Avevano però costituito insieme, imprenditrice e lavoratrici, un’ associazione che si chiama “L’Angelo e le Stelle”, dove insieme vuol dire anche “la padrona e le sue dipendenti”, per dirla con un simbolico significativo di un limite quasi insuperabile nel reggiano, ma non solo . Avevano individuato il cortile della propria fabbrica - quello dove si parcheggia per andare dentro a lavorare e basta, sospendendo la relazione con la vita per imprinting imprenditoriale e sindacale - come il posto, la piazza in cui esprimere la loro cultura per la città e non solo la manifattura e il commercio. Annullando la famosa differenza di classe, tanto cara a tutto il ‘900 e da cui non abbiamo ancora capito come e se uscirne o con cosa e se sostituirla o mediarla, visto i risultati a cui siamo giunti con la crisi odierna. E hanno dato a questo loro fare un nome fortemente simbolico “Donne Anima e Corpo” e anche le lavoratrici presentano le attività culturali che propone l’associazione e hanno allargato la rete ad altre imprenditrici e ad altre lavoratrici. Così come hanno permesso, parlandone tra loro in una delle ditte coinvolte, ad una madre di due gemelli, di rimanere a casa dal lavoro fino a quando i bambini non avessero compiuto l’anno. Con naturalezza, senza drammi e aureole. Al confronto un aumento di stipendio penso suonasse loro strano concettualmente, rispetto a quello che la madre e i suoi figli hanno guadagnato, grazie alla pratiche nuova in cui si riconoscevano. E chissà cos’altro inventeranno nei momenti del bisogno…
Tutto questo anche perché insieme, Margherita e le altre che avevano già aperto la fabbrica alla cultura, da due anni stanno facendo un corso sulla Differenza di Genere con il Labodif di Gianna Mazzini, regista e Giovanna Galletti, economista. Un corso, da cui è nato il documentario “La fabbrica che pensa” per rendere conto del loro sguardo diverso sul mondo. Lì parlano a partire dalla visione femminile, dove le vecchie regole neutre, non sessuate, trovano il tempo che trovano. Mazzini e Galletti guardano anche ai positivi modelli economici norvegesi, dove le pratiche di governo delle donne in politica, non sono passate dal “neutro” del pensiero maschile, non c’era tempo e occorreva capire in fretta come istruire le donne, visto il loro improvviso, massiccio ingresso nella politica dei partiti.
Ecco, credo che a queste donne di Carrara, il problema dei servizi e degli aumenti di stipendio come sono codificati ora, tanto cari al ‘900 e a questo primo decennio del 2000, si porranno in maniera diversa che a Reggio Emilia e nel resto d’Italia, e che a loro sia più difficile sfilarglieli di mano, perché sono fatti d’altro, di altre pratiche e di altre relazioni.
Loro hanno scelto di curare l’autorevolezza femminile per prima cosa, per sé e poi per le altre e gli altri, sapendo che quella nessuno gliela poteva sfilare di mano come invece succede con i servizi oggi e su quella hanno voluto costruire il loro piccolo, grande mondo. A partire da sé. Lievito delle loro stesse idee come il lievito centenario – la madre -, che ogni giorno rinasce per fare i biscotti Dogliani, nella bellissima scena del filmato.
Fa ben sperare, questa esperienza carrarese, nella capacità delle donne di guardare le cose da un altro e meno distruttivo punto di vista. Il loro è un nucleo d’altro, incuneato nel bel mezzo del più ampio conflitto tra ricchezza e povertà del nostro tempo.
Dovremo tenerle d’occhio? Ce ne sono altre? E per favore non confondiamole con Olivetti, qui è la differenza di genere femminile a farla da “padrona” …
(Clelia Mori)