L’impetuoso vento del cambiamento, dopo i ballottaggi per le grandi città, ha spinto i referendum oltre la maledizione del quorum. Devo essere sincero: non credevo che la forza di questo vento fosse sufficiente a rimontare tutti gli ostacoli frapposti dal governo e dai media per non conseguire il quorum. Il primo segnale l’ho avuto sull’autostrada che porta alla costiera romagnola. Diligentemente ho votato all’apertura dei seggi e poi di corsa verso il mare, rassegnato a pagare lo scotto delle file che la domenica mattina ineluttabilmente si creano dopo le 9 nel tratto Bologna-Rimini. Ed invece nulla: dal casello di Bologna non si riversa la solita ondata di auto. Ci sarà ma solo due ore più tardi mi informa isoradio. Non solo io ma tanti altri hanno ritardato la partenza per votare.
Un vento impetuoso si, ma anche paziente e diligente.
Siamo nel mezzo di un cambiamento di fase, di quelli che fra alcuni decenni verranno utilizzati per definire i periodi del secolo in corso.
Questo vento non nasce dal nulla; comincia a Genova quando, ormai dieci anni fa, le culture del movimento operaio, dell’ambientalismo e dei movimenti cattolici di base provarono a parlarsi e ad immaginare una proposta alternativa a quella del pensiero unico liberista imperante. E’ allora che mettono le radici le reti dei movimenti, fra cui quello sull’acqua. Le forze vive di quella stagione hanno lavorato nel silenzio e spesso nel contrasto con il pensiero mainstream: sono i movimenti di base e le reti delle associazioni, ma anche chi nel sindacato e nei partiti aveva puntato su quel movimento come il lievito del rinnovamento del modo di fare politica e sindacato. Lo fecero la FIOM, lo fece la parte innovativa di Rifondazione e pezzi dei DS e dei Verdi, che oggi sono alla base dell’esperienza politica di Vendola e di Sinistra Ecologia e Libertà.
Come spesso accade, a viverci dentro spesso non si coglie il senso del cambiamento e non si vedono le forze che lo ostacolano e che si riorganizzano per imbrigliarlo e incanalarlo verso strade precostituite.
Il primo pericolo che vedo è quello del vincolo esterno: mentre si combatte una battaglia democratica nel paese, l’Europa dei mercati prepara un gelata economica sui diritti e sul modello sociale. Questo supergoverno europeo si basa su istituzioni non elettive come la BCE, e sul perdurare del predominio nei media tradizionali (TV e giornali) del pensiero liberista. Le conseguenze della crisi economica di questi due anni sui bilanci pubblici vengono ora scaricati sul welfare. Mentre per salvare le banche si è ricorso alla spesa pubblica, ora questi debiti vengono scaricati sui ceti popolari. La ricetta economica europea non ammette alternative. E’ questa la base economica e sociale delle ipotesi di un governissimo. Questa proposta, che oggi è sottotraccia, la ritroveremo in autunno come la questione centrale. Una eventuale crisi politica del Governo Berlusconi non potrà tradursi nelle necessarie elezioni anticipate, perché lo stesso Presidente della Repubblica si adopererà per un governo ponte che attui la finanziaria europea di 45 ml di tagli alla spesa pubblica e sostenga gli impegni bellici assunti dal paese. Le manovre neocentriste acquisiranno vigore anche in forza della disponibilità di parte rilevante del PD.
Il secondo pericolo che vedo è quello di chi, fiutato il vento, capisce che per non cambiare nulla tutto deve sembrare nuovo. Bersani sembra essere l’esponente principale di questo tentativo. In barba ai fatti sta cercando di attribuirsi il merito degli ultimi eventi e di incanalarli in un alveo che li sterilizzi. La vittoria inaspettata nelle grandi città deriva dalla possibilità del popolo di sinistra di scegliersi il candidato ed il suo profilo programmatico, sottraendo di fatto ai partiti una delle loro prerogative storiche: quello di predisporre le scelte ed i volti su cui si poteva esercitare la competizione democratica. E a Milano, Napoli e Cagliari sono stati scelti i candidati giusti malgrado il PD. Allo stesso modo i referendum hanno vinto non grazie al PD ma malgrado il PD e la sua cultura politica: su nucleare ed acqua pubblica in questi anni il PD è stato dall’altra parte della barricata. Ed ancora oggi non è chiaro cosa pensi il PD su questi argomenti.
La proposta di Bersani di creare la coalizione a partire da un programma definito dai partiti del centro sinistra e solo dopo decidere se usare o meno le primarie per scegliere il candiato premier, è la trappola da cui bisogna scappare.
IL SENSO DEL VENTO DEL CAMBIAMENTO E’ PROPRIO NEL DIRITTO DEL POPOLO DI SINISTRA DI DECIDERE SULLA LEADERSHIP E SUI CONTENUTI DELLA PROPOSTA DA AVANZARE AL PAESE PER BATTERE NON SOLO BERLUSCONI MA IL BERLUSCONISMO.
Questo metodo peraltro non è nuovo: fu quello usato ai tempi di Prodi, e produsse un programma prolisso e contraddittorio: per citare solo l’acqua, se da un lato si diceva che l’acqua era pubblica, dall’altro si avviano le stagioni delle spa locali e della vendita ai privati.
L’idea di separare le primarie sui leader dalla definizione delle idee portanti della colazione di centro sinistra, è una specie di colpo di mano contro chi ha per anni ha preparato le condizioni per vincere sui referendum. Il popolo di sinistra non è una massa amorfa a cui possano dare forma le strategie dei partiti, ma è attraversata da strutture di organizzazione sociale, da gruppi di competenti ed appassionati, connessi dai social media. E’ la “polis” di oggi, base concreta della democrazia partecipata in critica della democrazia rappresentativa.
Per fuggire da questi due pericoli incombenti non vedo altra strada che quella dell’accelerazione sulla via del cambiamento: non solo ci vogliono le primarie per la leadership, ma anche le primarie per consegnare alla base la scelta sui principali nodi programmatici (ad es. guerra/pace, lavoro/precarietà, patrimoniale e tassazione su finanza/tagli welfare, diritti/esclusione, ecc).
Solo una discussione di massa saprà formulare una proposta che affronti la pressione europea sul bilancio e le urgenze sociali a cui sarebbe chiamato a dare risposta un nuovo governo di centro sinistra.
Per questo SEL deve avanzare una proposta che definirei lo “statuto della democrazia partecipativa”, dove si definiscano le procedure per devolvere i poteri dei partiti alla coalizione di popolo che sta dietro il centro sinistra.
Ed avanzare questa proposta ai partiti del centro sinistra e sopratutto alla rete delle associazioni ed organizzazioni che sono alla base della mobilitazione referendaria. E su questo costruire un percorso per la preparazione di una agenda politica partecipata con l’uso di referendum autogestiti sui temi su cui dirimere controversie.
14-6-2011 Michele Bonforte