giovedì 6 settembre 2012

Matteo Renzi, conservatore contemporaneo


Ogni volta che ascolto Matteo Renzi, e cerco di farlo con spirito laico e curioso, mi convinco sempre più che rappresenti un autentico conservatore contemporaneo, con la giusta dose di populismo che non può mancare di questi tempi. Ciò che tuttavia stupisce è come nella vulgata comune il sindaco di Firenze appaia piuttosto un innovatore, un riformista radicale, l’uomo che può far sì che qualcosa cambi davvero nel centrosinistra. E’ evidente come questa distorsione comunicativa sia il frutto della stessa società della comunicazione e delle sue spinte sloganistiche e simboliche: Renzi è il rottamatore, punto e basta. Domina l’effimero, la velocità del messaggio, il mezzo e l’estetica comunicativa soffocano il contenuto togliendo spazio a qualsivoglia approfondimento. Renzi accusa chiunque di essere privo di programmi (e talvolta ha ragione) ma omette di evidenziare le proprie idee. Appare incapace di schierarsi su temi fondamentali come i diritti civili, l’idea di un’Europa sociale o liberista, il rilancio di un’economia dei beni comuni in luogo di un profitto individualistico, solo per fare alcuni esempi. In assenza di un pensiero forte trionfa quindi l’estetica comunicativa e lo slogan politico. Non è un caso se il campione in carica del gioco televisivo inventato da Mike Buongiorno, “la ruota della fortuna”, abbia deciso di farsi seguire come un’ombra dall’ex direttore di canale 5 Giorgio Gori: l’uomo del grande fratello, dell’indecenza chiamata reality show, della paccottiglia televisiva che ha rappresentato il cuore del potere berlusconiano. Gli anni Novanta sono quindi il periodo di incubazione culturale dell’antropologia politica che Renzi rappresenta; può presentarsi come innovatore solamente perché le forze progressiste non hanno saputo leggere ed interpretare quegli anni, che continuano così ad essere avvolti da una coltre di fascino e nostalgia. Sono stati invece gli anni della deregolamentazione della finanza, dell’arretramento delle conquiste sociali, della teorizzazione della “guerra umanitaria”, del declino del diritto internazionale, del trionfo delle politiche liberiste che hanno stretto le mani alla gola dei popoli del Terzo Mondo e delle classi popolari in Occidente. Il fallimento di quell’impianto politico e culturale è sotto gli occhi di tutto ed ha assunto il volto crudele della crisi economica e sociale che stiamo attraversando e di cui non si vede la fine. E’ visibile invece il deterioramento della vita democratica, a cominciare dal riemergere in Europa di movimenti nazionalisti e xenofobi e, in Italia, dalla diffusione di un vasto fronte populista che va da Renzi a Grillo, dalla Santanché a Di Pietro. Ma di tutto questo Renzi non parlerà mai, perché un conservatore, per definizione, cura e mantiene l’esistente preoccupandosi che poco o nulla cambi nella sostanza. Forse è per questo che i grandi proprietari dell’azienda Italia cullano l’idea di un trionfo di Renzi e del renzismo. La compatibilità rispetto agli interessi oggi dominanti sarebbe assicurata proprio dall’esasperazione della comunicazione politica, dal cinico investimento fatto sull’assenza di coscienza sociale di tante persone, il vero residuo tossico del berlusconismo. Se a questo aggiungiamo l’inadeguatezza attuale e gli errori strategici commessi negli ultimi quindici anni dalla classe dirigente del centrosinistra è facile comprendere lo spaesamento di tante persone. Tuttavia, la partita è aperta se è vero che Renzi non riesce a convincere uno come me che è ben più giovane di lui. La verità è che le prossime elezioni politiche, e ancor prima le primarie del centrosinistra, si giocheranno tra due visioni del mondo e delle relazioni umane: chi ritiene che vi sia unicamente spazio per la semplificazione populista e chi, al contrario, ritiene che la salvezza del Paese risieda nella consapevolezza diffusa dell’entità delle sfide e dei problemi che abbiamo davanti. I primi vogliono affidarsi a qualche uomo forte e a ristretti circoli illuminati (guarda caso sempre le solite aristocrazie) i secondi invece sono convinti che la soluzione passi dall’impegno dell’uomo comune e dal protagonismo delle forze sociali nel loro complesso. Solo così si può ribadire la natura sociale della democrazia, contro la sua controfigura ridotta a studio televisivo mentre intorno, lontano dalle luci e dallo show, i poveri sono sempre più poveri e i ricchi sempre più arroganti.

Matteo Sassi

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